EPOPEA DELLE POST-DEMOCRAZIE LATINOAMERICANE – Dal golpe istituzionale alla distruzione del pianeta

Assalto ai popoli

di Marco Marano

La realtà sociale brasiliana è entrata in una profondissima crisi nel 2016, dopo il golpe istituzionale che ha permesso la defenestrazione della presidentessa Dilma Rousseff, ma poi anche in seguito all’arresto dell’ex presidente Lula, sulla base di accuse totalmente inventate.

Quella che ne è uscita fuori è una nazione in preda sempre di più alla violenza, ai soprusi, alle angherie delle consorterie economiche, alle ingiustizie sociali. A fare da perno a questi anni di brutalità vi è la famiglia Bolsonaro, il cui pater familias è diventato presidente del Brasile grazie al golpe istituzionale.

E’ lui che è diventato il simbolo della vendita e dell’uso delle armi. E’ lui che si scopre essere tra i mandanti dell’omicidio della consigliera comunale di Rio Marielle Franco. E’ lui che nasconde le falsificazioni della magistratura per far arrestare Lula, il cui principale accusatore diventerà suo ministro della giustizia. E’ lui  che determina lo sventramento della foresta amazzonica per far posto all’agrobusiness. E’ sempre lui chiamato a rispondere, dal Senato brasiliano, di ben 10 capi  d’accusa per la gestione della pandemia, tra cui la violazione dei diritti umani…

In galera il promotore dell’impeachment a Dilma Rousseff

Eduardo Cunha, potente uomo politico brasiliano, è stato condannato a 15 anni per corruzione.

31 marzo 2017 – L’ex presidente della Camera bassa brasiliana è stato trovato colpevole di corruzione dalla Corte federale, in seguito al coinvolgimento nell’inchiesta “Lava Jato”, sullo scandalo della compagnia petrolifera statale Petrobras. Nel contesto di una straordinaria rete corruttiva che ha coinvolto gran parte del sistema parlamentare e federale brasiliano, Cunha è stato condannato a 15 anni di reclusione per aver intascato una tangente di 1,2 milioni di euro in franchi svizzeri al fine di “facilitare” il patto tra il governo del Bénin e la Petrobras per lo sfruttamento di un giacimento petrolifero nel paese africano. I soldi infatti sono stati stornati in una banca svizzera a nome della moglie, paese in cui il suo nome compare direttamente nella formazione di una società off-shore. I legali dell’ex potente uomo politico brasiliano hanno dichiarato la volontà di fare ricorso in Appello, che Cunha attenderà in galera.

Promotore di un “golpe istituzionale”

Fu il promotore, nel 2015, dell’impeachment nei confronti della presidentessa della repubblica Dilma Rousseff. Mobilitò tutti i parlamentari coinvolti nello scandalo Lava Jato, ma anche altri inquisiti per vari reati come frode e omicidio. Lo stato di accusa nei confronti della presidentessa non riguardava le tangenti né l’industria petrolifera, ma una prassi parlamentare storicamente usata da tutti i governi, quella della “pedalata fiscale”: ritardare il passaggio di denaro dalla contabilità dello Stato a banche ed enti pubblici. Una volta defenestrata dal potere la Rousseff, ampi pezzi della società brasiliana, tra cui musicisti e scrittori, si sono mobilitati contro quello che è stato definito un “golpe istituzionale”.

Il potere della corruzione

Era uno degli uomini più temuti e più corrotti dell’intero sistema politico brasiliano, leader del partito conservatore PMDB, “Partito del Movimento Democratico Brasiliano”. Il suo è stato uno dei primi nomi a comparire nello scandalo Lava Jato, che ha coinvolto più di un terzo del parlamento verde orotra cui l’attuale presidente in carica Michel Temer, ex vicepresidente della Camera quando Cunha la presiedeva, come anche il presidente del Senato Renan Calheiros. L’accusa è quella di essersi intascati milioni di dollari dalle imprese di costruzione che fornivano servizi al gigante petrolifero Petrobras. Non solo ma il nome di Eduardo Cunha, insieme a quello di altri politici, è stato anche trovato tra i documenti dello scandalo “Panama Papers”: dirottava, usando i familiari come prestanome, parte degli introiti delle tangenti Petrobras alla società Mossack Fonseca.

Sotto inchiesta il sistema politico

Dei 200 indagati nel mirino della magistratura brasiliana ci sono membri di tutti i partiti sia di governo che di opposizione, ecco perché vi è il rischio che molti deputati possano fare la stessa fine di Cunha, decimando il Parlamento. L’inchiesta divisa in più tronconi, segue varie piste, una delle quali è la ricerca di 2,3 miliardi di reais, circa 731 milioni di dollari, che i magistrati hanno individuato tra le fila del Partito Progressista. Si perché, come fu per Mani Pulite in Italia, il sistema corruttivo si è sviluppato proprio grazie all’ingerenza dei partiti nella società brasiliana. 

Il popolo nemico del governo brasiliano

Il 22 febbraio 2018 una notizia sul presidente golpista Tremer lasciava sbigottiti. Decretato lo Stato d’eccezione dal presidente golpista, per militarizzare le favelas di Rio de Janeiro, ma il vero scopo sembra quello di aggirare la sconfitta parlamentare sulla nuova legge liberticida di riforma della previdenza pubblica.

L’intervento militare in corso sulle favelas di Rio de Janeiro, attivato grazie allo Stato d’eccezione, decretato da parte del governo brasiliano, se ha ufficialmente lo scopo di combattere il crimine organizzato, nella realtà, oltre a mettere a ferro e fuoco interi territori, sembra un escamotage per gestire al meglio la controversa riforma previdenziale. Si, perché il voto parlamentare su un emendamento costituzionale è vietato nel momento in cui vi è un intervento federale in corso.

Ma qual è l’interesse del presidente Temer d’impedire il voto parlamentare su una riforma da lui stesso voluta? Semplicemente perché nella votazione parlamentare sarebbe sconfitto, dato che da parecchi mesi il popolo brasiliano scende in piazza contro questa riforma, tanto che pezzi importanti del parlamento si sono schierati contro.

Il parlamento più inquisito della storia

In tal contesto, occorre ricordare che i due terzi dell’intero apparato parlamentare è inquisito per vari crimini, primo dei quali è lo scandalo Lava Jato, cioè l’operazione di “autolavaggio” relativa al sistema di tangenti all’interno dell’azienda petrolifera statale Petrobras. Gli stessi parlamentari che hanno votato nel 2016 l’impeachment contro la presidentessa liberamente eletta Dilma Roussefcostruendo ad arte accuse infondate.

Il popolo sotto scacco

Attraverso questa forma di gestione del potere, si mette sotto scacco una fetta di popolo brasiliano, la parte meno abbiente, la maggioranza nel paese, che rappresenta il bancomat del sistema di interessi, cosa che ha una ricaduta su tutta la società. Perché proprio su quel coagulo di interessi si è sviluppato il golpe parlamentare, mediante il quale è stata defenestrata Dilma Rousseff.

La tradizione brasiliana: infierire sui poveri

Il tema di fondo rispetto a questa nuova offensiva contro i territori degradati riprende un Leitmotiv tradizionale nella storia del Brasile: militarizzare il territorio per non affrontare le cause strutturali che determinano il nascere ed il diffondersi della criminalità organizzata. Sia nel caso della riforma previdenziale che in quella della sua copertura con lo Stato d’eccezione, emerge una linea di congiunzione netta, cioè quella di pensare al popolo come un nemico. Tessitura di un modello di gestione del potere funzionale alla sopravvivenza di quello stesso potere. Tenere sotto scacco il popolo si traduce nella possibilità di soggiogarlo e scaricare sulle classi più deboli i costi sociali della tenuta del potere e degli interessi in gioco: dalle privatizzazioni in poi…

La terza fase del golpe istituzionale

Ma c’è un altro tema forte che s’intreccia dentro la tenuta del sistema di potere: la cooptazione di pezzi della magistratura. Grazie a questo meccanismo trasversale di gestione degli interessi oligarchici è stato imbastito il processo all’ex presidente Lula, coinvolto anch’esso ad arte nell’inchiesta Lava Jato. Condannato in appello a 12 anni di reclusione, senza nessuna accertamento dei fatti ma semplicemente sulla base di calunnie mai provate.

Quella contro Lula è la terza fase del golpe istituzionale, poiché in una tale condizione l’ex presidente non potrà candidarsi alle elezioni presidenziali che si terranno nell’autunno di quest’anno: secondo tutti i sondaggi la sua elezione sarebbe più che certa…

Ultimo atto del golpe istituzionale: ‘Lula dev’essere arrestato’

Ad inizio aprile del 2018, il Supremo Tribunale Federale, cioè la Corte Suprema brasiliana, ha emesso il via libera all’arresto dell’ex presidente  Lula, in seguito alla condanna, senza uno straccio di prova, a 12 anni. Allo stesso tempo ha emesso una sentenza di non arresto per l’uomo forte del Senato Aécio Neves, accusato di corruzione, con prove circostanziali.

Era stato condannato per corruzione passiva e riciclaggio di denaro, l’ex presidente del partito dei lavoratori Luiz Inácio Lula da Silva. Una vicenda costruita ad arte all’interno della strategia di un composito cartello dove ci sono dentro la destra parlamentare, pezzi del sistema giudiziario e soprattutto il mediun mainstream Globo.

Le consorterie golpiste all’attacco

Solo per avere chiare le dinamiche golpiste brasiliane, Globo è uno dei principali finanziatori di un fantomatico Centro Studi con sede a Rio de Janeiro: “Istituto Millennium”. Si tratta di una sorta di Istituto di ricerca, teso a diffondere una visione del mondo incentrata sul liberalismo economico della destra moderna. Secondo l’Observatório da Imprensa l’obiettivo dell’IMIL è quello di influenzare la società brasiliana attraverso la diffusione delle idee dei suoi rappresentanti, esperti e giornalisti…

Si perché la particolarità, è che le grandi multinazionali che finanziano  l’Istituto sono presenti con i loro più alti dirigenti. C’è João Roberto Marinho, vicepresidente del Grupo Globo, l’editrice di Rete Globo, il più grande network televisivo brasiliano. C’è Judith Brito, dirigente di Grupo Folha, che controlla moltissimi media, tra cui il più importante è il quotidiano Folha de S.Paulo.

Dunque è facile pensare che la strategia golpista iniziata due anni fa con l’impeachement della presidentessa Dilma Rousseff, prosecutrice del lavoro di Lula, sia stata costruita proprio dentro questo Centro studi fantasma o comunque in situazioni affini.

Al di là dei poteri forti

Lula, quasi parallelamente all’impeachemente della Rousseff, veniva inquisito, poi processato e condannato per l’occultamente della proprietà di un appartamento che avrebbe ricevuto nell’ambito di “Lava Jato”. Si tratta dello scandalo sulle mazzette legate alla società di estrazione petrolifera statale, Petrobras, dove sono stati inquisiti più di un terzo dell’intero parlamento, tra cui lo stesso attuale presidente Temer.  Un’allegra compagnia di gangster che ha votato l’impeachement alla presidentessa, senza che vi sia stata nessuna violazione della Costituzione.

Il Supremo Tribunale Federale o Corte Suprema è un organo politico, all’interno del sistema giudiziario. I componenti sono direttamente nominati dal governo e non hanno scadenza, quindi la sua legittimità è direttamente proporzionale agli assetti del potere esecutivo.  La sua presidentessa, Carmen Lúcia, nominta ministro della Corte Suprema proprio da Lula, si è caratterizzata per la logica dei due pesi e due misure contro il suo ex pigmaglione.

Complotti e complottisti

Se ha votato contro Lula, con il risultato di 6 a 5 la stessa cosa non ha fatto per Aécio Neves, uno dei principali organizzatori del complotto contro la Rousseff, la cui richiesta d’arresto è stata promulgata dal Procuratore generale Raquel Dodge. Il potentissimo senatore del partito golpista PSDB, veniva denunciato per aver chiesto e ricevuto 2 milioni di reais, sotto forma di tangente, dall’imprenditore Joesley Batista, sempre nell’ambito del Lava Jato, il quale ha rivelato la tentata corruzione.

Poi c’è l’accusa di aver ostacolato la giustizia per il tentativo di occultamento delle prove. Nella vicenda rientra anche la sorella del senatore Andréa Neves da Cunha, il cugino Frederico Pacheco de Medeiros e Mendherson Souza Lima , l’ex assistente parlamentare del senatore Zezé Perrela (MDB-MG).

Parola d’ordine: Lula non deve candidarsi

Ora il tema centrale diventa la candidabilità di Lula alle prossime elezioni presidenziali, nell’ottobre di quest’anno. Perché se la Corte Federale Elettorale, anch’esso organo politico, darà il via libera per la candidabilità, Lula anche dal carcere potrà presentarsi e vincere a mani basse, dato che tutti i sondaggi lo danno per “stra-vincitore”. Ma come tutti pensano non sarà così poiché anche quest’organo è stato de facto fagocitato nella strategia golpista.

Trent’anni indietro

Certo è che l’involuzione che il Brasile ha vissuto negli ultimi due anni ha fatto ripiombare il paese di trent’anni indietro. Un paese dove solo sei persone hanno un reddito più elevato di 104 milioni di persone che vivono in povertà, cioè la metà della popolazione, quella che porterebbe Lula alla sua terza presidenza.

