di Marco Marano
Dichiarato lo stato di emergenza, in seguito alla rivolta popolare scoppiata per i brogli del presidente Hernandez e mentre si ricontano i voti cresce il bilancio di morti e feriti.
Bologna, 5 dicembre 2017 – Sono passati nove giorni dalla tornata elettorale in Honduras per la carica di presidente e la situazione nel paese è sempre più caotica e violenta. I due contendenti sono Juan Orlando Hernandez, espressione del Partito Nazionale dell’Honduras e presidente in carica, vicino all’establishment finanziario e alle forze armate. Il suo contendente è Salvador Nasralla, un ex presentatore televisivo cresciuto politicamente nella sinistra bolivariana, e leader di una coalizione anticorruzione, legata ai nativi e al movimento contadino.
Una operazione raffinata
I fatti che hanno portato al drammatico susseguirsi degli eventi riguardano il 27 novembre, giorno del conteggio. Si è trattato di una operazione assai raffinata. Arrivati al 70 per cento dei voti scrutinati, il candidato della sinistra era in vantaggio di 5 punti percentuali. Ecco che il server del sistema telematico del Tribunale Supremo Elettorale, s’interrompe. Una volta riattivato, il trenta per cento restante dei voti da scrutinare danno un vantaggio al presidente in carica, che praticamente vince la competizione con il 42,98 contro il 41,39 per cento del suo avversario. Così l’opposizione ha chiesto a gran voce il riesame dei 5174 verbali che fanno riferimento al sistema telematico. Per cui il avviato il ricontegio, il paese resta col fiato sospeso…
In dubbio ci sarebbero 300mila voti. In tutto questo bailame la missione di osservatori dell’Organizzazione degli Stati americani (OAS) ha dichiarato l’incertezza dei risultati, senza approfondire la questione. A capo di questa delegazione c’è un certo Jorge Quiroga, noto anti chavista, oltre che vicepresidente del dittatore golpista della Bolivia Hugo Banzer Suárez.
La rivolta di un popolo
Troppe ne ha passate questo popolo per restare ancora zitto. Trafitto dalla povertà, dalla corruzione, reso suddito dalle corporazioni finanziarie, dai colpi di stato, dalla violenza di un potere autoritario anche quando si traveste da falsa democrazia. Così il popolo è sceso in piazza, urlando il proprio dolore, tra gli scontri con l’esercito e le barricate improvvisate. Le contestazioni sono dilagate in quasi tutti i dipartimenti statali. Nella capitale Tegucigalpa i cittadini hanno cercato di fare irruzione nella sede del Tribunale elettorale. Le strade sono state coperte dai lacrimogeni, mentre l’esercito, in tenuta antisommossa, ha represso brutalmente le proteste. Le barricate hanno bloccato le arterie stradali, mentre in alcuni centri sono state assaltate banche e centri commerciali. Fino ad adesso il conto dei cadaveri rimasti in strada sono 11, secondo la Commissione interamericana dei diritti umani (IACHR), mentre i feriti sarebbero una trentina. Venerdì scorso il Presidente uscente Hernández ha proclamato lo stato di emergenza, che comporta la limitazione della libera circolazione tra le 18 e le 6 del mattino per dieci giorni.
Il nostro popolo è sovrano
Nel contesto generale diventa di estrema importanza il comunicato congiunto della Direzione generale della polizia nazionale e delle forze speciali, appartenenti al Comando speciale “Cobra”. In sintesi, le forze di polizia, a differenza dell’esercito, si sono rifiutate di far rispettare lo stato di emergenza: “Il nostro popolo è sovrano e noi rispondiamo a lui, quindi, non possiamo affrontare e reprimere i suoi diritti”.
Un’instabilità permanente
Ma l’instabilità honduregna parte nel 2009 quando un colpo di stato militare mise fine al governo dell’allora presidente eletto Manuel Zelaya, il quale aveva deciso di convocare l’Assemblea Costituente Nazionale per riscrivere la Costituzione, al fine di potersi ricandidare, dato il vincolo di un mandato.
Da quel momento in Honduras si instaura un regime autoritario sotto varie forme e modalità, sostenuto dagli Stati Uniti di Barak Obama. Il simbolo della repressione sotterranea nei confronti degli oppositori a questa dittatura mascherata fu Berta Caceres, una combattente dei diritti civili delle popolazioni native che attraverso la deforestazione e gli investimenti delle holding stanno vedendo scomparire le loro terre ancestrali. Fu assassinata da un commando armato il 3 marzo del 2016.
Nel 2014 Hernandez s’insediò nella carica di Presidente dopo elezioni anche qui molto contestate. Durante la sua presidenza, dato l’appoggio delle forze armate, fece quello che non riuscì a Zelaya, cioè cambiare la Costituzione per potersi ricandidare. E così fu. C’è da dire che sia nel primo caso che nel secondo la prassi per riscrivere la Costituzione era illegale.
Peccato che chi grida contro la “dittatura” di Maduro in Venezuela, non riesca a proferir parola su quello che succede in Honduras da dieci anni…
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