Nella seconda fase del golpe istituzionale brasiliano, quello relativo alle false accuse su Lula che lo hanno portato in galera, poiché in testa a tutti i sondaggi per le presidenziali di ottobre, le due anime della magistratura si lanciano in un corpo a corpo sull’interpretazione della legge.
Bologna – Si attendava da settimane il responso sulla richiesta habeas corpus di tre deputati del partito dei lavoratori (Pt) sulla sorte dell’ex Presidente del Brasile Lula, rimasto incastrato dal piano golpista di una fetta della magistratura, in combutta con pezzi del parlamento e la superpotenza mediatica O Globo.
Lula è stato travolto da una condanna a 12 anni, per aver ricevuto un appartamento come tangente per lo scandalo Lava Jato, cosa, ovviamente, mai provata perché falsa. La motivazione della deputazione del partito dei lavoratori è stata fondata sul fatto che a Lula doveva essere riconosciuto il diritto di competere in eguali condizioni con i suoi avversari alle prossime elezioni presidenziali di ottobre.
Il giudice golpista
In questa seconda fase del golpe istituzionale l’asse portante è stato rappresentato dalla magistratura, che ha lavorato per tutto il sistema oligarchico finanziario, poiché se Lula si presentasse alle elezioni presidenziali di ottobre vincerebbe a mani basse: a quanto dicono i sondaggi, raccoglierebbe più voti di tutti i candidati messi insieme… L’uomo delle oligarchie è Sergio Moro, giudice del Tribunale federale di Curitiba, città nel cui carcere è rinchiuso Lula. E’ lo stesso che si è occupato dello scandalo Lava Jato, e che ha potuto, conoscendo a menadito le carte, costruire un’accusa, mai suffragata da prove, contro l’ex Presidente.
E’ lo scontro istituzionale
Domenica scorsa, di turno presso la Corte d’Appello del quarto Tribunale federale di Porto Alegre, c’era il giudice Rogério Favreto. E’ proprio lui ad emettere l’ordinanza di scarcerazione di Lula in risposta alla richiesta habeas corpus presentata dal partito dei lavoratori. Intanto migliaia di persone si concentravano in varie parti del paese per affermare l’illegalità della macchinazione giudiziaria, come oramai d’abitudine da quando l’ex Presidente è stato arrestato.
Dal luogo di vacanze dove si trova, ovviamente avvisato per tempo, Sergio Moro ordina di non eseguire il provvedimento di Rogério Favreto, e investe, secondo la sua motivazione, per competenza, un altro magistrato del quarto Tribunale federale: João Pedro Gebran Neto.
Così arrivava un altro stop alla scarcerazione di Lula. Nel frattempo un centinaio di giuristi proclamavano Moro fuorilegge, cioè di operare al di fuori della legge… Ma Favreto non si faceva intimidire ed emetteva un altro provvedimento di scarcerazione, annunciando che se “entro il termine massimo di un’ora” Lula non fosse stato liberato, questo si sarebbe configurato come un azione di disobbedienza all’ordine giudiziario.
In questo scontro dentro la magistratura, l’ultima parola passava direttamente al Presidente del quarto Tribunale federale Carlos Eduardo Thompson Flores, che revocava il provvedimento di scarcerazione.
A tal punto Lula rimaneva in galera, in un modo davvero grottesco, ma al tempo stesso si apriva un contenzioso dentro il sistema giudiziario con due tesi contrapposte…
Da un lato l’area della magistratura che afferma l’esistenza di un conflitto di competenze poiché solo il giudice di turno può intervenire sulla richiesta habeas corpus. In modo molto esplicito hanno detto che Lula è stato praticamente “sequestrato dallo stato”…
Dall’altra parte, l’area golpista della magistratura che segnala, nell’ambito delle competenze, che non può essere il giudice di turno ad intervenire su una scarcerazione, decisa, dicono, da un Tribunale collegiale, cosa non perfettamente convergente con la realtà, dato che la macchinazione è stata accuratamente preparata da Sergio Moro.
Gli interessi in campo
Marcelo Tadeu Lemos de Oliveira, giudice in pensione intervistato dal sito di notizie O Portal Vermelho osservava: “È chiaro che la magistratura, a tutti i costi, sacrifica l’ordine legale per mantenere il presidente imprigionato illegalmente (…) Penso che, sfortunatamente, la magistratura alla fine del giorno avverta che non sta adempiendo al suo ruolo di garanzia di regolarità nello stato di diritto democratico”.
Gli interessi in campo, quindi, sono gli stessi della prima fase del golpe, che ha portato all’impeachment la Presidentessa Dilma Rousseff, anche qui, con accuse costruite ad arte, senza nessun presupposto costituzionale.
Sia la prima che la seconda parte del golpe hanno visto come scenario di fondo lo scandalo Lava Jato, appunto, attraverso cui due terzi dei parlamentari brasiliani sono entrati dentro una grande spartizione di tangenti, compreso l’attuale Presidente Temer, che ha preso il posto della Rousseff, inquisito nell’ambito delle attività dell’azienda petrolifera Petrobras (Petrolio Brasiliano).
Un presidente che appena insediato ha cercato di demolire i successi sociali innescati dalle presidenze del Pt, che hanno tolto milioni di persone dalla povertà assoluta. Il Presidente corrotto e golpista ha riportato il paese latinoamericano al disprezzo per i più deboli…
Anche se alcuni parlamentari del loro partito hanno partecipato alla “grande abbuffata” di tangenti, paradossalmente, gli unici che ne sono rimasti fuori sono stati proprio Lula e la Rousseff.
Ma ambedue dovevano essere eliminati, poiché le loro politiche di sottrarre ai ricchi per dare ai poveri in Brasile non può durare a lungo; la storia, per chi la conosce, parla chiaro, nel paese delle favelas e delle oligarchie immensamente ricche…
FONTI: O Portal Vermelho, Media Ninja, Brasil de Fato – CREDITS: AFP, AP