Un paese dove le forze di sicurezza sono state artefici dell’omicidio dell’attivista e consigliera municipale di Rio, Marielle Franco, perché da donna di sinistra, da lesbica, si batteva per i diritti delle donne, dei “negri”, della gente che vive nelle favelas, permanentemente oppressi e maltrattati dalle forze d’assalto.

Le stesse che si sono dichiarati, senza che nessuno glielo avesse chiesto, a favore dell’arresto di Lula. Proprio la settimana scorsa un convoglio elettorale dell’ex presidente veniva assaltato con armi da fuoco, cosa passata sotto silenzio. Forse perché oggi in Brasile non c’è più bisogno dei militari per prendere il potere illegalmente

Lula sequestrato dallo Stato’: scontro nella magistratura brasiliana

Si attendava da settimane, ed è arrivato in questa prima settimana d luglio del 2018, il responso sulla richiesta habeas corpus di tre deputati del partito dei lavoratori (Pt) sulla sorte dell’ex Presidente del Brasile Lula, rimasto incastrato dal piano golpista di una fetta della magistratura, in combutta con pezzi del parlamento e la superpotenza mediatica O Globo.

Lula è stato travolto da una condanna a 12 anni, per aver ricevuto un appartamento come tangente per lo scandalo Lava Jato, cosa, ovviamente, mai provata perché falsa. La motivazione della deputazione del partito dei lavoratori è stata fondata sul fatto che a Lula doveva essere riconosciuto il diritto di competere in eguali condizioni con i suoi avversari alle prossime elezioni presidenziali di ottobre.

Il giudice golpista

In questa seconda fase del golpe istituzionale l’asse portante è stato rappresentato dalla magistratura, che ha lavorato per tutto il sistema oligarchico finanziario, poiché se Lula si presentasse alle elezioni presidenziali di ottobre vincerebbe a mani basse: a quanto dicono i sondaggi, raccoglierebbe più voti di tutti i candidati messi insieme… L’uomo delle oligarchie è Sergio Moro, giudice del Tribunale federale di Curitiba, città nel cui carcere è rinchiuso Lula. E’ lo stesso che si è occupato dello scandalo Lava Jato, e che ha potuto, conoscendo a menadito le carte, costruire un’accusa, mai suffragata da prove, contro l’ex Presidente.

E’ lo scontro istituzionale

Domenica scorsa, di turno presso la Corte d’Appello del quarto Tribunale federale di Porto Alegre, c’era il giudice Rogério Favreto. E’ proprio lui ad emettere l’ordinanza di scarcerazione di Lula in risposta alla richiesta habeas corpus presentata dal partito dei lavoratori. Intanto migliaia di persone si concentravano in varie parti del paese per affermare l’illegalità della macchinazione giudiziaria, come oramai d’abitudine da quando l’ex Presidente è stato arrestato.

Dal  luogo di vacanze dove si trova, ovviamente avvisato per tempo, Sergio Moro ordina di non eseguire il provvedimento di Rogério Favreto, e investe, secondo la sua motivazione, per competenza, un altro magistrato del quarto Tribunale federale: João Pedro Gebran Neto.

Così arrivava un altro stop alla scarcerazione di Lula. Nel frattempo un centinaio di giuristi proclamavano Moro fuorilegge, cioè di operare al di fuori della legge… Ma Favreto non si faceva intimidire ed emetteva un altro provvedimento di scarcerazione, annunciando che se “entro il termine massimo di un’ora” Lula non fosse stato liberato, questo si sarebbe configurato come un azione di disobbedienza all’ordine giudiziario.

In questo scontro dentro la magistratura, l’ultima parola passava direttamente al Presidente del quarto Tribunale federale Carlos Eduardo Thompson Flores, che revocava il provvedimento di scarcerazione.

Le due tesi

A tal punto Lula rimaneva in galera, in un modo davvero grottesco, ma al tempo stesso si apriva un contenzioso dentro il sistema giudiziario con due tesi contrapposte…

Da un lato l’area della magistratura che afferma l’esistenza di un conflitto di competenze poiché solo il giudice di turno può intervenire sulla richiesta habeas corpus. In modo molto esplicito hanno detto che Lula è stato praticamente “sequestrato dallo stato”

Dall’altra parte, l’area golpista della magistratura che segnala, nell’ambito delle competenze, che non può essere il giudice di turno ad intervenire su una scarcerazione, decisa, dicono, da un Tribunale collegiale, cosa non perfettamente convergente con la realtà, dato che la macchinazione è stata accuratamente preparata da Sergio Moro.

Gli interessi in campo

Marcelo Tadeu Lemos de Oliveira, giudice in pensione intervistato dal sito di notizie O Portal Vermelho osservava: “È chiaro che la magistratura, a tutti i costi, sacrifica l’ordine legale per mantenere il presidente imprigionato illegalmente (…) Penso che, sfortunatamente, la magistratura alla fine del giorno avverta che non sta adempiendo al suo ruolo di garanzia di regolarità nello stato di diritto democratico”.

Gli interessi in campo, quindi, sono gli stessi della prima fase del golpe, che ha portato all’impeachment la Presidentessa Dilma Rousseff, anche qui, con accuse costruite ad arte, senza nessun presupposto costituzionale.

Sia la prima che la seconda parte del golpe hanno visto come scenario di fondo lo scandalo Lava Jato, appunto, attraverso cui due terzi dei parlamentari brasiliani sono entrati dentro una grande spartizione di tangenti, compreso l’attuale Presidente Temer, che ha preso il posto della Rousseff,  inquisito nell’ambito delle attività dell’azienda petrolifera Petrobras (Petrolio Brasiliano).

Un presidente che appena insediato ha cercato di demolire  i successi sociali innescati dalle presidenze del Pt, che hanno tolto milioni di persone dalla povertà assoluta. Il Presidente corrotto e golpista ha riportato il paese latinoamericano al disprezzo per i più deboli

Anche se alcuni parlamentari del loro partito hanno partecipato alla “grande abbuffata” di tangenti, paradossalmente, gli unici che ne sono rimasti fuori sono stati proprio Lula e la Rousseff.

Ma ambedue dovevano essere eliminati, poiché le loro politiche di sottrarre ai ricchi per dare ai poveri in Brasile non può durare a lungo; la storia, per chi la conosce, parla chiaro, nel paese delle favelas e delle oligarchie immensamente ricche…

Battisti distrae l’attenzione dei brasiliani, tra rivolte, persecuzioni e affari familiari

Perché lo Stato brasiliano si è così tanto prodigato ad arrestare Battisti fuori dal proprio paese? Una volta estradato il problema era della Bolivia e dell’Italia…

Gennaio 2019.  Diego Cunha De Albuquerque è un cittadino brasiliano che legge il giornale di San Paolo, legato all’establishment golpista, Folha de San Paulo, ed è proprio lui l’autore del nostro sottotitolo, pubblicato nel forum del giornale, sul pezzo dedicato al fatto in questione. Sulla stessa linea c’è Jose Ricardo Braga che scrive: “Bisogna distogliere l’attenzione dagli errori del governo di Bolsonaro…” E ancora Clovis Ramalho Maciel: “Un piccolo problema, con le priorità nazionali che ci sono, non può che essere quello di attirare i media. Dovrebbero tenere una riunione di emergenza per valutare l’assurdità e la reazione del governo…”

Un serial surreale

Le osservazioni di questi cittadini brasiliani sono la vera espressione del surreale serial imbastitosi nel fine settimana appena trascorso. Al di là delle grandi campagne morali e moralizzatrici su questo “cosiddetto assassino”, di cui gli italiani sanno essere l’autore dell’omicidio del gioielliere Torregiani,  fatto assolutamente escluso da tutte le indagini.

Al di là dello stato di diritto

Il paradosso del presidente del Brasile, Bolsonaro, dichiaratamente fascista, è che ha voluto partecipare a tutti i costi alla caccia in Bolivia del ricercato, come se fosse un suo affare personale.  Se Battisti fosse stato preso in Brasile i suoi difensori avrebbero potuto tentare di fermare l’estradizione poiché lì non esiste la condanna all’ergastolo.

Certo, lo stato di diritto in Brasile, non è più una  garanzia, dopo un golpe istituzionale e la condanna arbitraria, poiché senza prove, di Lula, con il suo accusatore Sergio Moro diventato, per meriti sul campo, ministro della giustizia…

La crociata ideologica di Bolsonaro

L’intento di Bolsonaro è stato quello di rafforzare la sua crociata ideologica contro la sinistra, e contro Lula, che non concesse l’estradizione proprio per il rispetto dello stato di diritto brasiliano. L’attuale presidente verde oro ha usato questo caso come un grimaldello, per distogliere l’attenzione dai fatti interni. Ma la strategia non gli è riuscita, poiché gli inquirenti italiani hanno lavorato direttamente con le autorità boliviane.

La violenza come collante sociale

Quello che sta succedendo nel nord est del paese, in particolare nello Stato federale del Ceará, la cui capitale è Fortaleza, è la chiave di lettura di un paese dove la violenza è il principale luogo di sintesi di qualsiasi controversia. Quattro delle gang tra le più ferociComando rosso (CV), Primo comando della capitale (PCC), Guardiani dello Stato (GDE), Famiglia del Nord (FDN), hanno stretto un patto di unione contro lo Stato. Così, nelle prime due settimane di gennaio, vi sono stati un totale di 110 attacchi. I bersagli sono stati edifici pubblici, autobus incendiati, e l’esplosione di una bomba in un viadotto. Il bilancio è di 3 morti, mentre 100 persone sono state arrestate.

L’accordo tra le gang del Ceará è strettamente connesso alla situazione carceraria brasiliana, che già negli ultimi due anni, in questa area geografica del paese, che si allunga fino all’Amazzonia, ha visto varie rivolte, come quella del maggio scorso, in quattro istituti penitenziari dello Stato, dove vi sono stati 14 morti. La causa era  semplicemente dovuta ad uno sciopero dei secondini, per questioni retributive, che ha impedito le visite dei familiari.

La guerra delle gang

In questa occasione di inizio 2019 la vera e propria guerra delle gang è stata innescata a causa delle dichiarazioni di Luis Mauro Albuquerque, Segretario dell’amministrazione penitenziaria, nominato dal governatore del Ceará del Partito dei Lavoratori, quello di Lula. In breve, egli ha annunciato che all’interno del sistema carcerario non verranno più separati i detenuti in base all’affiliazione alle gang.

Le misure del governo brasiliano fino ad adesso sono riconducibili al supporto di 300 nuovi poliziotti e l’impegno presidenziale di accusare  di terrorismo chiunque mini la società brasiliana.

Così, i “nuovi terroristi” brasiliani, hanno commentato: “Non tollereremo l’oppressione o il cambiamento all’interno del sistema. Se non cedono, pagheranno un prezzo molto alto. Perché non accetteremo il regime del boia senza prendere le armi. Non appena tocchi una delle fazioni, l’ordine è di innescare il terrore generale, dare fuoco a banche, uffici postali, stazioni di polizia e ponti e cavalcavia. Lasceremo il Ceará in uno stato di calamità pubblica”.

“Il sangue indigeno: non una goccia di più”

In Brasile sono circa un milione, i nativi che vivono nelle zone forestali del paese, in quella che possiamo definire area amazzonica: si tratta dell’1 per cento della popolazione, suddivisa in 145 popoli.

La Costituzione del 1988 ha determinato il rispetto dell’identità culturale delle popolazioni indigene e il diritto alle terre che tradizionalmente occupano. Negli anni questo dettato costituzionale è stato messo in crisi dai continui assalti delle lobbies con grandi interessi nelle risorse estrattive.

Le loro terre sono costantemente minacciate anche dalle occupazioni abusive di agricoltori, allevatori e minatori. Molti nativi vengono massacrati, una sessantina fino ad adesso sono stati uccisi, senza che questi delitti vengano rubricati. A garanzia del dettato costituzionale fu fondata la Fondazione Nazionale Indiana (FUNAI).

A ferro e fuoco la vita degli indios

Il nuovo governo di Bolsonaro sta mettendo a ferro e fuoco la vita degli indios, svuotando di contenuti il FUNAI, affidato al ministro della giustizia, Sergio Moro. Le competenze della gestione delle terre dei nativi sono passate nelle mani del nuovo ministro dell’Agricoltura, Zootecnia e Alimentazione, Tereza Cristina. Rappresentante degli interessi dell’agrobusiness nel suo stato di riferimento, cioè il Mato Groso do Sul, dove le dispute sulle terre sono furenti.

Il tema su cui si è attivata una vera e propria persecuzione dei nativi è legato alla demarcazione dei confini. Su questa nuova situazione la gara tra estrazione, agricoltori e allevatori nel togliere le terre a chi vi è nato è già partita.

