Analisi storica dell’informazione 2020 – II Serie

Le questioni latinoamericane: uno sguardo d’insieme

America Latina: approvate le leggi del Piano Condor 2.0

In Cile e in Brasile sono state approvate le leggi liberticide che con la scusa di gestire la sicurezza contro la criminalità intendono porre dei limiti autoritari alle libertà fondamentali, nel quadro del nuovo piano Condor 2.0, finalizzato al sabotaggio delle democrazie latinoamericane di tipo progressista, guidato dall’inquilino della Casa Bianca.

6 dicembre 2019 – C’è una straordinaria, quanto inquietante, contemporaneità nei processi legislativi di Cile e Brasile, per incorporare, tra le leggi dello stato, regole che alterano l’equilibrio sociale, affidando agli organi di polizia e ai militari poteri straordinari, tipici delle dittature che questi due paesi hanno subito negli anni settanta.

Si, perché il concetto di contemporaneità degli eventi è così straordinario che nel giro degli ultimi mesi l’intero continente latinoamericano è stato incendiato da golpisti di varia natura, legati all’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), sotto controllo degli Stati Uniti, attraverso la fedeltà dei suoi dirigenti e il controllo delle infrastrutture militari e spionistiche.

Così, mercoledì 4 dicembre 2019, i parlamenti dei due paesi si sono allineati con pacchetti sicurezza”, tesi a gestire nel futuro il potere con il pugno duro. E come se non bastassero le coincidenze, che sappiamo che non esistono, in ambedue i sistemi parlamentari, queste leggi sono passate grazie al voto delle opposizioni.

Pinochet ha insegnato, l’allievo ha imparato

In Cile le misure liberticide sono state messe a punto per frenare le manifestazioni di protesta, represse nel sangue con omicidi, arresti, stupri, violenze senza fine, che hanno causato menomazioni, soprattutto agli occhi di centinaia di persone. Il presidente Sebastian Piñera, definendo il proprio popolo come una terribile minaccia, poiché chiede giustizia sociale e una nuova costituzione, con un indice di gradimento del 10 per cento, si allinea al suo idolo di sempre Pinochet.

Le misure, approvate con 127 voti favorevoli, 7 contrari e con l’astensione dei comunisti, penalizzano con la prigione chiunque manifesti liberamente: interrompendo il lavoro dei servizi pubblici; esercitando il diritto all’autodifesa contro le aggressioni della polizia; ostruendo il traffico e la mobilità delle persone; punendo oggi forma di rivendicazione territoriale, dagli edifici ai terreni, intervento ovviamente rivolto contro i nativi.

Inoltre la legge punisce chiunque si raggruppi in sistemi organizzativi per pianificare proteste e manifestazioni, in questo caso l’azione è rivolta a interrompere l’attività di Unità Sociale, la piattaforma che riunisce cittadini e organizzazioni sociali e sindacali, circa 200, che hanno inscenato le proteste.

C’è da dire che, paradossalmente, il 12 dicembre la Camera dei Deputati cilena è chiamata ad esprimersi circa l’accusa al presidente Piñera per la violazione dei diritti umani proprio durante le manifestazioni di protesta delle ultime settimane, sull’uso indiscriminato della violenza della polizia militare, a cui la nuova legge da proprio quegli strumenti per abusare la gente.

Secondo il rapporto dell’Istituto Nazionale per i Diritti Umani (NHRI) cileno, sono state presentate 678 azioni legali, di cui 106 per violenza sessuale, 517 per tortura, trattamento crudele e omicidi.

La riforma di un golpista

E’ sempre in questo strano mercoledì 4 dicembre che la Camera dei Deputati brasiliana ha approvato il pacchetto “anti-criminalità” proposto dal ministro della giustizia Sergio Moro, ex giudice federale, inchiodato dalle intercettazioni pubblicate da Intercept, attraverso cui veniva provato l’inquietante complotto di tipo golpista contro l’ex presidente Lula.

L’ambiguo ministro, uomo di regime del clan Bolsonaro, si è impegnato in una riforma liberticida che intendeva revisionare ben 54 articoli del codice. Le opposizioni, attraverso la composizione delle commissioni che hanno elaborato il testo ne hanno fatti passare 19, mentre altri 10 sono stati modificati.

Non sono passate le due norme che principalmente definivano il pacchetto. La prima riguardava la possibilità di “licenza di uccidere” da parte della polizia militare, norma detta esclusione di illegalità”, da applicare alle situazioni in cui i poliziotti commettono eccessi a causa di “paura, sorpresa o emozione violenta”… Poi, l’altra riguardava l’aumento da 30 a 40 anni della pena carceraria massima.

Si immagini cosa possa voler dire la licenza di uccidere consegnata ai poliziotti brasiliani, che hanno ormai da anni innescato una persecuzione ai cittadini poveri e neri delle favelas.

L’ultima tragedia è proprio di domenica scorsa con la strage nella periferia di San Paolo di nove ragazzi  morti ad una festa di quartiere mentre ballavano a suon di musica. Solo a San Paolo, tra gennaio e ottobre di quest’annola polizia militare ha ucciso 584 persone, con un aumento del 9,1 percento rispetto allo stesso periodo dell’anno passato, secondo i dati dell’Ufficio di Pubblica Sicurezza della megalopoli.

Ma questa storia è sicuro che non finisce qua, perché mentre le opposizioni, che hanno votato questo pacchetto, gridano alla vittoria per aver impedito l’esclusione di illegalità, dall’altro lo stesso ministro Moro, a sua volta, si ritiene soddisfatto poiché questa misura cercherà di farla passare al Senato o attraverso una nuova legge…

Repressa con la forza la marcia dei migranti honduregni verso il Messico

24 gennaio 2020 – Erano rimasti per giorni fermi sul passaggio che collega il Guatemala al Chiapas messicano, dopo essere partiti dall’Honduras il 14 novembre.  Così, la carovana di duemila persone circa, in maggioranza honduregni appunto, ieri ha deciso di varcare il fiume Suchiate, per entrare in Messico. Per giorni, neonati, bambini e giovani hanno sofferto per la mancanza di acqua e cibo, l’esasperazione ha fatto il resto…

Le maniere forti per respingere

Il ministero degli Esteri honduregno aveva inviato, giorni prima, una missiva ai governi dei tre paesi coinvolti, Messico, Guatemala e Usa, per invitare le autorità al rispetto dei diritti umani. Un invito non del tutto accolto dal governo messicano che per respingere uomini, donne e bambini ha utilizzato le maniere forti. Da fonti honduregne si è saputo che i migranti che ieri sono stati rimpatriati ammontano a 675, tra cui famiglie con bambini, adulti e minori non accompagnati.

La tensione si è alzata nel pomeriggio, intorno alle 15,00, dopo che la maggioranza dei migranti aveva rifiutato l’offerta della Commissione messicana per l’assistenza ai rifugiati (Comar) di registrarsi presso l’Istituto Nazionale per le Migrazioni (INM), per essere trasferiti in un centro per richiedenti asilo.

Così  sono iniziati gli scontri tra la Guardia Nazionale messicana e tutta quella gente che era riuscita ad oltrepassare il fiume dalla città guatemalteca di  Ayutla, per arrivare in Chiapas, nella città di Ciudad Hidalgo. Oltre al contato con la Guardia Nazionale, nei concitati momenti di tensione, sono stati lanciati gas lacrimogeni tra le urla di donne e bambini terrorizzati.

La rabbia degli ultimi

Alcuni sono stati arrestati poiché privi di documenti, altri si sono arresi spontaneamente, in molti hanno cercato rifugio tra le alture… Poi ci sono stati quelli che per protesta si sono seduti davanti agli agenti, non avendo del resto altre opzioni. “Dove sono i diritti umani?” Si sentiva urlare dalla gente, in quel caos infernale.

