di Marco Marano
I massicci bombardamenti sulla popolazione nel cantone nord-siriano di Afrin non sono riusciti a scalfire la resistenza delle unità di combattimento, che impediscono ai mercenari jihadisti di avanzare sul terreno. Intanto il sultano Erdogan intrattiene uno scambio di accuse con gli Stati Uniti che appoggiano i combattenti kurdi.
Bologna – L’ufficio stampa delle Forze Democratiche Siriane, l’esercito multietnico comandato dalle unità combattenti kurde, YPG, ha emesso ieri un comunicato stampa nel quale si fa un bilancio dei 23 giorni di attacco ai villaggi kurdi attorno ad Afrin. Un resoconto dettagliato che fa da sfondo a questo nuovo pezzo di guerra innescata dalla Turchia, dove vengono massacrati bambini, donne, anziani, profughi, come se fossero combattenti armati. In realtà quella del sultano Erdogan è una strategia di vera e propria pulizia etnica nei confronti del popolo kurdo, per annientare il laboratorio di democrazia dal basso multietnico e multiconfessionale, costruito dal 2011 nel nord della Sira, al confine della Turchia, che si chiama Rojava.
Ma i combattenti kurdi, gli stessi che sul campo hanno sconfitto i jihadisti dell’Isis, pezzi dei quali, adesso, sono insieme ad altri nuclei qaedisti, dalla parte della Turchia, stanno apportando una estrema difesa. Tanto che sul terreno i jihadisti alleati della Turchia non riescono ad avanzare, malgrado i bombardamenti aerei di supporto. Una resistenza che vede l’appoggio della popolazione, composta anche da profughi della guerra siriana rifugiatisi proprio lì negli ultimi anni.
I numeri della pulizia etnica
“L’esercito invasore turco ha effettuato bombardamenti aerei su insediamenti civili 668 volte. Nei menzionati bombardamenti, sub-strutture, stazioni di acqua potabile, scuole e allevamenti di animali in posizioni centrali sono stati presi di mira… Hanno attaccato la regione con elicotteri 16 volte e tutti questi attacchi hanno preso di mira gli insediamenti civili… Con carri armati e armi pesanti 2.645 volte. 409 combattimenti corpo a corpo… Con elicotteri 16 volte e tutti questi attacchi hanno preso di mira gli insediamenti civili… Hanno attaccato la regione con carri armati e armi pesanti 2.645 volte.”
Di contro, la resistenza kurda ha prodotto l’abbattimento di due elicotteri e di 51 tra carri armati e panzer.
Minacce tra partner
Mentre i villaggi attorno ad Afrin si sono trasformati in campi di battaglia, il sultano Erdogan, presidente autocrate della Turchia, ha iniziato a scambiarsi accuse e minacce contro gli Stati Uniti, uno dei principali alleati Nato. Questo perché l’invasione turca del nord della Siria pone questioni politico-strategiche di non poco conto. Da un lato perché il presidio territoriale kurdo in Rojava rappresenta un argine contro l’Isis, che, seppur sconfitto militarmente, ancora non è stato del tutto annientato. Se a ciò si considera che l’apparato bellico turco si appoggia sul cosiddetto Esercito Siriano libero, cioè milizie ex qaediste e pezzi dell’Isis in fuga, la rappresentazione che ne esce fuori è davvero inquietante. Anche perché la narrazione del governo turco, individua i terroristi nelle forze combattenti kurde. Erdogan: “La decisione degli Stati Uniti di dare un sostegno finanziario all’YPG influenzerà sicuramente le decisioni che prenderà la Turchia… Sarà meglio per loro non stare con i terroristi che supportano oggi…”
Poi c’è la minaccia, una volta conclusasi la campagna su Afrin, di arrivare fino a Manbij, città presidiata sia dalle SDF kurde che dall’esercito statunitense, avvisato a suo tempo da Erdogan di lasciare quell’avamposto e non farsi trovare in sua difesa. “L’operazione della Turchia ha sminuito la nostra lotta per sconfiggere lo Stato islamico nella Siria orientale … Le forze si sono dirottate da lì verso Afrin… Da ora in poi nessuno ha il diritto di usare il Daesh come scusa: il teatro dell’ISIL è finito…” E’ stata questa la risposta del Segretario di Stato americano Rex Tillerson. A rincarare la dose poi ci ha pensato Paul Funk, il comandante delle forze americane in Siria e in Iraq: “Ci colpisci, risponderemo aggressivamente, ci difenderemo…”