Ma la resistenza dei popoli nativi si è subito fatta sentire con il lancio della campagna “Il sangue indigeno: non una goccia di più”, da parte dell’APIBArticolazione delle popolazioni indigene del Brasile. L’obiettivo è quello non solo di mobilitare la società brasiliana, ma anche di informare i paesi cosiddetti democratici che tacciono di fronte all’ennesimo scempio

Gli affari finanziari della famiglia Balsonaro

Si era presentato alle elezioni presidenziali, Jair Balsonaro, presentandosi come una figura contro la corruzione dilagante del paese. Attraverso una narrazione sostenuta dal sistema mediatico golpista, aveva individuato in Lula il nemico arrestato e condannato per corruzione, senza uno straccio di prova, ma come ultimo atto del golpe istituzionale, che ha portato questo fascista di lungo corso al potere.

Ma appena eletto iniziavano ad uscire i primi pezzi di verità: suo figlio Flavio, trentasettenne neosenatore, e la moglie Michelle, venivano coinvolti in un giro di mazzette verso altri parlamentari

Fabricio Jose Carlos de Queiroz era l’ex autista e consulente di Balsonaro, ha stornato, dal suo conto personale,  ai due familiari, 1,2 milioni di reais, quasi trecentomila euro, elargiti a vari parlamentari.

L’accusa è partita da un organo statale, il Consiglio per il controllo delle attività finanziarie del Brasile. Dal momento in cui la famiglia Bolsonaro è stata oggetto di indagine non è stata ancora in grado di giustificare il passaggio di denaro

L’ombra della famiglia Bolsonaro nell’omicidio di Marielle Franco

Un vero e proprio clan, quello costituito intorno alla famiglia del nuovo presidente brasiliano, che, a pochi mesi dalla sua elezione, in questo fine gennaio del 2019 vede il figlio Flavio già inquisito per corruzione, mentre uno dei suoi uomini più fidati sembra essere tra i possibili assassini della consigliera comunale di Rio uccisa l’anno passato.

Si potrebbe dire “tutti gli uomini di Bolsonaro e famiglia” stando alle rivelazioni giudiziarie delle ultime ore. Al centro dell’attenzione stanno le amicizie del rampollo di casa Flavio: una in particolare sembra essere il punto di snodo di una serie di fatti che lanciano  luce sinistra su questa famiglia, dichiaratamente fascista…

Autista e consulente

Si chiama Fabrício Queiroz, una sorta di factotum di famiglia: da autista a consulente… E’ lui l’uomo che ha smistato danaro, intorno alle 300.000 euro, più di un milione di reais brasiliani, a Flavio, ma anche a mamma Michelle, soldi usati per aggraziarsi le simpatie di alcuni parlamentari.

Ma c’è dell’altro. Il neo senatore Flavio Bolsonaro aveva tra le file dei suoi collaboratori la madre e la moglie di Adriano Magalhães da Nobregacapitano della BOPE, le forze d’assalto della polizia militare, contro il quale, proprio ieri, è stato avviato un mandato d’arresto, nell’ambito dell’operazione “Gli intoccabili”, con l’accusa di aver ucciso Marielle Franco, l’attivista dei diritti civili, consigliera socialista del Comune di Rio de Janeiro, che aveva avviato una campagna di denuncia degli assassinii deliberati da parte del BOPE nelle favelas di Rio.

Corrotti e corruttori

Fabrício Queiroz, autista, assistente, consulente della famiglia Bolsonaro ha spostato tra il 2017 e il 2018 quella montagna di soldi, non avendo un reddito tale da giustificarle. Soldi passati alla famiglia di cui è dipendente.

Poi ci sono i 96 mila reais che Flavio ha spalmato in 48 depositi tra giugno e luglio del 2017, che gli inquirenti definiscono “sospetti”. La famiglia in un primo momento aveva cercato di insabbiare la vicenda, in seguito alle sollecitazioni del rampollo di casa verso il giudice del Tribunale Federale Luiz Fux, uno dei persecutori di Lula, con la motivazione che essendo senatore i dati bancari non avrebbero dovuto essere forniti dal Coaf, l’organismo di controllo delle attività finanziarie.

Nel libro paga della famiglia Bolsonaro ci sarebbero stati 27 parlamentari e 75 dipendenti, di cui 28 sono stati trovati con ricevute di transazioni che s’incrociano perfettamente con i passaggi di denaro di Queiroz. L’inchiesta, condotta dalla stessa Amministrazione Federale apre uno squarcio sconcertante sul modo in cui i brasiliani siano caduti nelle trappole mediatiche costruite ad hoc, che hanno rappresentato Jair Bolsonaro come un eroe anticorruzione

Per correre ai ripari il Presidente in carica ha dichiarato di voler abbandonare il figlio al proprio destino, pur di salvare il suo mandato.

Il clan criminale

Adriano Magalhães da Nobrega, ex capitano del BOPE, ha ricevuto un mandato d’arresto sottoscritto dal Procuratore della Repubblica di Rio, nell’ambito di una operazione  avviata contro questa sorta di milizia della polizia, composta da 140 uomini, che negli anni si è macchiata di crimini nelle favelas, quelli denunciati appunto da Marielle Franco, che sembra essere stata la loro ultima vittima eccellente, come del suo autista Anderson Gomes.

Sono 13 in tutto i  mandati di arresto, anche se allo stato attuale Adriano Magalhães da Nobrega si è reso latitante.

Flavio Bolsonaro lo aveva ufficialmente omaggiato con queste parole: “Nel corso della sua carriera, ha lavorato direttamente e indirettamente per promuovere azioni di sicurezza e tranquillità per la società, ricevendo molti complimenti… Pieno di spirito comunitario, che ha sempre guidato la sua vita professionale, ha agito nell’adempimento del suo dovere di ufficiale di polizia militare in difesa dei cittadini. È con un senso di orgoglio e soddisfazione che tendo questo omaggio. ”

Nuova condanna senza prove per Lula: il popolo scende in piazza

L’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva ieri, 6 febbraio 2019, ha ricevuto un’altra condanna in un processo senza prove e con una decisione controversa come quella che ha subito sei mesi prima delle elezioni presidenziali.

La nuova condanna è di 12 anni e 6 mesi di prigione per corruzione passiva e riciclaggio di denaro nel processo sul cosiddetto “sito di Atibaia”, all’interno della grande inchiesta Lava Jato, che ha coinvolto tre quarti del precedente parlamento brasiliano… Secondo il nuovo Pubblico Ministero Federale, Lula avrebbe ricevuto 1 milione di reais in tangenti, per avviare i lavori di restauro di una villa di Atibaia. Secondo l’accusa, questi lavori sarebbero stati fatti poiché in quel luogo la famiglia di Lula andava in vacanza, per cui gli appaltatori avrebbero sborsato all’ex presidente il denaro contestato.

La trama delle accuse

L’avvocato della difesa Cristiano Zanin, che ha presentato delle obiezioni che neanche sono state prese in considerazione dagli inquirenti, ha chiesto le prove documentali di questo crimine, che ovviamente non sono state prodotte.

“La sentenza – osserva Zanin –  segue la stessa linea di quella emessa dalla ex giudice Sergio Moro, che ha condannato Lula senza aver fornito qualsiasi atto amministrativo legato a vantaggi indebiti (…) Ancora una volta la Corte Federale di Curitiba ha determinato la responsabilità penale dell’ex presidente sulla base di un’accusa che riguarda una proprietà che non possiede, un ‘contenitore unico’ con altri racconti accusativi riferiti solo da generosi informatori”.

Una sentenza politica

Piena di errori, la sentenza del giudice Gabriela Hardt, che ha sostituito l’ex persecutore di Lula Sergio Moro, nominato, per “meriti sul campo”, ministro della giustizia nel governo Bolsonaro. E’ l’ultimo episodio questo che prosegue la trama costruita ad hoc per distruggere la leadership politica dell’ex presidente.

Dieci mesi dopo il suo arresto, Lula rimane l’obiettivo di quei giudici che calpestano la costituzione brasiliana e le convenzioni internazionali, violando i suoi diritti per tenerlo lontano dalla sua gente…

Il popolo  in piazza

In questo fine settimana in tante città brasiliane il popolo  manifesterà la sua rabbia per questo gravissimo sopruso, che prosegue nella linea dettata dal golpe istituzionale avviato con la defenestrazione anticostituzionale di Dilma Rousseff…

Le città dove sono previste le manifestazioni

Curitiba, San Paolo, Belo Horizonte, Florianopolis, Porto Alegre, Cuiabá, Palmas, Recife, Vitória, Campo Grande, Campina Grande, Aracaju, Maceió, Macapá, Ribeirão Preto, São José dos Campos, Uberlândia.

Come uccidere un senzatetto nel Brasile di Bolsonaro

Un imprenditore decide di uccidere un senzatetto senza porsi il problema di essere ripreso dalle telecamere, mentre Bolsonaro fa approvare il suo decreto sulla liberalizzazione delle armi ad alta potenza usate dai servizi di sicurezza.

Una piccola storia ignobile

E’ questa una piccola storia ignobile che arriva dal Brasile. A riportarla è il giornale on line Revista Forum, il 20 maggio 2019. Sebastião Lopes dos Santos, un senzatetto di 40 anni che viveva in una zona di São Paulo che si chiama Santo André. L’uomo è stato trucidato a colpi di pistola, in seguito ad una lite di qualche giorno prima.

Il far west brasiliano

La storia in realtà è venuta alla luce grazie alle telecamere di sicurezza sulla via Visconde de Mauá. Qui si vede chiaramente la figura di quello che è stato identificato come un uomo d’affari mentre impugna una pistola e spara al senzatetto. “Le immagini mostrano un uomo di media altezza, in maglietta e berretto, che scende dal sedile del passeggero di un’auto di lusso, camminano verso Sebastiao e spara”. Non è stato rivelato il nome dell’omicida, poiché sembra essere un personaggio potente della città. Accanto a lui è stato anche incriminato un altro uomo suo complice, probabilmente il suo autista.

Il valore della vita di un senzatetto

Gli inquirenti sono risaliti all’assassino grazie alla Mercedes GLK 280, usata per commettere il crimine, posteggiata sotto casa dell’assassino proprio la notte dell’agguato tra lunedì e martedì. L’inchiesta, condotta in tempi velocissimi, ha permesso l’identificazione dell’uomo, il quale aveva litigato pochi giorni prima con il senzatetto, probabilmente per futili motivi, anche se l’arma del delitto non è ancora stata trovata. Fatto sta che l’imprenditore paulista ha forse ragionato sul fatto che la vita di un senzatetto poteva essere stroncata senza batter ciglio.

Un paese militarizzato

Una storia che parla da sola dato che coincide con l’approvazione del decreto Bolsonaro, che regola il possesso di armi, consentendo a qualsiasi cittadino brasiliano di acquistare fucili d’assalto T4 utilizzata dalle forze d’assalto. La società produttrice con sede a Rio de Janeiro esulta segnalando che hanno già 2000 ordinazioni che possono essere soddisfatte in due o tre giorni. Il decreto aumenta il limite di potenza delle armi che possono liberamente essere acquistate. Questo porterà alla possibilità che un comune cittadino possa acquistare pistole calibro 40 in dotazione alla polizia militare…

La resistenza degli artisti brasiliani per la liberazione di Lula

4 giugno 2019 – Si è svolto a San Paolo il Festival Lula Livre, promosso da un manifesto d’intenti attraverso cui decine di musicisti brasiliani hanno dato il loro contributo per tenere alta l’attenzione su uno dei casi più sconcertanti usciti fuori dal golpe istituzionale.

 “Lula è vittima di un processo falso, di una disposizione illegale di interessi. Una farsa, sullo sfondo di un appartamento inedito, senza le chiavi, che non è mai appartenuto a lui e dove non ha trascorso una sola notte. Una condanna senza prove, fatta per soddisfare i desideri di coloro che vogliono strappare i loro diritti”.

Da questo breve passo tratto da il “Manifesto Il Suono della Libertà” si evince come gli effetti del golpe istituzionale brasiliano, che hanno prodotto l’arresto del presidente più amato, mediante capi d’accusa totalmente inventati e costruiti ad hoc, hanno determinato la nascita di una resistenza civile che riesce a farsi sentire in tutto il mondo, la stessa che ha chiesto il nobel per la pace per Lula.

Una festa per la democrazia scippata

Così, dopo 14 mesi di reclusione dell’ex presidente, nella città di São Paulo, si è svolta domenica  2 giugno una nuova edizione del “Festival  Lula Livre”, in difesa della libertà, della giustizia e della democrazia. Una vasta quantità di artisti brasiliani si sono dati appuntamento per le 14 in Praça da República.

L’evento, organizzato proprio dai tanti musicisti che hanno aderito al Manifesto, come BaianaSystem, Emicida, Rael, Criolo, Zumbi Nation, Tulipa, Fernanda Takai e molti altri, ha voluto riassumere i sentimenti dell’area democratica del paese.

C’erano circa 80.000 mila persone in Praça da República: otto ore di musica per una domenica di festa, hanno coperto di suoni il cielo di San Paolo. Dal rock al samba, dal rap al funky, per concludere con i suoni del nord-est…

La nascita di un nuovo blocco sociale

Dal portale di informazioni Revista Forum, riportiamo alcune dichiarazioni… Come quella di Daniel Ganjaman, musicista e produttore: “Da quando il presidente Lula è stato arrestato ho capito che la lotta per la libertà dovrebbe essere nell’agenda centrale per tutti progressisti in avanti (…)   La nostra idea è di creare un blocco unificato per richiamare l’attenzione sull’urgenza di questa causa e dimostrare la nostra posizione nel modo più legittimo: suonare e cantare per la libertà del più amato presidente della storia brasiliana.”