Rabbia e urla si accavallavano mentre le autorità  INM del Messico, insieme alla Guardia Nazionale cercavano di raccogliere e indirizzare le persone sugli autobus messi a disposizione del governo messicano.

L’imbarazzo messicano tra un respingimento e l’altro

Una situazione questa che continua a mettere in imbarazzo il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador (AMLO), poiché il suo programma politico di sinistra prevedeva una umanizzazione dei processi migratori, mentre dall’inizio dell’estate scorsa si è dovuto inginocchiare davanti ai ricatti americani, che hanno imposto lacrime e sangue, nel senso proprio del termine.

AMLO, tra un respingimento e l’altro, sta cercando di ri-orientare il suo messaggio, segnalando che il rispetto delle leggi nel Messico di oggi, vuol dire comunque rispetto dei diritti umani…

Omicidio Marielle Franco: continuano gli arresti dei poliziotti

Polizia civile e militare impegnate a fare pulizia interna, dietro le sollecitazioni del pubblico ministero che si occupa del caso: la milizia di Rio, protetta dalle forze dell’ordine, è nel mirino degli inquirenti.

31 gennaio 2020 – L’Operazione intoccabili era partita lo scorso anno, nel gennaio 2019, quando tutti gli indizi e le prove sull’assassinio di Marielle Franco e del suo autista, portavano proprio dentro la polizia militare, a cui aveva appartenuto quello che è ritenuto l’esecutore dei due assassinii: Ronnie Lessa, uomo vicino alla famiglia dell’attuale presidente del Brasile Bolsonaro. In quella occasione 13 persone vennero denunciate per il coinvolgimento in una di milizia interna alla polizia, guidata da Dalmir Pereira Barbosa, Paulo Eduardo da Silva Azevedo ed Epaminondas Queiroz de Medeiros Júnior , conosciuto come il “Capitão Queiroz”.

Quella milizia interna alle forze dell’ordine di Rio

Ieri è scattata l’Operazione intoccabili 2, attraverso cui sono state arrestate  altre 33 persone sospettate nel coinvolgimento della milizia “parapoliziesca” che operava nell’area ovest di Rio de Janeiro. Tra gli arrestati ci sono stati tre poliziotti civili e cinque militari, un mandato d’arresto non è stato eseguito, mentre le segnalazioni sono state relative al ruolo di 45 persone in tutto.

La Procura della Repubblica di Rio de Janeiro ha posto sotto la lente d’ingrandimento la posizione di un ufficiale della polizia militare, attuando misure precauzionali: sospensione dalle funzioni, ritiro dell’arma in dotazione, detenzione preventiva. Si chiama Jorge Luiz Camilo Alves ed è il capo XVI dipartimento Barra da Tijuca. Dalle intercettazioni telefoniche sono stati accertati i rapporti di vicinanza e sodalizio con Ronnie Lessa, il quale si riferiva a lui come “Amigo da 16”.

Le pratiche della milizia di Rio

La milizia di Rio era praticamente un organismo paramilitare che  dal 2014  utilizzava il sostegno della polizia civile e militare,  sia in termini di informazioni che di cordone protettivo, per le loro azioni criminali. La sequenza dei crimini commessi da questi “banditi istituzionali” era impressionante: occupazione illegale di spazi edilizi, costruzione, vendita e locazione di proprietà speculative, possesso e uso illegale di armi da fuoco, estorsione ai commercianti, occultamento di beni acquisiti con attività illecite, pagamento di tangenti agli agenti di polizia, strozzinaggio, speculazioni sulla gestione di acqua ed energia relativamente ad immobili costruiti illegalmente.

Nel ricordo di Marielle

Ma le novità su Marielle Franco non sono solo legate all’inchiesta giudiziaria sul suo omicidio, ma anche ai luoghi che sempre di più portano il suo nome.

Così, il sindaco di San Paolo, Bruno Covas,  ha licenziato una ordinanza che battezza Praça Marielle Franco, a Brasilândia, un quartiere nella parte settentrionale della capitale. Una proposta sottoscritta non solo dai rappresentanti delle forze di sinistra ma anche di centro e persino di destra.

Se sembra che ci siano già, in Brasile e nel mondo, circa 150 luoghi intitolati alla consigliera di Rio, vedi a Parigi le jardin Marielle Franco, non sempre però intelligenza e malafede possono coesistere. Ecco che la settimana scorsa il governatore del Distretto Federale, Ibaneis Rocha,  lo stato dove vi è la capitale Brasilia, usciva con una iniziativa in controtendenza…

Veniva posto il veto alla creazione di una piazza Marielle Franco, sbandierando il concetto di “interesse pubblico”, all’interno di una motivazione delirante: “Nonostante sia a conoscenza dei servizi estremamente rilevanti forniti dalla consigliera Marielle Franco alle comunità della città di Rio de Janeiro, non esiste alcuna relazione tra il nome della consigliera e il Distretto federale per giustificare la denominazione”.

Lula andrà a colloquio dal Papa: verso una nuova teologia della liberazione?

L’ex presidente brasiliano, tra le vittime del golpe istituzionale, giovedì prossimo, sarà ricevuto in Vaticano da Papa Francesco, il quale ha pubblicamente preso le sue difese, dopo il complotto, poi smascherato, di un gruppo di giudici che lo hanno tenuto illegittimamente in galera.

7 febbraio 2020 –  L’ex presidente del Brasile, Luiz Inacio Lula da Silva, il 13 febbraio, si recherà in Vaticanoper una visita ufficiale da Papa Francesco. Lula è  in libertà vigilata, in seguito al noto complotto giudiziario, ma questo non impone limitazioni alla libertà di movimento, secondo le leggi del paese. L’incontro di questi due personaggi storici del mondo latino-americano diventa politicamente significativo poiché si ritrovano come i più importanti esponenti nella difesa degli oppressi.

Le diseguaglianze sono diventate una emergenza globale

Attraverso i canali del partito dei lavoratori e del social media Twitter, Lula ha espresso una grande soddisfazione e trepidazione per l’incontro della settimana prossima, in primo luogo per ringraziare il pontefice di aver preso posizione in suo favore: “È quasi una necessità che io debba andare e ringraziarlo e non solo per la mia solidarietà, ma per quanto ha fatto in difesa dei popoli oppressi di tutto il mondo”.

Ma l’aspetto più interessante di questo incontro sarà la possibilità di poter parlare e scambiarsi opinioni sull’esperienza brasiliana di lotta alla povertà, diventato, durante la presidenza di Lula e di Dilma Rousseff, un modello di riferimento per tutto il continente latino-americano: “L’esperienza brasiliana di maggior successo degli ultimi decenni ha dimostrato che i poveri non sono un problema. Abbiamo dimostrato che i poveri, una volta inseriti nell’economia, diventano una soluzione“.

Un cambio di paradigma

Se dunque i poveri e gli oppressi anziché essere un problema diventano la soluzione, sembrerebbe fisiologico un cambio di paradigma nella gestione della cosa pubblica, laddove le organizzazioni politiche anti-liberiste riuscissero a sottrarre il consenso alla destra liberticida, che sta governando il continente nella maggior parte dei paesi. E’ successo in Argentina, con l’elezione del peronista di sinistra Alberto Fernández.

Proprio lui, infatti, ha proposto al pontefice, che ha incontrato la settimana scorsa, l’importanza di ritrovarsi con Lula. In quella occasione i due capi di stato hanno dialogato sugli stessi temi: povertà e oppressione dilagante nel continente e il debito pubblico argentino…  Da quanto dichiarato dal presidente Fernández il Papa si è mostrato estremamente preoccupato per la situazione nel proprio paese d’origine, soprattutto per la rinegoziazione del debito pubblico con i creditori esterni.

