Per un’analisi storica dell’informazione

Alla scoperta di una possibile metodologia della ricerca: l’analisi storica dell’informazione


di Marco Marano

Nella tradizione storiografica, le tipologie di scrittura storica utilizzate come fonti per la ricostruzione degli avvenimenti, non comprendono gli “articoli di cronaca”. Saggi, volumi monografici, opere multivolume, manuali, dizionari, enciclopedie, romanzi storici, articoli divulgativi… Tra tutte queste manca appunto il “pezzo di cronaca”…

Dall’uomo massa all’uomo digitale

C’è da dire che l’esigenza di indagare la storia attraverso i mezzi d’informazione, con i “pezzi di cronaca”, diventa oggi impellente sia per una lettura del novecento, mediante la carta stampata, che per quella inerente al nostro tempo, attraverso il web… Gli elastici dentro le dimensioni cronologiche e fenomenologiche, rispetto a come la storiografia ha catalogato le epoche nel divenire del tempo, intrecciano la storia contemporanea del novecento: dall’età dei totalitarismi all’età della globalizzazione.

Nel momento in cui prendiamo, insomma, per buono il postulato secondo il quale la storia non è altro che il concreto divenire degli eventi nel corso del tempo, allora, almeno per ciò che riguarda, in modo specifico, l’uomo massa e l’uomo digitale, la carta stampata ed il web diventano le “fonti primarie” per eccellenza…

Le fonti narrative e la tradizione settecentesca

Il tema storiografico legato all’ambito delle fonti giornalistiche nella ricerca storica, riporta necessariamente al tema dei temi e cioè al binomio fonte/documento. Si perché gli articoli di cronaca rientrano nella categoria delle “Fonti Narrative”, e, rispetto a queste, c’è lo scontro storico con la tradizione settecentesca del “mito documentale” come unico elemento affidabile d’indagine, da qui la tendenza alla critica verso “memorialisti e cronachisti”.

I rapporti di dipendenza

Possiamo dire che se le fonti narrative si suddividono in fonti primarie, cioè esperienze dirette e materiali d’archivio, e fonti secondarie, come le narrazioni precedenti, il tema epistemologico viene rappresentato dalla modalità attraverso cui vengono usate le une e le altre. Sull’analisi del passato, nell’era della carta stampata, certamente l’elemento centrale della questione storiografica diventa la relazione tra le fonti ed il tempo, specificatamente ai rapporti di dipendenza tra le fonti. C’è una regola che definisce lo spartiacque storiografico: “una fonte più antica non può dipendere da una più recente”.

Le urgenze storiografiche

Ma forse il tema dell’oggi, nella “Civiltà delle notizie false”, per dirla all’italiana, è che occorrerebbe ribaltare il piano storiografico, cioè dovremmo reimpossessarci del passato recente, al di fuori delle vicende relative ai fatti politici di ieri (ma anche di oggi), anzi contestualizzando, ora e adesso, quei fatti, alla conoscenza che abbiamo di quel tempo.

Questo perché all’interno delle fragilità storiche della nostra era, relativamente ai meccanismi di alterazione della realtà e della verità, nei confronti di quella che un tempo veniva definita “opinione pubblica”, e che oggi qualcuno afferma non esistere più, in Italia intercettiamo un dato che, in tal senso, forse chiude il cerchio: l’alto tasso di “analfabetismo funzionale”, secondo i dati Ocsa del 2019.

Tutto ciò produce sistematicamente prassi, sia storiche che sociali, il cui obiettivo è la mistificazione, per interesse politico o culturale. Ecco che si fanno avanti i revisionismi storici di questa o quella corrente politica, di questo o quel potere pubblico. Riletture che sono il prodotto di un’epoca, la nostra, definita da un fenomeno che abbiamo intercettato in termini di post-verità.

Così, nel decennio appena trascorso, gli anni dieci del XXI secolo, il tema dominante che si è posto è stato quello che McLuhan chiamava il ribaltamento dei sistemi di significazione della società alfabeta… Il tema dei processi migratori, ad esempio, ne è forse la dimensione di sintesi più interessante, un tema che ha fatto saltare tutti i presupposti ideologici della civiltà liberale, legata alla salvaguardia dei diritti dei popoli.

Non solo, esiste una urgenza: la “storiografia dei fatti politici” è storiografia prevalentemente “secolarizzata”, cioè vista dal punto di osservazione dei sistemi politici, i quali, tradizionalmente, si sono contesi, nel passato, la sfera della verità con gli altri poteri, quelli della società: la stampa, bellezza!

La gerarchia delle notizie

Ecco che nuove conoscenze emerse tanti anni dopo non aiutano a comprendere appieno la verità dei fatti storici poiché “i paradigmi della storiografia secolarizzata”, rimangono ben saldi nelle architravi della memoria collettiva.