Michelle Abu, uno dei direttori musicali: “l’arte e la cultura hanno il potere di fornire pensieri e riflessioni su una società, la politica e le loro relazioni. Questo festival rappresenta l’urgente necessità di cambiare questo percorso distruttivo che il Brasile si trova “.

La chiave di lettura del nostro mondo

 “Sai quel nodo alla gola che senti con il bombardamento quotidiano dei problemi, quella sensazione di camminare all’indietro mentre i disoccupati, i senzatetto, i senza cibo crescono intorno a te? L’angoscia di immaginare che presto vogliono unirsi al tram dei senza diritti, i pensionati, gli universitari, chi non ha voce? (…) L’arresto di Lula è un simbolo della nostra regressione. Abbiamo trasformato il paese in cui il lavoro non ha più regolamentazione, il salario minimo è diventato leggenda e l’unica libertà che esiste è l’aumento del nostro sfruttamento (…) Hanno arrestato Lula per aumentare la repressione al popolo, per imporre con più forza la legge del proiettile contro i poveri, i neri, i lavoratori, mentre i milionari diventano ancora più milionari”.

Svelato il golpe contro Lula: l’accusatore diventa accusato

Si avvicina l’ora della resa dei conti per Sergio Moro, in questo 11 giugno 2019 , l’inquisitore dell’ex presidente brasiliano perseguitato, con accuse costruite ad arte,  arrestato e condannato per impedirgli di candidarsi alle elezioni presidenziali. Adesso, grazie ad una inchiesta giornalistica indipendente, si scopre che è stata una grande cospirazione, attraverso cui il magistrato è riuscito ad entrare nel governo Bolsonaro, come Ministro della Giustizia.

E’ stato un vero e proprio comitato d’affari, all’interno del sistema giudiziario brasiliano, quello che ha organizzato le false accuse contro l’ex presidente Lula, leader del partito dei lavoratori. A scoprirlo sono state tre inchieste del portale d’investigazione giornalistica Intercept Brasil, il quale, attraverso una fonte anonima interna al sistema di potere golpista, domenica scorsa ha pubblicato tutta una serie di intercettazioni telefoniche.

Il sito investigativo ha lanciato queste accuse dopo aver avuto accesso a un gran numero di messaggi privati, scambiati in particolare sull’applicazione Telegram, tra i procuratori anticorruzione brasiliani e Sergio Moro. Così, lunedì, la Corte Suprema ha deciso di riaprire il fascicolo su Lula, in seguito alla contestazione dei legali del leader brasiliano.

Le dinamiche del golpe giudiziario

Le intercettazioni rivelano un’associazione a delinquere, capitanata dall’ex giudice federale Sergio Moro, adesso ministro della giustizia del presidente brasiliano Bolsonaro, titolare dell’inchiesta Lava Jato. In queste telefonate con i procuratori Moro detta la linea, segnalando come costruire ad arte delle accuse inesistenti. Peccato che la Costituzione brasiliana distingua in modo netto la funzione arbitrale e imparziale dei giudici federali, come era Moro, da quella inquirente dei procuratori.

Dalle intercettazioni si comprende chiaramente da un lato,  la debolezza delle accuse senza prove, solo sulla base di testimonianze, secondo cui Lula avrebbe intascato una tangente per i lavori di un appartamento dove egli non si è mai recato… Ma al di là delle accuse completamente false per cui Lula è in galera da un anno,  esce fuori una vera e propria strategia per impedire al vecchio leader di svolgere la campagna elettorale persino in favore del candidato di sinistra Haddad.

“Sergio Moro e Deltana Dallagnol scambiato messaggi di testo che mostrano che il giudice federale poi è andato al di là del ruolo che gli si adattano quando giudicato casi Lava Jato. In diverse conversazioni private finora inedite, Moro ha suggerito al pubblico ministero di cambiare l’ordine delle fasi di Lava Jato, ha caricato l’agilità in nuove operazioni, fornito consigli strategici e indizi informali alle indagini, ha previsto almeno una decisione, ha criticato e suggerito risorse al Ministero Pubblico e sgridato a Dallagnol come se fosse un superiore gerarchico dei pubblici ministeri e della polizia federale”.

Come impedire l’elezione d’un presidente

Il protagonista Sergio Moro, ex giudice federale, si è occupato di gestire l’inchiesta Lava Jato, nata, inizialmente, per smascherare il sistema corruttivo dei parlamentari brasiliani, riguardo la compagnia petrolifera statale Petrobras. Poi, Moro ha utilizzato la stessa inchiesta, per crocifiggere Lula, che secondo i sondaggi, sarebbe stato rieletto come presidente. 

Per impedirne la rielezione, questo comitato d’affari, ha inventato di sana pianta una storia che ha portato avanti, senza prove, riuscendo a far condannare a 8 anni l’ex presidente.

Si legge nell’inchiesta: “Mentre hanno da tempo assicurato di essere apolitici e motivati ​​unicamente verso la lotta alla corruzione, i procuratori di Lava Jato hanno infatti tracciato tra loro due modi per impedire il ritorno al potere di Lula e del suo Partito dei lavoratori”.

Un comitato d’affari promosso dalle lobbies finanziarie, che avevano avviato il primo troncone del golpe istituzionale, estromettendo dal potere, anche qui, al di fuori del dettato costituzionale, la presidentessa Dilma Rousseff. Così, Sergio Moro, spianando la strada al nuovo presidente autoritario Bolsonaro,  si è guadagnato un posto nel governo attuale come ministro della giustizia.

Chi sta con chi?

Allo stato attuale molti dei sostenitori di Sergio Moro, che lo applaudivano mentre crocifiggeva Lula, stanno lentamente facendo marcia indietro, come i giornali  Folha de S. Paulo e O Estado de S.Paulo, due delle principali valvole mediatiche del golpe.

Come anche gli ordini degli avvocati e dei giudici che chiedono le dimissioni. Non impressiona che persino Bolsonaro stia per mollare colui il quale gli ha dato la presidenza

Tutti in attesa che vengano attivati i meccanismi giuridici per la liberazione di Lula e l’apertura di una indagine nei confronti del giudice golpista… Nel frattempo,  i grandi network internazionali, dal Guardian al New York Times, stanno chiedendo a gran voce la testa di Sergio Moro…

Ultima annotazione: questo scandalo, e quindi l’innocenza di Lula, è stata possibile dimostrarla, solo con una inchiesta giornalistica indipendente, a dimostrazione che l’unico e vero cane da guardia del Potere non può essere rappresentato dai media mainstream internazionali che hanno appoggiato il golpe o che non ne hanno minimamente parlato…

Inventata la corruzione di Lula con un articolo di O Globo

13 giugno 19 – Alle rivelazioni del sito Intercept si aggiungono particolari sconvolgenti sulle accuse costruite ad arte nei confronti di Lula.

Non ci sono documenti, basta un articolo

Le accuse sono state formulate mediante una  documentazione di supporto relativa ad un articolo giornalistico del 2010, che nulla aveva a che fare con Lava Jato, ma che cercava di infangare la figura dell’allora presidente. Intanto da più parti si chiedono le dimissioni di Moro, il vero corrotto della situazione, in attesa della riunione d’urgenza della Corte Suprema il 25 giugno e del parlamento il giorno dopo.

Il complotto

La Camera dei Deputati ha fissato per il 26 giugno la data per l’audizione del ministro della Giustizia Sérgio Moro, per chiarire i dialoghi pubblicati nelle rivelazioni del sito web Intercept Brazil, in cui lui e il procuratore generale Delantal Dallagnol costruiscono un vero e proprio complotto per fare arrestare Lula, per impedirgli di candidarsi alle Presidenziali dello scorso anno e per impedire ad Haddad, candidato della sinistra vicino a Lula di avere visibilità durante la campagna elettorale…

La parola alla Corte Suprema

Mentre il giorno prima, il 25 giugno, sarà la Corte Suprema a riunirsi d’urgenza, per decidere la scarcerazione dell’ex presidente imprigionato ingiustamente, dopo un golpe istituzionale avviato nel 2016 dal Parlamento, con la defenestrazione anticostituzionale della presidentessa Dilma Rousseff, ed il pezzo giudiziario del complotto, orchestrato da Sergio Moro, per questo diventato ministro della giustizia. In questo momento le pressioni sul ministro del governo Bolsonaro aumentano ogni giorno, con le richieste, da più parti, di dimissioni.

Dalle rivelazioni, che ancora non sono state tutte rese pubbliche, si individuano legami e ingerenze sia da parte degli Stati Uniti che direttamente dello staff di Bolsonaro prima di essere eletto. Notizie che dovrebbero essere pubblicate tra qualche giorno e che si rivelano esplosive…

Come incastrare Lula?

Per incastrare Lula, in modo da farlo uscire dalla scena politica, hanno costruito ad arte l’accusadi aver ricevuto un appartamento triplex sulla spiaggia, da un appaltatore, come contraccambio per aver facilitato contratti multimilionari con la compagnia petrolifera statale Petrobras, quella dello scandalo Lava Jato.

In questo modo l’inchiesta su Lula è passata per competenza alla Task Force di Curitiba a cui è stata affidata l’intera inchiesta Lava Jato, al cui comando c’è proprio Delantal Dallagnol: senza questo collegamento, non poteva esserci accusa. Su questo, il comitato d’affari formatosi tra Giudice federale, che secondo la costituzione brasiliana, deve mostrarsi autonomo, e il giudice inquirente, con cui non possono essere scambiate informazioni con il magistrato federale, hanno lavorato in modo estenuante…

Il modello accusatorio

“Come negli Stati Uniti, il sistema di giustizia penale del Brasile utilizza il modello accusatorio, che richiede la separazione tra l’accusatore e il giudice. Sotto questo modello, il giudice deve analizzare le accuse dientrambe le parti in modo imparziale e disinteressato”. 

Ma come fare per inventare una accusa senza prove? E’ l’angoscia più grande di Dallagnol, manifestata a Moro, che esce fuori dalle intercettazioni. Il futuro ministro lo rincuora, poiché viene individuato un articolo di “O Globo” del 2010, il network brasiliano che ha preso parte attiva in ambedue le fasi del golpe.

I nuovi dettagli di Intercept: come screditare Lula sui giornali

18 giugno 2019 – Le rivelazioni del sito di inchieste Intercept, sulle intercettazioni tra il giudice federale Moro e i pubblici ministeri della Task Force Lava Jato, mettono in evidenza la strategia di comunicazione, attraverso giornali compiacenti, costruita e coordinata dallo stesso Moro, per fare emergere le “contraddizioni” nella difesa di Lula.

Una strategia di comunicazione contro Lula

“Dovresti preparare un comunicato stampa che spieghi le contraddizioni tra la sua testimonianza e il resto delle prove o con la sua testimonianza precedente. Dopotutto, la difesa ha già messo in scena il loro piccolo spettacolo. ”

Era il 10 maggio del 2017, presso il tribunale di Curitiba, Moro sottoponeva Lula ad un interrogatorio, durato ben cinque ore. Il suo intento era quello di far cadere in contraddizione l’ex presidente, soprattutto sui particolari, quelli su cui i media non si soffermano… Così, attraverso gli addetti stampa della Task Force Lava Jato, le contraddizioni sui particolari, venivano, comunicate a vari giornali nazionali, che il giorno dopo faranno da tamburo battente ai messaggi dei giudici complottisti…

Subito dopo, attraverso l’app di messaggistica Telegram, Moro comunicava la strategia da seguire a Carlos Fernando dos Santos Lima, un procuratore anziano della Task Force, poiché preoccupato sul modo in cui l’opinione pubblica avrebbe potuto ricevere le informazioni su quell’interrogatorio.

Meno di un anno dopo Moro condannerà Lula a più di nove anni di galera, per aver ricevuto, sottoforma di tangente, un appartamento su una spiaggia, dove l’ex presidente non è mai entrato, per aver favorito i  contatti, che non ci sono mai stati, tra l’azienda appaltatrice di questo immobile e l’azienda Petrobras al centro dello scandalo Lava Jato.

Contro lo stato di diritto

E’ bene ricordare che secondo il sistema giudiziario brasiliano il giudice e l’accusa hanno l’obbligo di operare in modo assolutamente indipendente, in modo da garantire un processo equo. Moro, attuale ministro della giustizia brasiliano, “premiato per meriti sul campo”, confermando il contenuto delle intercettazioni, ha cercato di discolparsiaffermando che le interazioni con procuratori e avvocati rientrano nella normalità.

Ma dalle intercettazioni emerge un’altra realtà, che sconfina nel coordinamento, da parte dell’ex giudice federale,  di una strategia di comunicazione con la stampa, per mettere in difficoltà quella che, per lui era diventata una controparte: secondo la costituzione brasiliana, appunto, l’imputato ha come unica controparte, il procuratore che lo accusa… Poi, se a questo aggiungiamo che dei procuratori pianificano una strategia di comunicazione, ciò non sarebbe tollerabile in nessun stato di diritto.