La chiesa degli oppressi contro la chiesa dei potenti

Ma il cambio di paradigma sui popoli oppressi, che vede la Santa Sede insieme alle organizzazione e ai governi progressisti, non può che fare venire in mente la rinascita di una nuova stagione della teologia della liberazione, in voga negli anni settanta, durante le dittature latino-americane, promosse dagli Usa, attraverso il piano Condor.

Se ci si stia avvicinando ad una fase storica di difesa dei diritti anche dentro il cattolicesimo è difficile dirlo. Certo è che in quel continente tanti pezzi della chiesa cattolica sono apertamente schierati con i governi liberticidi, sicuramente stigmatizzati da Francesco in tutti i viaggi che fino ad adesso lo hanno portato da quelle parti…

Tentato golpe in El Salvador: il presidente entra con l’esercito in parlamento

In seguito al rifiuto dell’Assemblea legislativa di ratificare lo stanziamento di un centinaio di milioni di dollari per questioni di sicurezza, cifra il cui utilizzo non è stato declinato nei dettagli ma per sommi capi, facendo pensare a spartizioni di mazzette, il presidente convoca d’urgenza il parlamento e si presenta con l’esercito per imporre il voto favorevole. Ma qualcosa gli è andato storto.

11 febbraio 2020  – Il 6 febbraio il presidente di El Salvador, Nayib Bukele, convocava, attraverso il suo Consiglio dei ministri,  una sessione straordinaria dell’Assemblea legislativa, al fine di imporre l’approvazione di uno stanziamento di 109 milioni di dollari, terza fase del suo Piano per il Controllo territoriale, teso a migliorare la sicurezza interna del paese, ufficialmente contro le gang che controllano il territorio.

Il finanziamento veniva respinto dall’Assemblea poiché elaborato attraverso una procedura di emergenza definita come irricevibile. Infatti, per l’approvazione di un simile provvedimento, sarebbe stata necessaria l’approvazione della Commissione finanziaria. Essa però ha sottolineato che l’esecutivo non ha spiegato nel dettaglio l’utilizzo del denaro. Peraltro, erano in atto accuse da parte dell’Assemblea di corruzione nei confronti di alcuni ministri del governo Bukele.

Il contenzioso istituzionale

L’Assemblea anziché corrispondere ai desiderata del presidente fissava una seduta plenaria per lunedì al fine di aprire un dibattito sulla situazione creatasi nel paese. Ma l’ovvio rifiuto dei deputati scatenava le ire del presidente, che già da sabato scorso faceva circondare dall’esercito l’edificio del parlamento salvadoregno.  Ma intanto, in quei drammatici frangenti, si andava a creare uno scontro istituzionale, mediante l’interpretazione della carta costituzionale.

Così, il presidente Bukele, invocando l’articolo 87 della Costituzione, relativo alla possibilità di “insurrezione”, al fine di fare pressione sui deputati, convocava una mobilitazione popolare, per domenica 9 febbraio. Attenzione perché tale articolo non sembrerebbe racchiudere la fattispecie di cui è portatrice la situazione creatasi.

Questo stabilisce che il popolo, attraverso l’insurrezione, ha il diritto di ristabilire l’ordine costituzionale alterato dalla trasgressione delle norme relative alla forma di governo o al sistema politico istituito o da gravi violazioni dei diritti sanciti dal testo stesso. Insieme veniva anche invocato l’articolo 167, anzi veniva emessa a suo nome una risoluzione  per convocare la sessione straordinaria dell’Assemblea di domenica.

Quella irresistibile tentazione per il golpe

Domenica, mentre i deputati prendevano posto la polizia civile nazionale insieme a parecchi soldati dell’esercito entravano nella sala dell’Assemblea legislativa in tenuta antisommossa. Naturalmente davanti ad uno spiegamento di forza così improbabile per qualsiasi democrazia, i deputati hanno dato battaglia.

I parlamentari a gran voce hanno ovviamente stigmatizzato immediatamente l’accaduto denunciando la violazione dell’indipendenza dell’organo legislativo, causando la rottura dell’ordine costituzionale salvadoregno, colpendo il sistema democratico.

La resistenza del potere legislativo

Lunedì sera i parlamentari si sono riuniti, approvando una severa dichiarazione di condanna nei confronti del presidente, le cui mire sono quelle di sciogliere l’Assemblea legislativa: “Questa azione costituisce una esibizione di forza bruta per intimidire i parlamentari, entrando con l’esercito e la polizia, armati di fucili e con atteggiamenti minacciosi, esprimendo la violenza tipica dei momenti più bui della storia di El Salvador (…) Chiediamo di desistere dalle sue minacce, dall’ultimatum e dall’uso della forza, per sciogliere il congresso salvadoregno”.

Infine, l’Assemblea si è raccomandata di attenersi alla risoluzione e alle misure precauzionali emesse, sempre lunedì, dalla Corte suprema, che ha ordinato a Bukele di astenersi dall’utilizzare, le forze armate per scopi diversi da quelli stabiliti dalla Costituzione.

La Corte suprema si è espressa

Il primo atto della Corte suprema, riunitasi prima della plenaria parlamentare, è stato quello di stigmatizzare l’accaduto, indirizzando  al ministro della Difesa, René Merino, e al direttore della polizia civile nazionale, Mauricio Arriaza un messaggio chiaro: “evitare di esercitare funzioni e attività diverse da quelle costituzionalmente e legalmente richieste”. Poi ha programmato di adottare misure contro le violazioni dello stato di diritto esercitate per intimidire il potere legislativo.

Secondo indiscrezioni sarebbero cinque i magistrati della Corte suprema che stanno analizzando le violazioni, dopo la denuncia ufficiale portata da due cittadini, che hanno chiesto l’intervento dell’organo giudiziario. In tal senso ci potrebbe essere la costituzione di un vero e proprio processo penale, nel qual caso le funzioni dell’esecutivo verrebbero sospese fino a sentenza

Lula si ritrova con papa Francesco: un altro modello economico è possibile

“Un incontro storico che è servito per discutere e pensare a soluzioni sulle  ingiustizie e le disuguaglianze nel mondo: torno in Brasile con la stessa volontà di papa Francesco di lottare per un mondo migliore”.

14 febbraio 2020 –  E’ successo proprio ieri: l’ex presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva ha incontrato papa Francescoin Vaticano. Il pontefice era stato tra quelli che aveva preso pubblicamente le sue difese, dopo il complotto, poi smascherato, di un gruppo di giudici che lo hanno tenuto illegittimamente in galera. Quello fu l’effetto  del golpe istituzionale, che causò la defenestrazione della presidentessa Dilma Rousseff e l’arresto di Lula all’interno dell’inchiesta Lava Jato, dove furono inventate e costruite ad hoc accuse senza nessuna prova a sostegno e il cui accusatore Sergio Moro, per meriti sul campo, divenne ministro dell’attuale presidente liberticida Bolsonaro.

Il nuovo piano Condor che sta uccidendo l’America Latina

L’annuncio era stato dato la settimana scorsa, dopo che il neo presidente dell’Argentina Alberto Fernandez, in visita dal Papa, aveva fatto da trait d’union.

E’ ineluttabile che nel momento in cui un leader della sinistra radicale perseguitato incontra il pontefice latinoamericano dei poveri la mente corra a quella teologia della liberazione che negli anni settanta vide pezzi della chiesa vicino ai rivoluzionari che combattevano i regimi militari latinoamericani supportati dagli Stati Uniti.

Oggi, per certi versi le cose sono peggiorate, poiché è in atto in America Latina un nuovo piano Condor 2.0, che ha nell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) la sua sede strategica. Un piano Condor che elimina i leader antiliberisti, anche con la violenza e i colpi di stato più o meno istituzionali, sostenuti spesso dalla comunità internazionale, quando non gira lo sguardo dall’altra parte.

