di Marco Marano
La concatenazione degli eventi dell’ultimo anno, guidati dal governo a stelle e strisce e dalle sue infrastrutture, hanno portato alla luce un nuovo piano Condor in America latina, denunciato ormai a chiare lettere dai partiti progressisti. Le ultime notizie, con intimidazioni da un lato e applicazione della prassi boliviana dall’altro, arrivano dal Messico e dalla piccola isola caraibica Dominica.
Bologna, 30 novembre 2019 – “Oggi nessuno ha dubbi. Esiste un nuovo piano Condor in America Latina: colpi di stato parlamentari, guerre giudiziarie contro l’opposizione, presidenti autoproclamati, colpi di stato militari, repressioni, carcere, omicidi e fanatismo religioso”. Con queste parole scritte in un twitt il 24 novembre, Esperanza Martinez, senatrice socialista del Fronte di Guasú in Paraguay, ha rotto il ghiaccio denunciando formalmente il precipitare della situazione in America latina.
Gli eventi concatenati
La consequenzialità e velocità degli eventi in alcuni paesi dove gli apparati militari sono controllati dagli Usa, come Bolivia, Cile, Colombia, prima e ancora Haiti, Honduras ed Ecuador, sono ineluttabili. In Brasile si è arrivati al golpe istituzionale attraverso parte del sistema giudiziario. Laddove gli apparati militari non sono sotto il controllo atlantico, attraverso la celebre School of the Americas, vedi il Venezuela o Cuba, i piani golpistici sono falliti.
Adesso la minaccia riguarda la piccola isola antilliana Dominica, il Nicaragua e soprattutto Messico, minacciato da Trump di un intervento militare, con la scusa di dichiarare i cartelli dei narcos organizzazioni terroristiche.
Le infrastrutture del Piano Condor 2.0
Nel febbraio dell’anno passato l’inquilino della Casa Bianca, in un discorso ai profughi cubani di Miami aveva dichiarato che “I giorni del socialismo e del comunismo sono contati, non solo in Venezuela ma anche in Nicaragua e a Cuba”. In realtà i piani di destabilizzazione del continente latinoamericano erano già partiti con Obama. Certo è che con quel discorso Trump ha in qualche modo ufficializzato il programma della Casa Bianca e messo in agenda quello che dopo i colpi di stato di Haiti e Bolivia e le repressioni militari in Cile e Colombia, si è palesato come il Piano Condor 2.0.
Anche perché il suo antesignano degli anni settanta ha fatto scuola al punto tale che le strutture statunitensi di addestramento come la School of the Americas, non solo ha continuato ad agire, ma a questa si è aggiunto il programma di addestramento militare per la formazione didattica di parecchi ufficiali dei paesi latinoamericani relativa alla controinsurrezione: il programma APALA.
Se il centro nevralgico delle operazioni di sabotaggio dei sistemi politici e delle opposizioni di sinistra del vecchio Piano Condor era a Panama, la sede di quello 2.0 sembra essere proprio Washington.
C’e da dire che senza il supporto dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), infrastruttura fondamentale nei sabotaggi dei governi progressisti, sarebbe stato molto più difficile riattivare un nuovo Piano Condor.
Invadere il Messico si può
La sconcertante dichiarazione di Trump sulla possibilità di un intervento militare in Messico ha lasciato basiti in molti nell’establishment del paese centroamericano. Occorre considerare che è da quando è stato eletto il nuovo presidente messicano Andréas Manuel Lopez Obrador, uomo di sinistra, tenuto in pugno da Washington sui temi migratori, che la minaccia viene rinnovata periodicamente, soprattutto dopo l’accoglienza come rifugiato a Evo Morales.
Formalmente, Trump accusa Obrador di non avere il controllo della situazione in merito ai cartelli della droga, per cui questo potrebbe rappresentare un pericolo per gli Stati Uniti. Dichiarando i cartelli come terroristi, Washington avrebbe strumenti legislativi per intervenire.
Questo significa tenere sempre di più sotto pressione il presidente messicano, che pur dovendo assecondare, sotto ricatto, le politiche liberticide sui migranti, ha promosso piani importanti contro la povertà, contro la corruzione endemica in Messico, contro le oligarchie burocratiche, che hanno tenuto nel sottosviluppo il paese per decenni, assecondati da governi neoliberisti protetti dagli Usa, che con i narcos andavano a braccetto. Non solo, ma stigmatizzare la situazione dei narcos messicani diventa quasi ridicolo, nel momento in cui l’autoproclamata presidentessa golpista della Bolivia, JeanineÁñez, ha una famiglia pienamente coinvolta nei cartelli della droga…
L’ultima minaccia: la prassi APALA della destabilizzazione in una piccola isola caraibica
L’ultima minaccia è indirizzata verso l’isola caraibica di Dominica, nelle piccole Antille. In questo caso è proprio l’OSA che sta cercando di aprire dei varchi per demolire il governo progressista del Primo Ministro Roosevelt Skerrit.
Le autorità dominicane hanno denunciato che il Paese è vittima di un piano di interferenza dell’Organizzazione degli Stati Americani a pochi giorni dalle elezioni generali del 6 dicembre. La situazione di questa piccola isola è interessante da osservare poiché si sta ripetendo lo stesso copione di quello boliviano, che viene insegnato nei corsi APALA tenuti dall’FBI.
Luis Almagro, presidente dell’OSA, fin da agosto ha chiesto che sull’isola si insediasse una commissione affinché venisse revisionato il sistema elettorale. Hanno inscenato con qualche centinaio di miliziani improvvisati delle proteste per creare caos, sostenendo il candidato di destra Lennox Linton.
Il governo dell’isola è riuscito a tenere testa agli attacchi dell’OSA, anche grazie alla mobilitazione popolare. Per tale motivo verrà impedito agli osservatori di Almagro, gli stessi che hanno innescato il golpe in Bolivia, di venire a monitorare le elezioni della prossima settimana…
FONTI: The Gray Zone, La Jornada, Prensa Latina, Telesur
Immagine in evidenza: cubainformazione.it
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