Spostare l’attenzione lontano da Moro

Non appena Santos Lima finisce di interloquire con Moro, si mette subito a lavoro con due addetti stampa di fiducia…

Malgrado il dissenso di uno degli addetti stampa, preoccupato che emettere un siffatto comunicato  potesse produrre un effetto boomerang, visto che mai i procuratori Lava Jato avevano usato questo approccio, il giorno dopo, verso le 16:00,  veniva lanciato alla stampa questo messaggio: “Per quanto riguarda le numerose contraddizioni verificate nell’interrogatorio dell’ex presidente Lula, il Pubblico Ministero Federale si occuperà di questo a tempo debito, durante il processo, in particolare durante gli argomenti conclusivi”.

Il giorno dopo vediamo cosa successe dalla ricostruzione di Intercept: “La copertura mediatica è stata dominata dalle accuse di contraddizioni dei pubblici ministeri. Il quotidiano Folha de São Paulo ha pubblicato un articolo il giorno successivo con il titolo: “La testimonianza di Lula ha avuto molte contraddizioni, dicono i pubblici ministeri”. La rivista Exame ha pubblicato un pezzo intitolato “La task force di Lava Jato vede le contraddizioni nella testimonianza di Lula”.  Estado de São Paulo: “I pubblici ministeri accusano la difesa di Lula di mentire sul caso triplex“.

Quella cocaina nell’aereo del presidente brasiliano Bolsonaro

27 giugno 19 – In seguito ad uno scoop del New York Times, si scopre che nell’aereo presidenziale, diretto in Giappone per il G20, viaggiava un sergente dell’aviazione che trasportava  chili di cocaina.

Lo spaccio nasconde la lotta alla droga

Nello stesso giorno in cui usciva un rapporto del Centro per gli studi giudiziari di giustizia militare, che individua nel traffico di droga il principale crimine dei militari brasiliani, si apprende che in uno dei due aerei presidenziali che trasportavano la delegazione governativa brasiliana, insieme al presidente Bolsonaro, un sergente dell’aviazione portava con se 86 chili di cocaina.

Tutto questo nel contesto di una propaganda di stato, enfatizzata dai principali media governativi brasiliani, come O Globo, attraverso cui il presidente di estrema destra, emulatore di Mussolini, aveva individuato nella lotta alla droga uno dei passaggi fondamentali della sua azione governativa, adesso smascherata.

Una rete internazionale di narcotraffico

Manoel Silva Rodrigues, è stato intercettato a Siviglia, martedì scorso, dove il primo aereo presidenziale ha fatto scalo, facendo da supporto al secondo nel quale viaggiava il presidente, che, diversamente, faceva scalo a Lisbona, per proseguire verso Osaka, dove si sono incontrati i leader del G20. Il sergente Rodriguez, sperando di non essere controllato, uscito dall’aereo, al check di controllo è stato immediatamente fermato, per le ispezioni del caso. Nel suo borsone sono stati trovati 37 pacchi di cocaina, che evidentemente un partner spagnolo attendeva di ricevere fuori dall’aereoporto.

Un sistema militare corrotto

Naturalmente il presidente ed il suo ministro dell’Interno, mediante i loro Twitt, hanno stigmatizzato l’accaduto. Nelle dichiarazioni ufficiali hanno sottolineato che verranno presi provvedimenti severi contro l’aviatore, che comunque dovrà affrontare la giustizia spagnola: “Non tollereremo questo tipo di mancanza di rispetto per la nostra nazione!”. Ma come si dice, occorre dare un colpo al cerchio ed uno alla botte, per cui si è anche lanciato nella difesa apologetica della moralità di tutto l’esercito brasiliano.

Ma lo “sfortunato presidente”, convinto che manipolando le informazioni, sia possibile far passare tutto ed il contrario di tutto, è stato immediatamente smentito da un rapporto del Centro per gli studi giudiziari di giustizia militare, nel quale si diffondono i dati sull’altissimo tasso di corruzione del sistema militare, proprio attraverso il narcotraffico.

La guerra personale alle favelas

C’è da dire che la manipolazione politicadella realtà ha portato Bolsonaro a sostenere un disegno di legge che prevede rigidissime pene per i reati di droga, con un margine discrezionale assoluto di sparare sui narcotrafficanti. Questo perché la sua narrazione populista individua nella guerra ai poveri delle favelas, il principio costitutivo della sua azione, e chi si mette contro può essere assassinato senza se e senza ma, come Marielle Franco, omicidio effettuato da poliziotti vicino alla famiglia Bolsonaro.

Lo strano caso di uno stato di diritto oligarchico

C’è infine da aggiungere che le pene, in Brasile, per i militari che compiono crimini legati al narcotraffico, sono assolutamente calmierate rispetto a quelle dei civili, a dimostrazione di come in questo paese lo stato di diritto sia funzionale non a garantire il popolo ma le oligarchie. Il codice penale militare prevede una pena di 5 anni di reclusione per i crimini di narcotraffico, mentre la legge sulla droga prevede pene tre volte superiori per i civili…

Conferme sull’assassino di Marielle Franco, vicino ai Bolsonaro

5 luglio 2019 – Diventa sempre più chiara la responsabilità dell’ex agente di polizia militare Ronnie Lessa, indagato per l’omicidio di Marielle Franco e del suo autista, come anche i suoi rapporti con la famiglia del presidente del Brasile

L’inchiesta sul brutale omicidio della consigliera municipale e attivista dei diritti umani Marielle Franco e del suo autista Anderson Gomes, avvenuto il 14 marzo del 2018, condotta dalla polizia civile, acquisisce una nuova prova contro il sospettato numero uno, l’ex agente di polizia militare, di 48 anni, Ronnie Lessa. La nuova prova è un video di sorveglianza che dimostra come l’appartamento dell’uomo sia stato visitato da tre persone lo stesso giorno del suo arresto, il 13 marzo 2019, al fine di portare via l’arma usata per l’agguato di Franco e Gomes.

La prova che inchioda l’assassino

Sette mesi dopo l’uccisione di Marielle Franco, il Consiglio di controllo delle attività finanziarie(Coaf) aveva individuato un versamento sospettoso di 100.000 Reais nel conto bancario di Ronnie Lessa. In tal senso, venivano bloccati i suoi beni dalla Procura di Rio de Janeiro, nell’ipotesi di rimborso alle vittime.

Già dall’inizio delle indagini l’appartamento dell’ex agente della polizia militare era stato messo sotto osservazione, poiché vi era il sospetto che lì dentro ci potessero essere diverse armi, tra cui la mitragliatrice MP-5, mediante la quale le due vittime furono crivellate di colpi. Ora è arrivata la prova tramite un video di sorveglianza che ritrae la scena del trasbordo delle armi.

Quelle armi lanciate in fondo al mare

Le prime immagini si riferiscono all’alba del 13 marzo 2018: tre persone, non identificate, si sono recate sul posto per raccogliere tutte le armi nell’appartamento. Erano le 2:27 e un’auto bianca entrava nello spazio antistante il condominio nel quartiere di Pechincha, a Jacarepaguá, nella zona ovest della città.

Poi, altre immagini risalenti al pomeriggio dello stesso giorno: solo uno dei tre questa volta si vede che trasporta una sola scatola. La polizia civile sospetta che proprio lì potesse esserci la mitragliatrice che ha sparatocontro Marielle Franco.

Dalle indagini è anche emerso che un barcaiolo sia stato assunto per gettare le armi in mare, a Barra da Tijuca. L’uomo ha riferito di aver visto disfarsi di sei fucili e parecchie scatole anonime…

In condominio con la famiglia Bolsonaro

I collegamenti di Ronnie Lessa con la famiglia Bolsonaro, che si pensa possano essere i mandantidell’assassinio, sono inequivocabili. Innanzitutto la famiglia Bolsonaro ha vissuto a lungo in quell’area condominiale, al numero 36, essendo proprietari anche di altri appartamenti. Poi c’è la relazione tra uno dei figli dell’attuale presidente brasiliano con la figlia di Lessa… Ovviamente queste non possono essere considerate prove, ma indizi…

E poi ci sono le manifestazioni sarcastiche e di disprezzo prodotte dal clan Bolsonaro, su Marielle Franco: dalla bambola crivellata di colpi alla targa di una strada intitolata alla vittima fatta a pezzi…

No es fuego es capitalismo

Settembre 19 – In piena mistificazione tipica delle post-democrazie, il presidente razzista del Brasile Bolsonaro, ha prima rifiutato i 20 milioni di euro messi a disposizione dal G7, per salvaguardare la foresta amazzonica, continuando ad accusare le Ong, in perfetto stile italiano, che si occupano di difendere i diritti dei nativi dallo sterminio, di aver appiccato i 1600 fuochi, fino ad adesso, che stanno devastando il polmone del mondo. Poi ci ripensa, e se li prende, “in nome del popolo brasiliano.”

Se nella più grande area tropicale del pianeta, tra gennaio e agosto, c’è stato un incrementato del 145 per cento degli incendi, rispetto all’anno passato, le prove delle responsabilità di Bolsonarodell’annientamento della foresta amazzonica, sono evidenti. In realtà l’aveva proprio annunciato subito dopo essere stato eletto, che avrebbe tolto ai cosiddetti nativi incontattati, cioè quelle tribù che vivono ancora allo stato di natura, le loro terre ancestrali, per far posto alle aziende estrattive.

Da allora vi è stata una spaventosa corsa all’arrembaggio di molte aree amazzoniche, che ha dato il via libera non solo ai fazenderos, i veri responsabili degli incendi, ma anche ad improvvisate miniere che stanno inquinando i territori. La strategia dei fazenderos è semplice: incendiare le aree interessate per poi creare le loro piantagioni…

Per prima a“scoperchiare i piani” del governo razzista brasiliano è stata, poche settimane or sono, l’organizzazione Open Democracy, che è riuscita a mettere le mani su un documento dove viene esposta la “strategia dell’odio” per annientare le minoranze dell’Amamazzonia.

Ma dietro questa strategia vi è una cordata di imprese, raccolte dentro un cartello, chiamato “bancada ruralista”.  E’ la consorteria che ha nel proprio libro paga circa 200 parlamentari, che abbracciano tutto l’arco costituzionale, al cui centro dei loro affari c’è il cosiddetto Agrobusiness,. In questo settore rientrano i principali sistemi produttivi brasiliani: carne bovina e avicola, di soia, caffè, arance, canna da zucchero e etanolo.

Dal il quotidiano il manifesto: “Dare fuoco a ciò che resta dopo il passaggio dei disboscatori è la pratica conclusiva dell’invasione di terre protette: libera i futuri pascoli e concima i futuri campi. Un giornale del sud del Parà ha proclamato per il 10 agosto il Dia do fogo, collegandolo esplicitamente alle rassicurazioni di Bolsonaro sulla fine della difesa ambientale”.

Si stringe il cerchio sull’omicidio di Marielle Franco

3 ottobre 2019 – La polizia civile di Rio de Janeiro ha eseguito i mandati d’arresto nei confronti del clan familiare di Ronnie Lessa, principale accusato, uomo di fiducia del presidente Bolsonaro.

E’ attorno al clan familiare del principale indiziato dell’omicidio di Marielle Franco e del suo autista Anderson Gomes, che la polizia civile di Rio ha indirizzato le sue attenzioni. Un clan, quello del sergente in pensione Ronnie Lessa, già arrestato in marzo, su cui ricadono le accuse di ostruzione alla giustizia, possesso di armi e associazione criminale.

Le persone coinvolte sono la moglie di Lessa, Elaine, a quanto sembra il capo di questa piccola associazione a delinquere, il fratello della donna Bruno Figueiredo, e altri due componenti: Márcio Montavano e Josinaldo Freitas. Quest’ultimo, maestro di arti marziali, si è fatto ritrarre, insieme al presidente del Brasile Bolsonaro, dato il legame con la famiglia Lessa, per pubblicare la foto su Istagram.

Il corpo del reato

Secondo le ricostruzioni, il gruppo, subito dopo gli omicidi, avrebbe dapprima nascosto armi di varia natura, tra cui la mitragliatrice che ha colpito le due vittime, la HK MP5. Le indagini, condotte dalla squadra omicidi, erano state direzionate, nel marzo di quest’anno, due giorni dopo gli arresti di Lessa e dell’ex ufficiale della polizia militare Elcio de Queiroz, l’altro accusato di aver ucciso Marielle e Anderson, verso questo gruppo d’azione, i quali componenti, dopo il trasbordo dall’appartamento all’auto, avrebbero gettato le armi in mare.

Il covo

L’abitazione di Lessa era stato messo sotto osservazione per il sospetto di detenzione di armi illegali. Tramite i video della sorveglianza, erano state individuate delle persone che trasbordavano grandi involucri in un’auto. Oggi si è arrivati a capire chi fossero quelle persone che si sono disfatti di pistole e mitragliatrici, gettandole in mezzo all’oceano, tramite una barca, vicino alle Isole Tijucas. I sommozzatori della marina militare, a causa della profondità e delle acque torbide, non sono riusciti ancora a trovarle.

I mandanti istituzionali

E’ sempre utile ricordare come i due accusati degli assassini di Marielle e di Gomes, siano particolarmente vicini alla famiglia Bolsonaro, i cui legami s’incrociano con le attività clandestine e violente, nelle favelas, della polizia militare. In questo incrocio possono presumibilmente trovarsi i mandanti dell’agguato mortale.