In tal modo le grandi consorterie economiche e finanziarie si stanno impossessando delle risorse dei territori e dei popoli per fare cassa per conto di pochi. La sconcertante deforestazione brasiliana ad opera del presidente Bolsonaro è solo la punta dell’iceberg.

E’ infatti questo il contesto che ha fatto incontrare questi due leader degli oppressi nel mondo per poter scambiare idee e ipotesi di lavoro.

Un nuovo modello è possibile

Così il primo argomento di discussione è stata proprio la preoccupazione  da parte di Francesco per la situazione in Amazzonia, che attraverso la devastazione degli incendi e l’attacco alle comunità indigene, sta permettendo a Bolsonaro di privilegiare gli interessi delle miniere e dell’agroindustria, ponendo a rischio alcune aree delimitate.

In una nota Lula ha così commentato: “Tutti sanno che il mondo sta diventando sempre più diseguale. Tutti sanno che nella maggior parte dei paesi i lavoratori stanno perdendo i loro diritti. I successi del passato sono stati annullati dall’avidità degli interessi commerciali e finanziari”.

Lula ha espresso interesse per la strategia del Papa nel coinvolgere migliaia di giovani in un dibattito aperto sulla necessità di una nuova economia per il mondo. Cioè l’idea che un nuovo modello sia possibile riunisce, come fece in qualche modo la teologia della liberazione negli anni settanta, movimenti della sinistra radicale con la visione di una chiesa antiliberista.

“Nonostante i discorsi, – ha dichiarato Lula –  il governo (Bolsonaro ndr) non ha interesse a cambiare le matrici energetiche (…) Se non ci occupiamo della conservazione del pianeta, dobbiamo ricordare che uno dei principali animali in via di estinzione è l’essere umano, in particolare i poveri”.

La Corte Suprema brasiliana chiede la sospensione del presidente Bolsonaro

Un giudice della Corte Suprema del Brasile, ha inviato al procuratore generale della Repubblica un ordinanza per sospendere dalla sua carica il presidente Jair Bolsonaro per un periodo di 180 giorni, per aver commesso diverse azioni che hanno messo a rischio il paese davanti l’emergenza sanitaria del coronavirus.

31 marzo 2020 – Si chiama Marco Aurélio Melloil giudce della Corte Suprema brasiliana che ha inviato al procuratore generale della repubblica un ordinanza tesa a sospendere dalla sua carica il Presidente Jair Bolsonaro per 180 giorni, a causa degli atteggiamenti irresponsabili, relativamente alla pandemia di coronavirus, al punto da mettere in serio rischio il paese.

Sollecitazioni dalle lobbie economico-finanziarie?

Il tema è che in Brasile, in seguito alla “follia” di quest’uomo, probabilmente sollecitato dalle grandi consorterie economico-finanziarie che gli stanno dietro, non solo rischia un disastro umanitario immenso nel proprio paese, ma diventa una minaccia per tutta l’America latina, alcuni paesi dei quali si apprestano a chiudere le frontiere.

L’azione della Corte Suprema nasce dalla denuncia presentata dal deputato del partito dei lavoratori Reginaldo Lopes contro Bolsonaro, il quale ha direttamente notificato “presunti atti criminali” commesssi dalla sua condotta, favorendo la diffusione del virus.

Tra l’altro la riluttanza a adottare misure di isolamento sociale è invisa persino alla sua squadra di governo: sembra un presidente fuori controllo… Secondo il deputato del partito dei lavoratori, i suoi comportamenti violano il diritto penale brasiliano.

Il parlamento deve esprimersi

Dal punto di vista costituzionale il pubblico ministero, investito dalla Corte Suprema, deve informare il parlamento nel momento in cui avviasse l’indagine contro il presidente, il quale dovrebbe darne autorizzazione.

Questa denuncia si aggiunge alla richiesta dei giorni scorsi di un giudice federale di Rio de Janeiro, il quale ha ordinato di sospendere la campagna pubblicitaria, promossa da Bolsonaro, attraverso cui chiedeva ai brasiliani di “non fermarsi”.

Intanto domani dai balconi delle città brasiliane è convocata una caçarola di massa, cioè una manifestazione di protesta con delle casseruele utilizzate per fare quanto più rumore possibile.

Ecuador: la raccolta dei cadaveri pianificata dal governo

Una task force governativa coordina la raccolta dei cadaveri per le strade e nelle case, data la crisi dei servizi funerari, che si rifiutano di gestire i morti da coronavirus , mentre nelle case dei meno abbienti chi può aspetta il governo chi non può lascia i propri cari nelle strade.

16 aprile 2020 – E’ la città di Guayaquil l’area del paese più compromessa. La settimana scorsa ha subito il decesso di 310 morti. Ma questo è il dato ufficiale, visto che la ministra degli Interni María Paula Romo ha confermato che ci sono altri 338 casi anche se non sono stati “formalizzati” come decessi da coronavirus. Intanto nel paese è in vigore un coprifuoco di 15 ore al giorno.

E’ crollato il sistema sanitario

Le cifre relative alla settimana scorsa parlano di 7.500 casi di positività confermati. Nella provincia costiera di Guayas, con capitale Guayaquil, sono concentrati più del 70 perfcento dei contagi. A Guayaquil fino al contegio di domenica scorsa c’erano 4000 pazienti da Covid-19.

I corpi dei defunti che il governo, fino a domenica scorsa, è riuscito a rimuovere a Guayaquil sono circa 700. Questa situazione ha fatto crollare sia il sistema sociale che quello sanitario, in uno dei paesi più neoliberisti dell’America Latina, dove le diseguaglianze sociali e la violenza sono i temi dominanti della dimensione comunitaria.

I corpi per strada

Secondo le dichiarazioni governative, quella passata è stata la terza settimana che polizia ed esercito, congiuntamente, hanno iniziato l’operazione di rimozione dei cadaveri dalle case. Non ci sono stati soltanto semplici ritardi organizzativi dei servizi forensi e funebri. Sembra proprio che gli addetti a questi servizi si sino rifiutati di lavorare per paura di essere contagiati.

E poi ci sono i corpi abbandonati per strada e i messaggi d’aiuto sui social dei parenti di quelle vittime per una loro degna sepoltura. Il governo è stato costretto a pagare i servizi funebri di tutte quelle persone i cui cari non erano nella disponibilità di fare fronte alle spese…

Così, per restituire un po’ di ritegno ad un governo corrotto, che ha fatto man bassa dei diritti di un pezzo, la maggiorparte, del loro popolo, le autorità hanno annunciato che 600 persone sono state riconosciute e sepolte nei cimiteri della città.

In Guatemala bandiere bianche nelle case per chiedere aiuto alimentare

In seguito al rifiuto dell’Assemblea legislativa di ratificare lo stanziamento di un centinaio di milioni di dollari per questioni di sicurezza, cifra il cui utilizzo non è stato declinato nei dettagli ma per sommi capi, facendo pensare a spartizioni di mazzette, il presidente convoca d’urgenza il parlamento e si presenta con l’esercito per imporre il voto favorevole. Ma qualcosa gli è andato storto.

11 febbraio 2020  – Il 6 febbraio il presidente di El Salvador, Nayib Bukele, convocava, attraverso il suo Consiglio dei ministri,  una sessione straordinaria dell’Assemblea legislativa, al fine di imporre l’approvazione di uno stanziamento di 109 milioni di dollari, terza fase del suo Piano per il Controllo territoriale, teso a migliorare la sicurezza interna del paese, ufficialmente contro le gang che controllano il territorio.

Il finanziamento veniva respinto dall’Assemblea poiché elaborato attraverso una procedura di emergenza definita come irricevibile. Infatti, per l’approvazione di un simile provvedimento, sarebbe stata necessaria l’approvazione della Commissione finanziaria. Essa però ha sottolineato che l’esecutivo non ha spiegato nel dettaglio l’utilizzo del denaro. Peraltro, erano in atto accuse da parte dell’Assemblea di corruzione nei confronti di alcuni ministri del governo Bukele.