A ciò si aggiunga che nella società italiana dell’oggi il sistema dei mezzi di informazione vive forse il suo momento più basso, in termini di credibilità. Il fatto che l’agenda setting dei media si sovrapponga specularmente all’agenda del sistema politico, al di là delle tendenze giornalistiche verso l’agitprop, questo vuol dire che è il sistema politico a dettare la gerarchia delle notizie e non viceversa, come dovrebbe essere in un paese sano… Ma questa è una storia antica in Italia, che nell’ultimo decennio è entrata nella fase di non ritorno… E tutto questo a prescindere dal fenomeno globale che riguarda il concetto stesso di post-verità…

La storia recente e l’oblio dell’opinione pubblica

Gli stessi identici meccanismi possono essere dunque azionati sia che si tratti del presente che del passato prossimo. Parliamo di un presente velocissimo che già determina, da un anno all’altro, serie storiche e fenomenologie strutturate, subito dimenticate dall’opinione pubblica.

Il decennio che è appena trascorso, ad esempio, ha visto alcuni grandi fatti storici che già sono entrati nell’oblio dell’opinione pubblica italiana, proprio perché filtrati tramite i meccanismi della post-verità: le primavere arabe, i sommovimenti di massa nelle società occidentali, come le varie “Occupy” nei suoi diversi formati, la guerra per procura in Siria, la conseguente stagione stragista dell’Isis in occidente, i processi migratori, lo sviluppo dei sovranismi, la conclamazione delle post-democrazie, con l’esautoramento delle carte costituzionali…

Le fonti documentali dell’operazione Stay Behind

Dal punto di vista invece della storia contemporanea, nel suo complesso, soprattutto dal secondo novecento, i meccanismi di alterazione del senso storico, sono diventati una prassi politica in Italia, attraverso varie forme di revisionismi, puntuali al bisogno di definizione e rafforzamento del consenso, ed è questo il vero tema del “secolarismo”…

In tal senso, in Italia è diventata paradigmatica la vicenda delle scoperte relative alla operazione clandestina statunitense Stay Behind, avviata immediatamente dopo la fine della seconda guerra mondiale, vettore che ha traghettato verso il protocollo Gladio, firmato, nel 1956, dai vertici della Cia e del Sifar. Le rivelazioni di Giulio Andreotti all’inizio degli anni novanta, la desecretazione dei documenti, le inchieste parlamentari e storiche che ne sono derivate, hanno fondamentalmente cambiato la dimensione storiografica di quegli anni.

Questo tipo di conoscenze storiche, portate alla luce dalle fonti documentali, ad un certo punto in Italia hanno riscritto l’interpretazione di quegli anni, dei personaggi politici, delle battaglie parlamentari e nella società, del tipo di tensioni, del tipo di scontro dentro il sistema stesso…

Se noi andassimo a leggere, in un quotidiano di quell’epoca, i fatti descritti negli articoli di cronaca politica, ma anche di nera o di giudiziaria, quei fatti oggi assumerebbero un significato storico completamente diverso, rispetto alla ricostruzione “secolarizzata” della storiografia istituzionale, precedente a quelle rivelazioni e all’emersione dei nuovi documenti.

Il metodo dell’analisi storica dell’informazione

Forse, quella regola che fa da spartiacque storiografico la potremmo ridefinire riadattandola alle nuove circostanze di conoscenza… Nel caso dei documenti relativi a Stay Behind, potremmo così dire: una fonte narrativa antica, come un quotidiano posizionato nel 1950, può assumere un nuovo significato storico analizzando gli articoli di cronaca in ragione del loro contesto, assunto, al tempo presente.

Se le conoscenze che possedeva all’epoca l’opinione pubblica, sulle “trame silenziose” dei poteri, erano pressoché nulle, alcuni fatti finalizzati a coprire questi “silenzi”, dagli storici secolaristi, sono stati codificati in funzione di quell’establishment. Gli stessi fatti, con la fuoriuscita dei nuovi documenti storici, assumono un significato molto diverso…

In questa direzione salta il tradizionale rapporto di dipendenza: “una fonte più antica non può dipendere da una più recente”. Nel nostro caso, la fonte recente, il documento storico, può ridare un significato diverso al pezzo di cronaca che descrive la realtà del tempo, esautorata dalle trame silenziose, invertendo, quindi, il tradizionale rapporto di dipendenza.

Possiamo certamente dire che attraverso le fonti documentali è stato riscritto lo scenario socio-politico, per cui l’analisi dei giornali dell’epoca, in tal senso, non può che dipendere, nell’interpretazione storica dei fatti sociali e politici, dalle scoperte recenti che allora erano ignare a chi scriveva.

Questa “analisi storica dell’informazione” consente, prima di ogni altra cosa, la costruzione di un quadro logico contestuale, all’interno del quale l’articolo del quotidiano del 1950 può essere interpretato con una migliore aderenza al concetto di verità storica, per la diretta prossimità ai fatti.

In tal senso, c’è la possibilità che ad una delle fondamentali meta domande della storiografia contemporanea si possa rispondere con una certa consapevolezza, perché “i fatti parlano da soli”, solo se ben contestualizzati…

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