La Consulta brasiliana censura l’arresto di Lula: si attende la scarcerazione

La sentenza della Corte Suprema brasiliana è arrivata la sera del 7 novembre 2019, dichiarando incostituzionale la carcerazione dell’ex presidente Lula, dopo la condanna in seconda istanza.

La differenza democratica, nello sconcertante caso giudiziario, ultimo atto del golpe istituzionale, contro l’ex presidente Lula, questa volta l’ha fatta José Antonio Dias Toffoli, presidente della Corte Suprema Federale, che attraverso il suo voto ha ridato dignità al sistema giudiziario brasiliano.

La Costituzione calpestata

Si, perché secondo la Costituzione brasiliana, del 1988, nata dopo la fase della dittatura militare, ha praticamente sancito che il carcere preventivo non può rientrare nel nuovo sistema penale, in tal senso l’allora Costituente intendeva garantire la dignità della persona e il diritto al rispetto delle libertà personali. Ecco che secondo la Legge superiore brasiliana non è possibile arrestare nessuno fino a sentenza definitiva.

Le trame dei golpisti

Non sono quindi bastate le pressioni del presidente Bolsonaro, che secondo i sondaggi, ha vinto le elezioni proprio perché Lula era in galera, a intimidire il presidente della Corte Suprema.

Tra l’atro il persecutore di Lula, che prima lo ha fatto arrestare, contro il dettato costituzionale, e poi lo ha condannato, senza prove ma grazie a manipolazioni e falsificazioni, come dimostrato dalle inchieste del portale Intercept, fu proprio l’allora giudice federale Sérgio Moro, promosso sul campo da Bolsonaro come ministro della giustizia.

Lula è stato condannato dall’ex giudice federale nel luglio 2017 ed è stato arrestato nell’aprile 2018 dopo che la Tribunale Federale-4 aveva annullato la sentenza Moro.

I numeri del voto di incostituzionalità

La Corte Suprema ha votato l’incostituzinalità con una maggioranza di 6 giudici contro 5. Oltre al presidente c’erano il relatore Marco Aurelio Mello, Rosa Weber, Riccardo Lewandowski, Gilmar Mendes e Celso de Mello. Gli altri cinque giudici, legati alla presidenza Bolsonaro, che quindi hanno votato contro sono stati:  Alexandre de Moraes, Edson Fachin, Luis Roberto Barroso, Luiz Fux e Cármen Lúcia.

Smascherato il golpe

La difesa di Lula ha emesso un comunicato: “La sentenza della Corte Suprema conferma che l’ex presidente Lula è stato imprigionato per 579 giorni ingiustamente e in contrasto con la legge (CPP, art. 283) e la Costituzione della Repubblica (CF 88, articolo 5, LVII), come abbiamo sempre detto (…) Dopo aver parlato con Lula, porteremo una richiesta di rilascio immediato basata sull’esito della sentenza della Corte Suprema e ribadiremo la richiesta della Corte suprema di giudicare l’habeas corpus che si oppone alla dichiarazione di nullità dell’intero processo, che ha portato al suo arresto a causa dei sospetti dell’ex giudice Sergio Moro e dei procuratori Lava Jato, tra innumerevoli altre illegalità”.

La polizia provoca un massacro di giovani nella periferia di San Paolo

Sono entrati nell’area dell’evento, dove si stava svolgendo una festa musicale, nella periferia di San Paolo, con la scusa d’intervenire per il rispetto della quiete pubblica, ma hanno fatto man bassa tra violenze, spari e caos, così nove persone sono rimaste uccise: un massacro…

La guerra ai neri e ai poveri delle favelas, dichiarata dal governo Bolsonaro ha mietuto altre vittime, nella domenica 1 dicembre 2019: otto uomini ed una donna sono morti, a causa dell’intervento della polizia militare, presso la comunità di Paraisópolis, zona sud della capitale dello stato di San Paolo. E’ stato un vero e proprio agguato, nel momento in cui era in corso una festa musicale: la baile funk.

Un massacro maledetto

Hanno bloccato le vie d’accesso al luogo dove si stava festeggiano. In strada a ballare e festeggiare c’erano circa 5000 persone. Sono entrati armati di tutto punto sparando in aria, mentre la gente scappava per proteggersi. Nelle strade laterali veniva fermato chiunque passasse, preso e picchiato con calci e pugni: le immagini che girano in rete sono inequivocabili.

La ressa intanto creava un pandemonio al punto tale che nove giovani rimanevano per terra calpestate da chi cercava di salvarsi,verso qualcosa di cui non si era neanche capito. Per seminare il panico hanno usato lo spray al peperoncino, proiettili di gomma, manganelli… Donne, ragazze, uomini, minori sono stati presi violentemente a legnate da pare della polizia militare di San Paolo.

Un’azione violenta e indiscriminata rivolta ad una piccola comunità della periferia nella megalopoli brasiliana, attivata con la scusa ufficiale, da parte dell’Ufficio di pubblica sicurezza,  di “garantire il diritto dei cittadini per prevenire il disturbo della quiete pubblica, supervisionando l’emissione del rumore dei veicoli”.

Il genocidio delle periferie

Un massacro assurdo anche per una società autoritaria, figuariamoci per una che dovrebbe apparire come democratica: per questo difficilmente quello che è successo domenica sarà dimenticato…

In tal senso i movimenti della società civile stanno organizzando mobilitazioni di diverso tipo per la settimana prossima, contro l’oppressione di un governo autoritario nei confronti delle fasce deboli, attraverso un abuso di potere davvero sconcertante.

Un abuso che uccide sistematicamente i giovani e i neri delle favelas… Manifestazioni che avranno il loro culmine sabato 14 dicembre, a quanto annunciato dal gruppo Batalha do Paraisópolis, nella marcia contro il genocidio della popolazione nera e periferica.

Omicidio Marielle Franco: continuano gli arresti dei poliziotti

Polizia civile e militare impegnate a fare pulizia interna, dietro le sollecitazioni del pubblico ministero che si occupa del caso: la milizia di Rio, protetta dalle forze dell’ordine, è nel mirino degli inquirenti.

L’Operazione intoccabili era partita lo scorso anno, nel gennaio 2019, quando tutti gli indizi e le prove sull’assassinio di Marielle Franco e del suo autista, portavano proprio dentro la polizia militare, a cui aveva appartenuto quello che è ritenuto l’esecutore dei due assassinii: Ronnie Lessa, uomo vicino alla famiglia dell’attuale presidente del Brasile Bolsonaro. In quella occasione 13 persone vennero denunciate per il coinvolgimento in una di milizia interna alla polizia, guidata da Dalmir Pereira Barbosa, Paulo Eduardo da Silva Azevedo ed Epaminondas Queiroz de Medeiros Júnior , conosciuto come il “Capitão Queiroz”.

Quella milizia interna alle forze dell’ordine di Rio

Il 30 giugno 2020 è scattata l’Operazione intoccabili 2, attraverso cui sono state arrestate  altre 33 persone sospettate nel coinvolgimento della milizia “parapoliziesca” che operava nell’area ovest di Rio de Janeiro. Tra gli arrestati ci sono stati tre poliziotti civili e cinque militari, un mandato d’arresto non è stato eseguito, mentre le segnalazioni sono state relative al ruolo di 45 persone in tutto.

La Procura della Repubblica di Rio de Janeiro ha posto sotto la lente d’ingrandimento la posizione di un ufficiale della polizia militare, attuando misure precauzionali: sospensione dalle funzioni, ritiro dell’arma in dotazione, detenzione preventiva. Si chiama Jorge Luiz Camilo Alves ed è il capo XVI dipartimento Barra da Tijuca. Dalle intercettazioni telefoniche sono stati accertati i rapporti di vicinanza e sodalizio con Ronnie Lessa, il quale si riferiva a lui come “Amigo da 16”.

Le pratiche della milizia di Rio

La milizia di Rio era praticamente un organismo paramilitare che  dal 2014  utilizzava il sostegno della polizia civile e militare,  sia in termini di informazioni che di cordone protettivo, per le loro azioni criminali. La sequenza dei crimini commessi da questi “banditi istituzionali” era impressionante: occupazione illegale di spazi edilizi, costruzione, vendita e locazione di proprietà speculative, possesso e uso illegale di armi da fuoco, estorsione ai commercianti, occultamento di beni acquisiti con attività illecite, pagamento di tangenti agli agenti di polizia, strozzinaggio, speculazioni sulla gestione di acqua ed energia relativamente ad immobili costruiti illegalmente.

Nel ricordo di Marielle

Ma le novità su Marielle Franco non sono solo legate all’inchiesta giudiziaria sul suo omicidio, ma anche ai luoghi che sempre di più portano il suo nome.

Così, il sindaco di San Paolo, Bruno Covas,  ha licenziato una ordinanza che battezza Praça Marielle Franco, a Brasilândia, un quartiere nella parte settentrionale della capitale. Una proposta sottoscritta non solo dai rappresentanti delle forze di sinistra ma anche di centro e persino di destra.

Se sembra che ci siano già, in Brasile e nel mondo, circa 150 luoghi intitolati alla consigliera di Rio, vedi a Parigi le jardin Marielle Franco, non sempre però intelligenza e malafede possono coesistere. Ecco che la settimana scorsa il governatore del Distretto Federale, Ibaneis Rocha,  lo stato dove vi è la capitale Brasilia, usciva con una iniziativa in controtendenza…

Veniva posto il veto alla creazione di una piazza Marielle Franco, sbandierando il concetto di “interesse pubblico”, all’interno di una motivazione delirante“Nonostante sia a conoscenza dei servizi estremamente rilevanti forniti dalla consigliera Marielle Franco alle comunità della città di Rio de Janeiro, non esiste alcuna relazione tra il nome della consigliera e il Distretto federale per giustificare la denominazione”.

La Corte Suprema brasiliana chiede la sospensione del presidente Bolsonaro

31 marzo 2020  – Un giudice della Corte Suprema del Brasile, ha inviato al procuratore generale della Repubblica un ordinanza per sospendere dalla sua carica il presidente Jair Bolsonaro per un periodo di 180 giorni, per aver commesso diverse azioni che hanno messo a rischio il paese davanti l’emergenza sanitaria del coronavirus.

Si chiama Marco Aurélio Melloil giudce della Corte Suprema brasiliana che ha inviato al procuratore generale della repubblica un ordinanza tesa a sospendere dalla sua carica il Presidente Jair Bolsonaro per 180 giorni, a causa degli atteggiamenti irresponsabili, relativamente alla pandemia di coronavirus, al punto da mettere in serio rischio il paese.

Il disastro umanitario annunciato

Il tema è che in Brasile, in seguito alla “follia” di quest’uomo, probabilmente sollecitato dalle grandi consorterie economico-finanziarie che gli stanno dietro, non solo rischia un disastro umanitario immenso nel proprio paese, ma diventa una minaccia per tutta l’America latina, alcuni paesi dei quali si apprestano a chiudere le frontiere.

L’azione della Corte Suprema nasce dalla denuncia presentata dal deputato del partito dei lavoratori Reginaldo Lopes contro Bolsonaro, il quale ha direttamente notificato “presunti atti criminali” commessi dalla sua condotta, favorendo la diffusione del virus.

Tra l’altro la riluttanza a adottare misure di isolamento sociale è invisa persino alla sua squadra di governo: sembra un presidente fuori controllo… Secondo il deputato del partito dei lavoratori, i suoi comportamenti violano il diritto penale brasiliano.

Il parlamento deve esprimersi

Dal punto di vista costituzionale il pubblico ministero, investito dalla Corte Suprema, deve informare il parlamento nel momento in cui avviasse l’indagine contro il presidente, il quale dovrebbe darne autorizzazione.

Questa denuncia si aggiunge alla richiesta dei giorni scorsi di un giudice federale di Rio de Janeiro, il quale ha ordinato di sospendere la campagna pubblicitaria, promossa da Bolsonaro, attraverso cui chiedeva ai brasiliani di “non fermarsi”.

Intanto domani dai balconi delle città brasiliane è convocata una caçarola di massa, cioè una manifestazione di protesta con delle casseruele utilizzate per fare quanto più rumore possibile.

Il governo Bolsonaro verso il genocidio degli indigeni brasiliani

Sembra che non ci siano più dubbi sulla volontà di portare avanti un genocidio da parte della  presidenza Bolsonaro, denunciano i rappresentanti dei popoli indigeni, investiti prima dai saccheggiatori di Stato e poi dalla pandemia, favorita anch’essa dalle operazioni di estrazione illegale.

La rete dei popoli indigeni del Brasile, Articulación de los Pueblos Indígenas en Brasil (APIB) si è riunita il 12 luglio 2020 denunciando il genocidio pianificato dall’attuale Presidente brasiliano Jair Bolsonaro.

Il presidente genocida

Che nel XXI secolo il genocidio, anche in democrazie fragili, potesse essere uno strumento di programmazione etnico-politica, è cosa da fare venire i brividi. Ma così è nel Brasile del 2020, dove il presidente fascista Bolsonaro ha pianificato misure per annientare i popoli indigeni dalle loro terre ancestrali. Dalla disponibilità a favorire i “ladri della terra”, alla protezione anche armata dei “disboscatori”, per finire con la relativa corsa alle miniere anche di fortuna.