Il contenzioso istituzionale

L’Assemblea anziché corrispondere ai desiderata del presidente fissava una seduta plenaria per lunedì al fine di aprire un dibattito sulla situazione creatasi nel paese. Ma l’ovvio rifiuto dei deputati scatenava le ire del presidente, che già da sabato scorso faceva circondare dall’esercito l’edificio del parlamento salvadoregno.  Ma intanto, in quei drammatici frangenti, si andava a creare uno scontro istituzionale, mediante l’interpretazione della carta costituzionale.

Così, il presidente Bukele, invocando l’articolo 87 della Costituzione, relativo alla possibilità di “insurrezione”, al fine di fare pressione sui deputati, convocava una mobilitazione popolare, per domenica 9 febbraio. Attenzione perché tale articolo non sembrerebbe racchiudere la fattispecie di cui è portatrice la situazione creatasi.

Questo stabilisce che il popolo, attraverso l’insurrezione, ha il diritto di ristabilire l’ordine costituzionale alterato dalla trasgressione delle norme relative alla forma di governo o al sistema politico istituito o da gravi violazioni dei diritti sanciti dal testo stesso. Insieme veniva anche invocato l’articolo 167, anzi veniva emessa a suo nome una risoluzione  per convocare la sessione straordinaria dell’Assemblea di domenica.

Quella irresistibile tentazione per il golpe

Domenica, mentre i deputati prendevano posto la polizia civile nazionale insieme a parecchi soldati dell’esercito entravano nella sala dell’Assemblea legislativa in tenuta antisommossa. Naturalmente davanti ad uno spiegamento di forza così improbabile per qualsiasi democrazia, i deputati hanno dato battaglia.

I parlamentari a gran voce hanno ovviamente stigmatizzato immediatamente l’accaduto denunciando la violazione dell’indipendenza dell’organo legislativo, causando la rottura dell’ordine costituzionale salvadoregno, colpendo il sistema democratico.

La resistenza del potere legislativo

Lunedì sera i parlamentari si sono riuniti, approvando una severa dichiarazione di condanna nei confronti del presidente, le cui mire sono quelle di sciogliere l’Assemblea legislativa: “Questa azione costituisce una esibizione di forza bruta per intimidire i parlamentari, entrando con l’esercito e la polizia, armati di fucili e con atteggiamenti minacciosi, esprimendo la violenza tipica dei momenti più bui della storia di El Salvador (…) Chiediamo di desistere dalle sue minacce, dall’ultimatum e dall’uso della forza, per sciogliere il congresso salvadoregno”.

Infine, l’Assemblea si è raccomandata di attenersi alla risoluzione e alle misure precauzionali emesse, sempre lunedì, dalla Corte suprema, che ha ordinato a Bukele di astenersi dall’utilizzare, le forze armate per scopi diversi da quelli stabiliti dalla Costituzione.

La Corte suprema si è espressa

Il primo atto della Corte suprema, riunitasi prima della plenaria parlamentare, è stato quello di stigmatizzare l’accaduto, indirizzando  al ministro della Difesa, René Merino, e al direttore della polizia civile nazionale, Mauricio Arriaza un messaggio chiaro: “evitare di esercitare funzioni e attività diverse da quelle costituzionalmente e legalmente richieste”. Poi ha programmato di adottare misure contro le violazioni dello stato di diritto esercitate per intimidire il potere legislativo.

Secondo indiscrezioni sarebbero cinque i magistrati della Corte suprema che stanno analizzando le violazioni, dopo la denuncia ufficiale portata da due cittadini, che hanno chiesto l’intervento dell’organo giudiziario. In tal senso ci potrebbe essere la costituzione di un vero e proprio processo penale, nel qual caso le funzioni dell’esecutivo verrebbero sospese fino a sentenza

El Salvador: il Presidente mette in galera i trasgressori della quarantena

Approfittando dell’emergenza sanitaria, il presidente di El Salvador ha ordinato la detenzione ai trasgressori della quarantena e neanche la dichiarata incostituzionalità della Corte Suprema riesce a fermare la voglia di pieni poteri, dato che l’esercito è dalla sua parte.

21 aprile 2020 – Lo avevamo conosciuto il 9 febbraio il presidente salvadoregno Nayib Bukele, quando per imporre una legge da approvare, ha fatto circondare il parlamento da quello che ormai è il “suo esercito”.

Questa volta, il presidente non si è lasciato scappare l’occasione della pandemia di Covid 19 per minacciare il suo popolo con misure totalitarie e l’uso spregiudicato dell’esercito, il quale gli è estrenuamente fedele.

I centri di detenzione

Il 20 febbraio scorso, Bukele ha imposto la quarantena come in tutti i paesi del mondo coinvolati dalla pandemia: le persone a casa, la distanza sociale, i servizi essenziali. Ma al presidente queste misure non sono bastate per cui ha ordinato che i trasgressori della quarantena, trovati a circolare nelle città, venissero detenuti in quelli che ha definito “Centri di contenimento”.

Sarebbero veri e propri centri di detenzione finalizzati a mettere in quarantena forzata i trasgressori per un minimo di trenta giorni, alla fine dei quali verrà fatto il test. Questo perché il presidente dà per scontato che chiunque trasgredisce deve essere trattato da untore, diventando cioè una potenziale fonte di contagio.

L’esercito contro la Corte suprema

Se è evidente che non ci può essre nessuna relazione tra la trasgressione alla quarantena e la fonte di contagio, questa misura è stata contestata non solo da avvocati, giuristi, opposizione politica, ma perfino dalla Corte Suprema salvadoregna che ha emesso due risoluzioni che ne vietano l’esecutività. Ma il presidente, attraverso twitter, ha sollecitato le forze armate a proseguire in questa direzione, infischiandosene della Corte suprema e della separazione dei poteri.

L’uso del social media per inoltrare messaggi alle sue forze armate è diventata un’abitudine per Nayib Bukele, dato che ha fatto la medesima cosa durante il fine settimana, quando ha mandato l’esercito nella città di La Libertad per metterla sotto assedio il porto.

O con me o dalla parte del virus

Secondo i dati forniti dallo stesso governo salvadoregno in due giorni sono stati arrestati 2220 persone per aver violato la quarantena. Le opposizioni hanno denunciato l’uso arbitrario del potere per militarizzare un paese per fini sanitari. L’aspetto grottesco, anzi delirante, di questa vicenda sta nel fatto che il presidente abbia accusato le opposizioni di essere “dalla parte del virus”, continuando a fare pressioni sugli avversari, scagliandosi contro la stampa e chiunque dissenta dal suo operato…

El Salvador: il blocco delle carceri contro le gang, in tempo di coronavirus

In uno dei paesi più liberisti dell’America Latina, lo scontro il tra potere legale del Palazzo e quello criminale dei territori si effettua dentro il sistema penitenziario.

28 aprile 2020 – La paura pandemica non ferma la guerra in corso tra “i due governi” salvadoregni: quello legale, rappresentato dall’ultra destra del presidente Nayib Bukele e quello criminale delle gang che controllano i territori. In seguito ad una impressionante escalation di una settantina di omicidi, avvenuta nel fine settimana, in particolare i 20 casi di venerdì scorso, e secondo le indicazioni dell’intelligence salvadoregna, gli ordini sarebbero partiti dalle carceri. Così, il presidente ha deciso di bloccare le carceri con perquisizioni a tappeto e isolamento dei boss, senza nessuna garanzia relativa alle misure di distanziamento per la diffusione della pandemia.

