di Marco Marano
Una vittoria schiacciante su otto città e 45 distretti metropolitani, quella del partito kurdo HDP, i cui leaders due anni fa sono stati arrestati per terrorismo e molti co-sindaci distrettuali sospesi e commissariati.
Bologna, 3 aprile 2019 – In centinaia si sono ritrovati nel campo del cantone siriano di al-Shahba, per festeggiare la vittoria del Partito Democratico dei Popoli (HDP), nelle città della Turchia meridionale, dove sono concentrati i profughi che erano residenti ad Afrin. L’euforia di donne e uomini vittime dell’occupazione militare turco-jihadista che ha ridisegnato la demografia del cantone kurdo, attraverso la pulizia etnica, e con l’espropriazione delle abitazioni per consegnarle alle famiglie jihadiste fuoriuscite dall’Isis, è la chiave di lettura di questa tornata elettorale. La sconfitta del sultano Erdogan, che aveva annunciato dopo le elezioni l’annientamento dei kurdi nel nord della Siria, consegna a questo popolo martoriato, ma combattente, una speranza in più per il futuro dell’area.
Kongra Saleha Mohammed, membro del coordinamento del campo di al-Eser: “I paesi coloniali stanno cercando di annientarci e infrangere la nostra volontà in modo da opprimere la nostra libertà, ma non permetteremo loro di farlo, e la vittoria ottenuta dal popolo kurdo e dalle persone che chiedono la libertà in Turchia è la prova del legame della gente alla loro terra e il loro desiderio di pace, porterà libertà e ristabilirà i diritti delle persone di cui sono state private”.
La risposta alla repressione
La vigilia elettorale, nelle città e nei distretti kurdi della Turchia meridionale, è stata caratterizzata da un vero e proprio stato d’assedio da parte dell’esercito e delle forze dell’ordine. Come ormai da quasi cinque anni, i territori sono stati oggetto di una violenta repressione sia contro la popolazione che contro l’HDP. Un centinaio di abitazioni sono state oggetto di irruzione, decine di militanti e amministratori del partito kurdo sono stati arrestati deliberatamente.
Si voleva impedire che la gente andasse a votare. Il potere quasi assoluto del sultano è stato usato per impedire che le amministrazioni locali tornassero nelle mani dei legittimi rappresentanti del popolo, dopo i diffusissimi commissariamenti avvenuti all’indomani del sedicente tentato golpe. Ma la sua operazione “ripulista” non è riuscita.
Un’attività repressiva avviata con gli arresti due anni fa dei leaders del Partito Democratico dei Popoli, come Selahattin Demirtaş, impossibilitato a presentarsi alle elezioni presidenziali dello scorso anno, poiché strumentalmente accusato di terrorismo.
Il vero riscatto democratico
L’HDP ha vinto in otto città e 45 distretti, compresi appunto quelli di Amed, tutti commissariati arbitrariamente. I cui due co-sindaci eletti nel distretto municipale della città di Diyarbakır, Hulya Alokmen Uyanik e Adnan Selcuk Mizrakli, hanno salutato la vittoria di Amed come un grande riscatto, dopo anni di arresti, intimidazioni, minacce, aggressioni da parte del potere turco.
“Dedichiamo questa vittoria dal nostro popolo di Amed e a Gultan Kisanak, Firat Anli che erano stati eletti co-sindaci di questa città nel 2014, e tutti i co-sindaci e membri del consiglio comunale i cui diritti sono stati confiscati. Questo successo appartiene ad Amed. Questo successo appartiene a tutti noi. Offriamo la nostra eterna gratitudine a tutte le nostre persone che hanno sostenuto questo successo “.
Quei conti che tornano sempre
Se le tre grandi città della Turchia, Ankara, Istanbul e Smirne, sono passate all’opposizione, cioè al Partito Repubblicano, e non sono bastati i ricorsi del partito al potere AKP per ribaltare la situazione, la disfatta del sultano Erdogan rappresenta un punto di svolta. Questo perché le contro misure che il sultano ha già individuato sono legate all’azzeramento dei budget governativi sulle città. In questo modo l’autocrate turco pensa di annullare la sua sconfitta.
Ma questo potrebbe essere un altro boomerang, dopo gli anni di “sviluppo economico drogato”, caratterizzato da corruzioni, saccheggio dei soldi pubblici, affari milionari della famiglia Erdogan, con le loro speculazioni edilizie. Una situazione che ha portato il paese al collasso finanziario: crisi valutaria, recessione, inflazione al 20 percento, tassi d’interesse della Banca Centrale al 24 percento, stipendi svalutati del 25 percento, e infine le banche che hanno fermato prestiti e crediti.
FONTI: ANF, ANHA
Immagine in evidenza: ANHA
CREDIT: ANF, ANHA