La totale eliminazione delle misure costituzionali di salvaguardia ambientale delle popolazioni indigene dell’Amazzonia, ha fatto il verso all’altra tragedia degli ultimi mesi: la pandemia. Secondo i dati APIB più di 12.000 indigeni sono stati infettati e 453 sono deceduti.

La vulnerabilità usata come un’arma di morte

La popolazione indigena è stata la più colpita in Brasile a causa del Covid-19, hanno ripetutamente denunciato le popolazioni indigene, anche perché il tema della vulnerabilità non è stato minimamente preso in considerazione da parte delle autorità.

Si perché il livello di vulnerabilità delle popolazioni indigene, che vivono praticamente allo stato di natura, cosa che impedisce di sviluppare anticorpi, è altissimo rispetto alle popolazioni urbanizzate. Invece il governo Bolsonaro si è mosso come se, contro i popoli ancestrali, volesse usare la vulnerabilità sotto forma di arma di distruzione di massa.

Chi parla di indolenza, chi di intento pianificato, fatto sta che anche alcune organizzazioni internazionali per i diritti umani, hanno stigmatizzato l’uso dei permessi per operazioni illegali di tipo estrattivo, prova provata di una pianificazione del genocidio.

“Non moriremo come 520 anni fa”

Nell’incontro di domenica Alberto Terrena uno dei membri dell’APIB, ha spiegato in plenaria la situazione degli insediamenti indigeni nel paese: “Bolsonaro ha scelto gli indigeni come nemici. Non accetteremo di essere massacrati ancora una volta, come è successo 520 anni fa (…) Non è che con i governi precedenti sia stato facile, abbiamo sempre combattuto, ma ora costui cerca di toglierci quei diritti conquistati, per farci tornare alle sofferenze del passato. Quella della nostra gente è un’antica lotta che continuerà contro questo governo genocida.

Arrestato per corruzione il sindaco di Rio de Janeiro Marcelo Crivella

A pochi giorni dalla scadenza del mandato, fine dicembre del 2020, è stato arrestato, insieme al suo comitato d’affari,  per la fitta rete di tangenti costruita ai danni di qualunque imprenditore volesse prendere appalti nella metropoli carioca.

Era stato lui stesso, Marcelo Crivella, sindaco di Rio de Janeiro, e pastore evangelico, a soli nove giorni dalla scadenza del mandato, dopo aver perso la rielezione, che all’interno del suo ufficio aveva organizzato una vera e propria cosca in stile mafioso, per estorcere denaro a chiunque volesse chiudere contratti con l’amministrazione pubblica della metropoli carioca.

La madre di tutte le tangenti

Il sindaco è stato arrestato, dalla polizia civile, nella mattina di oggi, in seguito all’indagine della Procura di Rio,  chiamata “QG da Propina” avviata nel 2018, contro uno di quelli riconosciuti come riciclatore del denaro estorto: Sergio Mizrahy. La “madre di tutte le tangenti”, come si direbbe in Italia, ha riguardato le attività di corruzione della compagnia municipale di turismo Riotur.

Lo schema corruttivo

Lo schema corruttivo, estremamente oleato, vedeva al vertice, appunto, lo stesso sindaco. Il denaro veniva agevolato in forma di assegni, intestati a Rafael Alves, fratello di Marcelo Alves, presidente di Riotur.

Oltre al primo cittadino sono stati arrestati imprenditori, uomini d’affari, il capo della polizia in pensione, un ex senatore del partito repubblicano, il medesimo del sindaco, ed il tesoriere della campagna elettorale di Marcelo Crivella.

Un perseguitato politico…

Il primo cittadino di Rio ha, come di prassi, giustificato il suo arresto come una persecuzione politica, non si capisce bene come quali modalità, dato che Crivella è uomo di fiducia dell’attuale presidente Bolsonaro, che insieme a pezzi della magistratura ha impedito la partecipazione di Lula alle ultime elezioni presidenziali…

Una vagina contro la società fallocentrica

La nuova opera dell’artista Juliana Notari, dal titolo “Diva” è stata presentata il 30 dicembre scatenando le ire dell’establishment di destra legato all’attuale presidente Bolsonaro.

Si estende per 33 metri di lunghezza, 16 metri di larghezza e 6 di profondità, ricoperta da cemento armato e resina. E’ stata realizzata all’interno del parco artistico presso la collina di Usina de Arte, nello Stato di Pernambuco, del Brasile nord-orientale, l’ultima opera dell’artista carioca Juliana Notari. Il 30 dicembre 2021 lei stessa ha pubblicizzato la fine della “costruzione” durata 11 mesi. Una opera imponente, a cui hanno lavorato 20 persone, che raffigura una immensa vagina rossa, dal titolo “Diva”.

Le ire della destra bolsoniana

Un’impresa questa che ha scatenato le ire della destra bolsoniana, che ha stigmatizzato l’opera, sommergendo di insulti e accuse l’artista, ma anche tante congratulazioni da varie parti del mondo, soprattutto in ambito museale, che hanno compensato il peso delle parole degli oltranzisti di estrema destra, legati all’attuale presidenza.

Lavorata a mano

L’opera è stata realizzata a mano, poiché l’ingegnere responsabile dei lavori non ha ritenuto possibile l’uso di uno scavatore, per  l’impossibilità di lavorare con precisione sui rilievi del disegno. Così venti uomini, a suon di musica, si sono impegnati a dettagliare a mano le rifiniture.

Il messaggio politico e culturale dell’opera

E’ chiaro naturalmente che le reazioni della destra brasiliana non si sono fatte attendere poiché il messaggio dell’opera è naturalmente politico, oltre che culturale.

Così lo spiega l’autrice: “In  ‘Diva’, uso l’arte per dialogare con questioni che rimandano alla problematizzazione di genere da una prospettiva femminile, alleata ad una cosmovisione che mette in dubbio il rapporto tra natura e cultura nella nostra società fallocentrica, occidentale e antropocentrica. Attualmente questi problemi sono diventati sempre più urgenti. Dopotutto, sarà attraverso il cambiamento di prospettiva del nostro rapporto tra umano e non umano, che potremo vivere più a lungo su questo pianeta e in una società meno disuguale e catastrofica”.

Musicisti in subbuglio: Boca Livre si spacca sul ‘bolsonarismo’

A fine gennaio del 2021 il mondo della musica brasiliana si divide, formalmente, sull’appoggio al governo di estrema destra di Jair Bolsonaro.

Il caso del gruppo di MBP (Musica Popolare Brasiliana) Boca Livre, che da quarant’anni calca i palcoscenici internazionali, è diventato paradigmatico, poiché in seguito alle posizioni politiche di appoggio a Bolsonaro e istigazione all’odio verso Lula, del suo leader, Maurício Maestro, che detiene i diritti sul nome, Zé Renato e Lourenço Baeta, hanno deciso di porre fine al loro sodalizio artistico.

I musicisti contro il potere

Le posizioni del musicista, dal 2018, da quando cioè l’attuale presidente brasiliano scippava la presidenza a Lula, si sono sempre più ossidate, fino ad arrivare all’apologia del guru di Bolsonaro, l’istrionico filosofo Olavo de Carvalho. Così sia Zé Renato che Lourenço Baeta, hanno detto basta a fare da spalla a posizioni che gran parte dei musicisti brasiliani stanno combattendo: da Chico Buarque a Gilberto Gil e Gaetano Veloso, per citare i più famosi.

Unica nota stonata fu la posizione un po’ sprovveduta di Toquinho, l’anno dell’elezione, il quale individuava in Bolsonaro, e nel suo ministro della giustizia Sergio Moro, i due uomini che avrebbero sconfitto la corruzione in Brasile. Lo scorso anno però è tornato sui suoi passi, ammettendo l’errore di valutazione.

Una questione di libertà

In una intervista al Globo, così Ze Renato ha spiegato le sue ragioni: “Non è soltanto una posizione politica, va oltre. La vedo come un modo per preservare la libertà, nel senso più ampio del termine. Non ho alcuna affiliazione a nessun partito. Ma ho iniziato ad avere difficoltà a rimanere in un gruppo in cui una persona pensa esattamente il contrario. Non ho problemi a parlare, ma quello che sta accadendo è il tentativo di limitare la libertà ”.

La storia del gruppo

La storia del gruppo Boca Livre iniziava nel 1978, posizionandosi un po’ al di fuori dalle melodie sia tradizionali del samba che dei bossanovisti (Vinicius de Moraes, Jobim, Joao Gilbrto, Toquinho) o degli innovatori tropicalisti (Gaetano Veloso e Gilberto Gil). Ma se la loro ispirazione armonica era dissonante rispetto al passato, il gruppo ha suonato con tantissimi musicisti sia dell’una che dell’altra corrente. In realtà lo stesso “bolsonarista” Maurício Maestro aveva segnalato all’inizio del percorso la loro vicinanza alla Bossa.

Lanciati da Edu Lobo, poiché nel ’79 parteciparono all’album “Camaleão”, la formazione originale fu composta da Maurício Maestro (basso e voce), Zé Renato (chitarra e voce), Cláudio Nucci (chitarra e voce) e David Tygel (viola 10 corde e voce). L’anno dopo Nucci fu sostituito da Lourenço Baeta.

Da quel momento girarono il Brasile ed il mondo suonando con Milton Nscimento, Tom Jobim, João Gilberto, Nana Vascolencios, Gilberto Gil, Gaetano Veloso, Jon Anderson degli Yes. Nel 2008 hanno ricevuto il Tim Music Award come miglior gruppo di MPB per l’album “Boca Livre ao vivo”, mentre nel 2013, con il disco “Amizade”, sempre nella categoria MPB, si sono aggiudicati il Brasilian Music Award.

Contro il golpe istituzionale

La realtà brasiliana è molto accesa e viva per ciò che concerne la partecipazione degli artisti e musicisti alle questioni inerenti i poteri liberticidi. Larghissima è stata la mobilitazione contro il golpe istituzionale che ha estromesso Dilma Rousseff dalla presidenza e impedito a Lula di candidarsi nel 2018…

Come ai tempi della dittatura

Con qualche passo indietro, cioè ai tempi della dittatura, ritroviamo moltissimi musicisti in esilio, in Europa soprattutto. In tal senso se Chico Buarque fu uno di quelli che si esposero di più a combattere la dittatura, gli altri bossanovisti, specialmente Vinicius de Moraes e Touqinho, furono inizialmente criticati per il loro disinteresse alle questioni delle libertà e della censura. Poi con il pezzo A Tonga da Mironga do Kabuletê, che derideva il potere, anche loro si misero al passo…

Via libera per Lula alle prossime presidenziali brasiliane

La notizia è una di quelle che davvero possiamo definire eclatanti, al punto che la situazione politica brasiliana subirà una trasformazione rapidissima contro l’autocrate attualmente al potere: Lula sarà il prossimo candidato e probabilmente presidente del Brasile.

Ieri, 8 marzo 2021,  Edson Fachin, un giudice della Corte Suprema brasiliana ha annullato le condanne, costruite ad hoc, per corruzione nei confronti di Lula, facilitate strumentalmente dall’ex giudice Moro, diventato poi ministro della giustizia del presidente Jair Bolsonaro.

Una macchinazione ben oleata

Moro era il giudice referente del Tribunale Federale della città di Curitiba, che assunse il fascicolo relativamente alle false accuse, montate ad arte proprio da lui, sui fatti di corruzione, nell’ambito dell’inchiesta Lava Jato. Una Tangentopoli che coinvolgeva la holding petrolifera Petrobras. La Mani pulite brasiliana, che mise sotto inchiesta due terzi del parlamento brasiliano.

L’ accusa centrale contro Lula riguardava una residenza estiva oggetto di corruzione che sarebbe stata data in dono per aver favorito commesse: tutte accuse mai provate da documenti ma semplicemente da testimonianze senza riscontri...

Il giudice Fachin, cancellando le sentenze, ha sostenuto che la competenza era del Tribunale della capitale Brasilia, dove si dovranno ripetere i processi, con le false accuse… In tal senso, i difensori di Lula hanno sottolineato che la loro battaglia giuridica contro l’ultimo pezzo del golpe istituzionale, partito con la defenestrazione di Dilma Rousseff, era giusta, data la richiesta all’Onu sul luogo naturale dove il processo avrebbe dovuto svolgersi.

Il ritorno di Lula

Così, Lula sarà lo sfidante alle presidenziali di Jair Bolsonaro, che proprio grazie a Moro, lo eliminò dalla campagna elettorale del 2018, mentre era in netto vantaggio sull’attuale presidente…

Gli avvocati di Lula hanno potuto sottolineare come le accuse nei procedimenti “non hanno mai indicato alcun rapporto concreto con illeciti avvenuti in Petrobras“, allo stesso modo Lula si è detto certo che riuscirà ad affermare la sua innocenza in tutti i dibattimenti contro di lui.