La guerra in corso tra governo ufficiale e il potere delle gang

Solo questa estate, Trump, imponendo il piano liberticida, concordato con i paesi partner neoliberisti dell’America latina, per fermare i flussi dei migranti negli Stati Uniti, dichiarava El Salvador, paese sicuro. Questo per accogliere i migranti che si spostano dal Guatemala o dall’Honduras, paesi che hanno problematiche molto simili, visto che i territori sono direttamente nelle mani delle gang.

Si, perché il “potenziale di fuoco” delle gang può essere misurato unicamente dalla presenza della stessa sui territori, e gli omicidi esprimono la migliore rappresentazione di azione territoriale. Occorre infatti specificare che “in questo paese sicuro” la maggior parte degli omicidi del fine settimana non hanno riguardato la criminalità, con faide o vendette trasversali. Sono stati colpiti normali cittadini, che vivono quotidianamente di vessazioni: dal pizzo nei negozi in poi…

Dalle informazioni che in questi giorni hanno fatto da sponda nel paese, con le analisi dei criminologi e degli esperti, quello che sembra chiaro è che, dopo quasi due mesi di quarantena per la pandemia e pochissimi fatti criminosi, e 11 mesi da quando vi è stata l’ultima concatenazione di omicidi seriali, questa impennata improvvisa rappresenta un messaggio da parte dei boss che stanno in galera, al fine di avere dei benefici per la loro situazione.

Quel fatto strano

Ma c’è un fatto strano. Sembra cioè che in alcune di questi istituti di pena, dove sono rinchiusi i boss, siano stati fatti uscire dei carcerati, in seguito al coronavirus, che avrebbero trasferito ordini alle gang in strada. Le autorità non hanno voluto chiarire quest’aspetto che ha degli ampi margini di ambiguità.

Il direttore generale dei centri penali salvadoregni ha disposto ieri misure eccezionali che possono essere sintetizzate in due interventi: perquisizioni a tappeto per cercare dei risconti possibili con quello che è successo nel fine settimana, e isolamento dei boss. Nel primo caso si cercano quelli che in Sicilia vengono chiamati “pizzini”, cioè ordini scritti a mano. Poi, non esistendo carceri di massima sicurezza dove è previsto l’isolamento, sono stati individuati settori degli stessi istituti penitenziari, dove fare dei lavori di ristrutturazione per sigillare le celle. Questo al fine di separare soldati e boss delle gang per impedire lo scambio di informazioni.

Cile: lo sciopero della fame dei prigionieri mapuche verso il tragico epilogo

I prigionieri mapuche sono da due mesi in sciopero della fame per protestare contro le disposizioni carcerarie nei loro riguardi: non hanno usufruito dei benefici per la pandemia destinati a tutti i detenuti. Così, dopo settanta giorni che non mangia, il leader Celestino Códova rinnova la lotta e invita tutti a non mollare fino a quando le terre ancestrali non vengano restituite.

13 luglio 2020 – Celestino Códova è Consigliere spirituale del popolo Mapuche, quel popolo che in Cile ha avuto sottratto il proprio territorio ancestrale, da un sistema endemico di corruzione statale, che negli anni ha permesso di svendere quelle terre, con l’imbroglio, a grandi imprenditori, tra cui Benetton. Le lotte di rivendicazione ai soprusi sono lotte di resistenza, con azioni di disturbo soprattutto lungo le strade di collegamento. Ma sono anche storie di morti giustiziati dalle forze dell’ordine… Così quello Stato che ha tolto le terre ancestrali ai mapuche, in seguito alla resistenza, li considera terroristi.

Lo sciopero della fame per resistere

Durante la pandemia tutti i prigionieri mapuche non hanno potuto godere dei benefici come la detenzione domiciliare, riservata agli altri detenuti, per cui da questo ne è nato un grande sciopero della fame nelle carceri cilene. Il leader di questo movimento è proprio lui, Celestino Códova, che da settanta giorni non mangia… Se continuasse così la fine sarebbe vicina…

Celestino non si ferma insieme ai suoi compagni  

Ma Celestino non si ferma, e lancia un grande appello al suo popolo dal carcere: “in caso di una morte possibile […] non abbassare la guardia e combattere fino a quando lo stato cileno restituisca il territorio ancestrale dei mapuche”.

Un movimento carcerario dei prigionieri mapuche che non si arrende, ecco perché la portavoce della protesta, Cristina Romo, ha lanciato la mobilitazione intra-carceraria su vasta scala. I prigionieri mapuche sembrano essere intenzionati a morire per la propria causa…

Naturalmente la Procura cilena non ha battuto ciglio davanti a questa situazione, mostrando tutta l’intenzione di non cedere e lasciarli morire…

Il governo Bolsonaro verso il genocidio degli indigeni brasiliani

Sembra che non ci siano più dubbi sulla volontà di portare avanti un genocidio da parte della  presidenza Bolsonaro, denunciano i rappresentanti dei popoli indigeni, investiti prima dai saccheggiatori di Stato e poi dalla pandemia, favorita anch’essa dalle operazioni di estrazione illegale.

14 luglio 2020 – La rete dei popoli indigeni del Brasile, Articulación de los Pueblos Indígenas en Brasil (APIB), si è riunita domenica denunciando il genocidio pianificato dall’attuale Presidente brasiliano Jair Bolsonaro.

Il presidente genocida

Che nel XXI secolo il genocidio, anche in democrazie fragili, potesse essere uno strumento di programmazione etnico-politica, è cosa da fare venire i brividi. Ma così è nel Brasile del 2020, dove il presidente fascista Bolsonaro ha pianificato misure per annientare i popoli indigeni dalle loro terre ancestrali. Dalla disponibilità a favorire i “ladri della terra”, alla protezione anche armata dei “disboscatori”, per finire con la relativa corsa alle miniere anche di fortuna.

La totale eliminazione delle misure costituzionali di salvaguardia ambientale delle popolazioni indigene dell’Amazzonia, ha fatto il verso all’altra tragedia degli ultimi mesi: la pandemia. Secondo i dati APIB più di 12.000 indigeni sono stati infettati e 453 sono deceduti.

La vulnerabilità usata come un’arma di morte

La popolazione indigena è stata la più colpita in Brasile a causa del Covid-19, hanno ripetutamente denunciato le popolazioni indigene, anche perché il tema della vulnerabilità non è stato minimamente preso in considerazione da parte delle autorità.

Si perché il livello di vulnerabilità delle popolazioni indigene, che vivono praticamente allo stato di natura, cosa che impedisce di sviluppare anticorpi, è altissimo rispetto alle popolazioni urbanizzate. Invece il governo Bolsonaro si è mosso come se, contro i popoli ancestrali, volesse usare la vulnerabilità sotto forma di arma di distruzione di massa.

Chi parla di indolenza, chi di intento pianificato, fatto sta che anche alcune organizzazioni internazionali per i diritti umani, hanno stigmatizzato l’uso dei permessi per operazioni illegali di tipo estrattivo, prova provata di una pianificazione del genocidio.

Non moriremo come 520 anni fa”

Nell’incontro di domenica Alberto Terrena uno dei membri dell’APIB, ha spiegato in plenaria la situazione degli insediamenti indigeni nel paese: “Bolsonaro ha scelto gli indigeni come nemici. Non accetteremo di essere massacrati ancora una volta, come è successo 520 anni fa (…) Non è che con i governi precedenti sia stato facile, abbiamo sempre combattuto, ma ora costui cerca di toglierci quei diritti conquistati, per farci tornare alle sofferenze del passato. Quella della nostra gente è un’antica lotta che continuerà contro questo governo genocida

Honduras: rapiti i leader della comunità garífuna, per lo sfruttamento delle terre

Anche in Honduras, dopo le cronache che abbiamo seguito in Brasile, Cile, Colombia e Bolivia, l’establishment autoritario del paese, governato, da Juan Orlando Hernandez, mette sotto attacco le comunità indigene per sottrargli le terre ancestrali, allo scopo di sfruttare le risorse naturali.