Ma il ministro Moro, grande manovratore delle accuse contro Lula, come uscirà da questa situazione? Il giudice Fachin in realtà non è entrato dentro i contenuti delle inchieste, e quindi delle manipolazioni, smascherate nel 2019 dal magazine Intercept Brazil, ma solo sulla competenza processuale. Quindi per lui Moro non è perseguibile. Ma c’è chi avanza, dalle pagine del quotidiano Folha de S. Paulo, che la parzialità della condotta dell’allora giudice Sergio Moro, possa essere perseguita dalla Corte Suprema…

Un paese nell’abisso

Intanto Lula rientra nell’arena politica denunciando, con il suo Partito dei Lavoratori (PDT), le gravi responsabilità del presidente Bolsonaro sulla gestione negazionista della pandemia, definendo il presidente “un troglodita”, mettendo in dubbio seriamente le sue facoltà mentali. Il Partito dei Lavoratori ha formalizzato ieri una richiesta al procuratore generale della Repubblica, Augusto Aras, affinché valuti la necessità di vietare al presidente Jair Bolsonaro la sua propaganda contro il distanziamento sociale.

Il PDT ha denunciato la “guida erratica” della pandemia da parte di Bolsonaro, che “ha sprofondato il paese nell’abisso con la sua condotta negazionista e oscurantista a danno della scienza”.

I numeri della crisi umanitaria brasiliana ed il suo moderno Caligola

6 aprile 2021 – Oltre il 50 per cento della popolazione, nel paese latino-americano, non ha accesso completo e permanente al cibo, mentre più della metà della popolazione individua nel presidente della repubblica Bolsonaro il responsabile del disastro pandemico che miete vittime a profusione.

Si chiama Rete brasiliana per la ricerca sulla sovranità e sicurezza alimentare (Red Penssan) l’organizzazione che ieri ha pubblicato i dati della ricerca sul campo, condotta tra il 5 ed il 24 dicembre scorso.  Ci sono 116,8 milioni di brasiliani non hanno accesso completo e permanente al cibo, un numero che equivale al 52,2 per cento della popolazione. Mentre 19,1 milioni di persone muoiono di fame: in soli due anni, dal 2018 al 2020, vi è stato un incremento dell’abbassamento della soglia di sopravvivenza di 9 milioni di persone.

I dati drammatici generati dalla diseguaglianze neo-liberiste

Il presidente autocrate del Brasile, che ha ignorato la pericolosità della pandemia per garantire che le grandi holding economiche del paese, negli anni della sua presidenza ha già messo in pericolo l’intero sistema mondiale con la deforestazione tropicale, generando il massacro delle tribù autoctone. Tutto questo per favorire gli interessi delle aziende estrattive, attraverso la violenza ed il sopruso.

I dati segnalati dalle autorità sanitarie brasiliane ci dicono che ieri si sono registrati 28.645 nuovi casi confermati e 1.319 morti. In tutto, fino ad adesso, ci sono 13 milioni di infezioni e 332.752 morti, il che rende il Brasile il secondo paese al mondo con il maggior numero di casi e morti, solo dietro gli Stati Uniti. 

L’autocrate ed il suo zoccolo duro tra i privilegiati del paese

C’è poi un sondaggio, che in qualche modo fotografa la situazione relative alle dinamiche del consenso, che riguarda l’autocrate brasiliano. L’agenzia PoderData loha eseguito,  tra il 29 e il 31 marzo, con un margine d’errore dell’1,8 per cento.  Il 44 per cento dei brasiliani ritiene che la crisi sanitaria e umanitaria che ne è derivata, sia unicamente responsabilità di Bolsonaro. Dal portale Telesur:  “3.500 persone in 541 comuni di 26 stati e del Distretto Federale, mostra anche che al secondo posto di responsabilità, con il 23 per cento degli intervistati, i brasiliani incolpano il caos sanitario persone che non hanno rispettato le misure preventive”. 

Vediamo, secondo i dati del sondaggio, da chi è composto lo zoccolo duro che sostiene ancora questa sorta di dittatore folle. Telesur: “Coloro che ritengono il presidente il meno responsabile sono uomini (36 per cento), adulti tra i 25 ei 44 anni (35 per cento), residenti nelle regioni del Centro Ovest e Nordest (38 per cento), persone con istruzione primaria (36 per cento) e lavoratori che guadagnano fino a due volte il salario minimo (37 per cento)”.

Bolsonaro minaccia l’intervento dell’esercito

26 aprile 2021 – Il presidente brasiliano, ormai fuori controllo, minaccia il parlamento (che in settimana avvierà una commissione d’inchiesta contro di lui) di far scendere l’esercito sulle strade brasiliane, in quanto comandante in capo, secondo lui, con l’avallo della Costituzione.

Da nostalgico della dittatura militare, il presidente brasiliano Jair Bolsonaro ha dichiarato, senza ritegno istituzionale, che è pronto a far intervenire l’esercito, nel caso in cui le misure restrittive imposte dai governatori, per gestire la pandemia, portassero a quello che ha definito “caos”.

Il disastro negazionista

Come il mondo ormai ha imparato, l’attuale presidente del Brasile continua a manifestare il proprio negazionismo nei confronti del Covid-19, portando il paese al disastro sociale, con una diffusione della pandemia seconda solo all’India: 386.000 morti e 14.200.000 contagi in tutto il paese. Per queste ragioni la gran parte dei governatori degli stati federati sono andati per la loro strada, intervenendo direttamente sugli effetti della pandemia, bypassando la presidenza.

Tra impeachment e inchieste parlamentari

Dall’inizio della pandemia, egli ha perso diversi ministri, tra cui Sergio Moro alla Giustizia, il giudice che ha manipolato le accuse contro Lula, e che ha permesso a Bolsonaro di vincere le elezioni.

Il Senato avvierà, quindi, nella settimana in corso, i lavori di una commissione d’inchiesta sulle omissioni del governo in merito alla pandemia. A ciò si aggiungono la decine e decine di richieste di impeachment, provenienti dall’interno delle istituzioni, come dalla società civile.

Il delirio di onnipotenza

Così, il presidente ha pensato bene di minacciare il parlamento“Se avremo problemi, utilizzeremo un piano su come entrare in campo (…) Sono il comandante supremo delle forze armate. Il nostro esercito, le nostre forze armate, se necessario, le manderemo in piazza ”.

Criticando l’operato dei governatori, il Caligola brasiliano ha definito “assurdi” e “codardi” i confini, le quarantene e il coprifuoco, ed ha citato la Costituzione, che, secondo lui, gli darebbe la legittimità per mettere in atto la sua minaccia…

Come manipolare la realtà

“Se emetterò il decreto, esso sarà adempiuto. Le nostre forze armate potranno scendere in piazza, all’interno del testo costituzionale, per far rispettare il quinto articolo della Carta fondamentale (…) Ne abbiamo parlato con i ministri su cosa fare nel caso in cui un caos generalizzato si diffonda in Brasile a causa della fame, a causa del modo codardo con cui alcuni vogliono imporre queste misure restrittive, in modo che le persone rimangano in casa…”

Gli artisti brasiliani chiedono la destituzione di Bolsonaro

Mentre si consuma la tragedia della foresta amazzonica, con la distruzione del territorio e l’annientamento dei popoli ancestrali, il negazionismo pandemico del governo ha portato il paese al completo disastro sociale, e adesso gli artisti si mobilitano per promuovere l’ennesima richiesta di impeachment nei confronti di “Caligola-Bolsonaro”.

′′Siamo l’epicentro mondiale della Pandemia e andiamo avanti in netta progressione. I numeri del mese di aprile 2021 hanno superato tutte le classifiche mondiali e la tendenza è in peggioramento. Ogni giorno il paese affonda, crolla, muore soffocato. Il comandante di questa nave, che naufraga, e si dirige verso le scogliere, ha un nome e cognome noti: Jair Messias Bolsonaro”.

Gli artisti si mobilitano

Con queste parole il “Movimento per la destituzione di Bolsonaro dalla presidenza”, ha annunciato che nella giornata di oggi verrà pubblicato il “Manifesto Artisti per l’Impeachment”. Una iniziativa che conta 2500 firme di artisti brasiliani che hanno deciso di mettere la faccia contro la “distruzione scientifica” del paese da parte di questo nuovo Caligola contemporaneo: Jair Bolsonaro.

Gli interessi economici a discapito della vita umana

Il fatto però che Bolsonaro abbia fatto tutto l’opposto per mettere in sicurezza il paese, è solo l’ultimo dei tasselli di questo mostruoso capo di stato, poiché egli ha elevato a potenza un concetto proprio ai regimi totalitari del nostro tempo: salvaguardare gli interessi economici delle reti imprenditoriali e finanziarie a discapito della vita umana.

Il disegno criminale

Attraverso un disegno criminale, che vede, dentro una sorta di lobby, pezzi del governo, deputati e senatori, imprenditori e coltivatori, si sta distruggendo l’ecosistema della foresta amazzonica. Gli obiettivi sono quelli di togliere le terre ancestrali agli indigeni della foresta, ponendo fine alle licenze ambientali, moltiplicando l’uso degli agrotossici, ma soprattutto legalizzando i grileiros…

Dalla rivista specializzata “O Eco”: “Con l’avanzare della deforestazione in Amazzonia, quasi 50 milioni di ettari di foreste pubbliche rimangono in una sorta di limbo, in attesa che il governo – federale o statale – decida cosa sono e a chi appartengano. Questa mancanza di definizione di uso e governance rende queste aree forestali, non assegnate, più vulnerabili all’invasione, tanto che, secondo uno studio pubblicato di recente, i grileiros hanno già preso 11,6 milioni di queste foreste, pari al 23% del totale”.

La pulizia etnica della foresta amazzonica

Le centinaia di migliaia di vittime della più grande crisi umanitaria della storia brasiliana, in realtà fanno da sfondo ad una vera e propria pulizia etnica.

In tal senso, la storia di queste ore è paradigmatica, poiché sembra una storia da Far West americano del diciannovesimo secolo. Il popolo sotto attacco è quello dei Yanomami. La comunità è quella di Palimiú, a Roraima, dove si trova il territorio Yanomami.

Naturalmente le informazioni sulle violenze che questa tribù sta subendo, vengono unicamente riportate dall’associazione Hutukara Yanomami (HAY) e lanciate dai medianinja, per il resto al Brasile sembra non interessi ciò che succede nella foresta amazzonica.

Il sostegno ai pirati da parte del governo

Verso le ore 11 di ieri, 10 maggio 2021, sette imbarcazioni di cercatori, personaggi che in modo piratesco vanno alla ricerca di risorse naturali da accaparrare, hanno attaccato la comunità. Solitamente mietono paura, per indurre gli indigeni a lasciare le loro terre, ma mietono anche morte quando questa richiesta non viene accolta.

Così, una ventina di uomini armati di fucili e mitragliatori hanno iniziato a sparare contro gli indigeni. Fortunatamente, in questa occasione non ci sono state vittime, ma solo cinque feriti: era un avvertimento. I pirati infatti hanno promesso di tornare, e lì presumibilmente

qualche morto ci sarà quasi certamente.

Chiude il presidio sanitario

Una notizia davvero inquietante riguarda la sospensione del Distretto Sanitario Speciale Indigena Yanomami (Dsei-Y) prevedendo un conflitto imminente. Così gli indigeni si ritrovano senza un presidio sanitario di prossimità. Del resto è questa la politica di Bolsonaro a sostegno dei pirati, e non è una metafora

Le invocazioni e le richieste

L’associazione Hutukara Yanomami ha inviato invocazioni a tutte le istituzioni possibili per fermare lo scempio: alla polizia federale, alla Fondazione Nazionale dell’Indio (Funai), al Procuratore di Roraima. L’Articolazione dei Popoli Indigeni del Brasile (Apib) ha parlato della necessità di prendere le misure necessarie al fine di proteggere le vite umane e il territorio dall’assalto piratesco delle stesse istituzioni, che mandano avanti, in armi, i loro pirati…

Marco Marano

LE FONTI

Ultimo atto del golpe istituzionale: ‘Lula dev’essere arrestato’

falandoverdades.com.br, veja.abril.com.br, noticias.uol.com.br, stf.jus.br

‘Lula sequestrato dallo Stato’: scontro nella magistratura brasiliana

O Portal Vermelho, Media Ninja, Brasil de Fato

Battisti distrae l’attenzione dei brasiliani, tra rivolte, persecuzioni e affari familiari

O Portal Vermelho, Folha de San Paulo, infoaut.org, ponte.org, metro1.com, Movimento Sem Terra (MST)

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Revista Forum, Portal Vermelho

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Revista Forum, lula.com.br

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Intercept, Le Monde, Revista Forum

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I nuovi dettagli di Intercept: come screditare Lula sui giornali

Intercept                                                                                                                                                                                                

Quella cocaina nell’aereo del presidente brasiliano Bolsonaro

News York Times, Revista Forum, Estadao

Conferme sull’assassino di Marielle Franco, vicino ai Bolsonaro

Revista Forum

No es fuego es capitalismo

TeleSur                                                                                                                                                                    

Si stringe il cerchio sull’omicidio di Marielle Franco

Veja

La Consulta brasiliana censura l’arresto di Lula: si attende la scarcerazione

Revista Forum

La polizia provoca un massacro di giovani nella periferia di San Paolo

Revista Forum, ponte.org

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Revista Forum

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