28 luglio 2020 – Quella che questa volta è stata presa di mira è la comunità Garifuna, presso Triunfo de la Cruz, a circa 220 km a nord della capitale Tegucigalpa, sulla costa del Mar dei Caraibi. Sabato scorso, sono stati prelevati nelle loro abitazioni, da uomini della Direzione investigativa della polizia, quattro persone, attivisti della comunità Garifuna: Sneider Centeno, presidente del “Patronato de la comunidad“, membro della “Organización Fraternal Negra de Honduras“(OFRANEH), Milton Martínez, Suany Álvarez e Gerardo Mizael Rochez del “Comité de Tierras de la comunidad“, questi ultimi operano presso i centri di Tela e Atlántida.

I portavoce dell’OFRANEH, hanno denunciato l’accaduto, chiedendo subito il rilascio dei quattro attivisti, e martedì scorso hanno presentato un Habeas Corpus presso il Tribunale di primo grado di Atlántida. Con le loro dichiarazioni hanno segnalato che alla base di questi arresti vi è la volontà di tenere sotto scacco la comunità per espropriare le loro terre e venderle ad imprenditori compiacenti, al fine di sfruttarne le risorse naturali…

Una storia che parte da lontano

La dirigente garífuna Miriam Miranda: “I nostri problemi non iniziano con i rapimenti di Triunfo de la Cruz, poiché abbiamo dovuto affrontare problemi simili a Barra Vieja e San Juan (…) Per due decenni, uomini d’affari, trafficanti di droga e palme hanno iniziato a terrorizzare la comunità di Garifuna di Triunfo de la Cruz”.

Il caso dell’omicidio di Berta Caceres, barbaramente assassinata il 3 marzo del 2016, rimane paradigmatico per comprendere gli appetiti sulle terre ancestrali. Era un’attivista dei diritti civili che si batteva contro la deforestazione e gli investimenti delle holding, sorrette dal governo di Hernandez, legato a doppio filo anche con i cartelli della droga.

Il doppio gioco

Infatti, l’aspetto ancora più drammatico di questa situazione, rivelata da Miranda, è il doppio gioco assunto dalle autorità costituite, che formalmente hanno arrestato a Tela un uomo, di cui è stato solo lasciato trapelare il soprannome, “Gringo”, fatto strano, per un organo di polizia. L’uomo era in possesso di tre armi da fuoco, secondo il Capo di quella direzione investigativa, che grottescamente, sarebbe l’organo che ha sequestrato i quattro attivisti. “Non abbiamo alcuna relazione ufficiale – sottolinea Miranda – da parte dello Stato oltre a quanto affermato dai media o dalle dichiarazioni del Segretariato per la sicurezza”.

Le proteste della comunità

I membri Garifuna delle comunità di Travesía e Bajamar hanno organizzato una manifestazione sabato prossimo per chiedere il rilascio dei quattro leader della comunità. Un portavoce di Bajamar: “Abbiamo deciso di incontrarci qui come popolo per raccogliere canzoni ed eseguire uno dei nostri riti famosi quando affrontiamo situazioni come queste”.

El Salvador: El Chenga governa interi territori con gli espropri

Proprio quando il presidente salvadoregno annuncia che gli omicidi nel paese sono diminuiti, lo scorso fine settimana si sono consumati gli ennesimi espropri delle famiglie residenti nella zona rurale di San Julián. Ma la denuncia nascosta dei residenti è contro il governo neoliberista che manda le forze dell’ordine solo in caso di assassinio.

9 settembre 2020 – In assenza dello stato salvadoregno, le gang, nel 2020, hanno espropriato 32 gruppi familiari delle loro case e dei beni. Lo scorso fine settimana sembra sia stato paradigmatico per i cantoni di Peña Blanca e Palo Verdenel comune di San Julián,questo perché l’organizzazione criminale MS-13, il cui capo è soprannominato El Chenga, ha allontanato con minacce e percosse le ultime tre famglie, che, in ordine temporale, compongono questa triste statistica.

Taglieggiati, minacciati e aggrediti

Rosa A. Viveva con la sua famiglia a Peña Blanca, possedeva un mulino e un negozio. Secondo le voci raccolte dai residenti, le estorsioni erano sempre più alte e con minacce e aggressioni continue nei confronti dei figli.

Sabato, Ronal, uno dei figli della donna, litigava con il boss, il quale gli puntava una pistola alla testa. Una scena che faceva impazzire Rosa, la quale si scagliava sul criminale posando un coltello sul suo addome, minacciando di tagliargli lo stomaco se non avesse lasciato il figlio. Dopo di che l’intera famiglia per paura di ritorsioni è scappata via lasciando i loro ricordi ed i loro beni nelle mani di El Chenga.

Il controllo sociale criminale del doppio Stato

El Chenga, come abbiamo visto, va in prima persona a minacciare ed aggredire i residenti di questi due cantoni, per estorsioni, quando va bene, ed espropri; ma ogni tanto ci scappa qualche morto, come in maggio… Un padre ed un figlio sono stati freddati, 66 e 36 anni, uno pensionato l’atro commesso, il primo ammazzato direttamente da El Chenga.

E’ un clima di terrore quello in cui tutti i residenti sono costretti a vivere. Tutti hanno voglia di denunciare ma nessuno ha il coraggio di metterci la faccia. Così, quando qualche giornalista locale cerca informazioni, tutti parlano di nascosto: “Se Chenga – osserva un residente al giornale “El Diario de Hoy” – si accorge che uno possiede una mandria o compra un carretto gli va subito a chiedere 200 o 300 dollari”.

C’è in questi luoghi un controllo sociale fittissimo, quasi come un “doppio Stato”, simile per certi aspetti al controllo mafioso dei territori del sud Italia. In questo caso però nelle aree rurali del paese le forze dell’ordine si fanno vedere solo se ci sono omicidi, come appunto denunciano sommesssamente i residenti. In quei casi si vanno a nascondere nelle cuevas, per poi uscire come topi appena polizia e militari vanno via.

Le pratiche diffuse dei regimi liberisti

E’ questa una pratica abbastanza diffusa nelle zone rurali dell’America Latina, con fenomenologie simili in Honduras e Colombia. In tutti i casi l’assenza sul territorio dello Stato e delle forze dell’ordine consente la formazione di realtà simili a quelle del Far West.

Nel caso salvadoregno c’è un presidente, Nayib Bukele, iperliberista, che tra una occupazione militare del parlamento e la narrazione che gli omicidi da quando c’è lui sono in diminuzione, si caratterizza per uno stile di comando autoritario e liberticida.

In tal senso gli espropri nelle terre latinoamericane sono proprio il prodotto di uno Stato che abdica al suo ruolo di garanzia per la sicurezza del proprio popolo.

Le lotte sindacali in Costa Rica contro il presidente neoliberista

Mentre i privilegi per gli evasori fiscali aumentano ed il popolo s’impoverisce, la paura di sottostare al giogo del Fondo Monetario Internazionale ha scatenato le piazze del piccolo paese centroamericano.

14 ottobre 2020 – L’aveva promesso Célimo Guido, leader del Movimiento Rescate Nacional (MRN), che le proteste di piazza non si sarebbero esaurite, dopo la dura repressione della polizia, perpetrata lunedì scorso.

L’opposizione sociale sul piede di guerra

Così è stata annunciata per oggi, nella capitale San José, una nuova mobilitazione del movimento che riunisce 36 organizzazioni sindacali, che culminerà presso l’aeroporto internazionale Juan Santamaría, Per lunedì prossimo invece è stato annunciato uno sciopero nazionale, tema il rifiuto delle politiche neoliberiste, leit motiv del continente latinoamericano.

Sotto ricatto del FMI

La manifestazione incriminata“ era stata indetta contro la richiesta di prestito al FMI di 1,75 miliardi di dollari, una ipotesi che metterebbe il paese sotto un ricatto continuo. Le gravi accuse del movimento sindacale sono state indirizzate contro il governo che avrebbe infiltrato degli agenti tra la folla, per innescare un conflitto finalizzato alla repressione.

Diseguaglianze e privilegi e il popolo sta a guardare

Del resto, dal tono degli slogan si evince la disastrosa situazione sociale del paese…   Che i ricchi paghino come ricchi e i poveri come poveri, Sì alle tasse per i grandi evasori, Niente più tasse per la classe operaia e il popolo, la Patria non si  vende, la patria si difende“. Poi, una volta arrivati, attraverso le strade principali del centro città, davanti alla residenza del presidente è iniziata la repressione della polizia.

Il gioco di parole del presidente

Il presidente Carlos Alvarado aveva annunciato, il 4 ottobre, dopo la primissima manifestazione di massa del 30 settembre svoltasi sempre nella capitale, il ritiro di quel piano. Non il ritiro della richiesta di prestito, ma di quel tipo di richiesta. Così facendo le organizzazioni di opposizione sociale hanno segnalato il  fatto che il presidente non rinuncia a negoziare con il Fondo Monedtario Internazionale.

Arrestato per corruzione il sindaco di Rio de Janeiro Marcelo Crivella

A pochi giorni dalla scadenza del mandato è stato arrestato, insieme al suo comitato d’affari,  per la fitta rete di tangenti costruita ai danni di qualunque imprenditore volesse prendere appalti nella metropoli carioca.

22 dicembre 2020 – Era stato lui stesso, Marcelo Crivella, sindaco di Rio de Janeiro, e pastore evangelico, a soli nove giorni dalla scadenza del mandato, dopo aver perso la rielezione, che all’interno del suo ufficio aveva organizzato una vera e propria cosca in stile mafioso, per estorcere denaro a chiunque volesse chiudere contratti con l’amministrazione pubblica della metropoli carioca.

La madre di tutte le tangenti

Il sindaco è stato arrestato, dalla polizia civile, nella mattina di oggi, in seguito all’indagine della Procura di Rio,  chiamata QG da Propina” avviata nel 2018, contro uno di quelli riconosciuti come riciclatore del denaro estorto: Sergio Mizrahy. La “madre di tutte le tangenti”, come si direbbe in Italia, ha riguardato le attività di corruzione della compagnia municipale di turismo Riotur.

Lo schema corruttivo

Lo schema corruttivo, estremamente oleato, vedeva al vertice, appunto, lo stesso sindaco. Il denaro veniva agevolato in forma di assegni, intestati a Rafael Alves, fratello di Marcelo Alves, presidente di Riotur.

Oltre al primo cittadino sono stati arrestati imprenditori, uomini d’affari, il capo della polizia in pensione, un ex senatore del partito repubblicano, il medesimo del sindaco, ed il tesoriere della campagna elettorale di Marcelo Crivella.

Un perseguitato politico…

Il primo cittadino di Rio ha, come di prassi, giustificato il suo arresto come una persecuzione politica, non si capisce bene come quali modalità, dato che Crivella è uomo di fiducia dell’attuale presidente Bolsonaro, che insieme a pezzi della magistratura ha impedito la partecipazione di Lula alle ultime elezioni presidenziali…

___________________________________________________________________________

Le questioni latinoamericane: uno sguardo d’insieme

INDICE DELLE FONTI NARRATIVE PER ARTICOLO

America Latina: approvate le leggi del Piano Condor 2.0

Toda Noticia, El Siglo, Telesur, Revista Forum, Pubblico

https://www.telesurtv.net/news/chile-camara-diputados-votaran-acusacion-constitucional-pinera-20191205-0023.html

Repressa con la forza la marcia dei migranti honduregni verso il Messico

FONTI: El Heraldo, La Jornada

https://www.elheraldo.hn/fotogalerias/1351225-468/fotos-caravana-migrante-enfrentamiento-mexico-guardia-nacional?mainImg=1

https://www.jornada.com.mx/sin-fronteras/2020/01/23/guardia-nacional-frena-avance-de-migrantes-centroamericanos-en-chiapas-4360.html

Omicidio Marielle Franco: continuano gli arresti dei poliziotti

Revista Forum

Lula andrà a colloquio dal Papa: verso una nuova teologia della liberazione?

Tele Sur, La Jornada

https://www.telesurtv.net/news/expresidente-lula-da-silva-visitara-papa-francisco-20200205-0042.html

https://www.jornada.com.mx/ultimas/mundo/2020/01/31/el-papa-recibe-en-el-vaticano-al-presidente-de-argentina-7297.html

Tentato golpe in El Salvador: il presidente entra con l’esercito in parlamento

Tele Sur

https://www.telesurtv.net/news/justicia-preve-medidas-salvador-acciones-nayib-bukele–insurrecion-presion-corte-suprema-20200209-0016.html

Lula si ritrova con papa Francesco: un altro modello economico è possibile

Revista Forum

La Corte Suprema brasiliana chiede la sospensione del presidente Bolsonaro

Tele Sur

https://www.telesurtv.net/news/corte-suprema-brasil-pide-proceso-judicial-contra-bolsonaro-20200331-0008.html?fbclid=IwAR2whrgYGrGtEHhpNaWi-xMxCSIMPaTmNROvDD5GdBkgs1uLvt2_xVnmZgA

Ecuador: la raccolta dei cadaveri pianificata dal governo

Tele Sur

https://www.telesurtv.net/news/gobierno-ecuador-coronavirus-cadaveres-guayaquil-20200413-0007.html

In Guatemala bandiere bianche nelle case per chiedere aiuto alimentare

Tele Sur

El Salvador: il Presidente mette in galera i trasgressori della quarantena

El Salvador

https://www.elsalvador.com/noticias/nacional/nayib-bukele-autoritarismo-cuarentena-obligatoria/707527/2020/

El Salvador: il blocco delle carceri contro le gang, in tempo di coronavirus

Al Jazeera, El Salvador

https://www.aljazeera.com/news/2020/4/27/el-salvador-inmates-crammed-together-in-prison-lockdown

https://www.elsalvador.com/eldiariodehoy/pandillas-violencia-asesinatos/709107/2020/

https://www.elsalvador.com/noticias/nacional/regimen-drastico-en-carceles-cero-visualizacion-reos/709471/2020/

Cile: lo sciopero della fame dei prigionieri mapuche verso il tragico epilogo

Tele Sur

https://www.telesurtv.net/news/lider-mapuche-llama-continuar-lucha-territorio-mapuche-20200713-0014.html

Il governo Bolsonaro verso il genocidio degli indigeni brasiliani

Tele Sur

https://www.telesurtv.net/news/indigenas-brasilenos-denuncian-vulnerabilidad-ante-covid-20200713-0043.html

Honduras: rapiti i leader della comunità garífuna, per lo sfruttamento delle terre

Tele Sur

https://www.telesurtv.net/news/honduras-etnia-garifuna-lideres-secuestro-20200719-0006.html

El Salvador: El Chenga governa interi territori con gli espropri

El Salvador

https://www.elsalvador.com/eldiariodehoy/ms-13-obliga-familias-abandonar-casas-zona-rural-san-julian-sonsonate/750866/2020/

Le lotte sindacali in Costa Rica contro il presidente neoliberista

https://www.telesurtv.net/news/costa-rica-sindicatos-protesta-contra-fmi-20201014-0002.html

Arrestato per corruzione il sindaco di Rio de Janeiro Marcelo Crivella

https://www.telesurtv.net/news/detienen-alcalde-rio-janeiro-crivella-corrupcion–20201222-0008.html