El Alto dice no al golpe in Bolivia

 di Marco Marano

La fuga di Evo Morales in Messico, in seguito ad un mandato di cattura emesso contro di lui ed il vuoto di potere creatosi a livello costituzionale a causa delle dimissioni di tutti i possibili successori,  fanno da sfondo ai violenti scontri tra i due blocchi sociali del paese, simboleggiati dalla rivolta di El Alto, che preannuncia una guerra civile.

hhoBologna, 12 novembre 2019 – La notizia che circolava ieri di un mandato d’arresto nei confronti di Evo Morales, senza comprenderne il motivo se non per una resa dei conti, ha indotto l’ex presidente Morales, che si era rifugiato tra gli indios di Chimoré, ad accettare l’invito del presidente messicano ad accoglierlo in quanto rifugiato politico. Partito dalla città nord boliviana al confine con l’Argentina, ha dovuto fare scalo in Paraguay poiché il Perù non ha dato il consenso di sorvolare i propri cieli.

Il vuoto di potere lascia mano libera all’esercito

descarga_Williams Kaliman_comandante in capo delle forze armate _FFAAMentre Morales, insieme a tutto il governo e ad alcuni amministratori locali si mettevano in salvo in Messico si è creato in Bolivia un vuoto di potere, poiché tutti i personaggi che ricoprivano le cariche, che secondo la Costituzione avrebbero dovuto legalmente assumere la successione, si sono dimessi. Presumibilmente sarà l’esercito a prendere in mano la situazione con un vero e proprio governo militare, almeno per un certo periodo di tempo.

Una guerra civile annunciata

_109618946_gettyimages-1186975268Poi, nel paese, c’è una guerra civile che sta montando. Dopo quasi un mese di sommosse dei golpisti, alla fine fiancheggiati da polizia ed esercito, durante i quali si sono susseguiti saccheggi e violenze delle milizie legate alle due organizzazioni di estrema destra, i comitati civici di Santa Cruz de la Sierra guidati da Luís Camacho e la Comunidad Ciudadana di Carlos Mesa, nei confronti delle comunità indigene e degli appartenenti al Mas, l’organizzazione politica dell’ex presidente Morales, la risposta nelle strade è arrivata forte e chiara da parte dei contadini.

boliviaEl Alto, città alle porte di La Paz,  è diventato il luogo dove i nativi di origine Inca si sono ritrovati ad urlare la loro rabbia contro i golpisti. Nelle strade inondate di centinaia di persone armate di bastoni, macete e armi improvvisate un solo slogan si sentiva: “Ora sì, guerra civile!”. Migliaia di persone hanno messo a ferro e fuoco la città, formato barricate tra vetture date alle fiamme e copertoni da cui si innalzavano fumi.

Nei quartieri benestanti gli abitanti si sono rinchiusi nelle loro case, invocando l’intervento della polizia, la quale spaventata chiedeva il supporto dell’esercito.  Anche nel dipartimento di Cochabamba ci sono state ore di scontri, di cui un giornale vicino ai golpisti, “Opinion”, ne fa un bilancio di 90 feriti e un morto.

Lo scontro tra i due blocchi sociali

Dirigentes-CSUTCB-conflicto-bolivia_LRZIMA20191109_0042_11C’era stato, nelle ore precedenti, un ultimatum della Federazione dei Consigli di quartiere (Fejuve) di El Alto, che intimavano di fermare il golpe entro 48 ore, ovviamente ignorato, ma questa situazione pone una questione che è tipica di molti paesi latinoamericani: lo scontro etnico e sociale tra gli indios, i contadini e le classi più abbienti, di cui i golpisti sono i rappresentanti.

dsadadasdas-La folla che scende da El Alto a La Paz_ screenshotIn Bolivia, il simbolo di questo scontro, che si sta trasformando in guerra civile annunciata, è la bandiera wiphala, diventata grazie a Morales simbolo nazionale. Questo vessillo rappresenta proprio i nativi originari dei territori delle Ande. Così sul web, alcuni poliziotti golpisti hanno fatto girare un video in cui si strappavano questo vessillo dalle divise in segno di disprezzo nei confronti di più della metà della popolazione boliviana.

FONTI: Toda Noticia, Agi, La Jornada, El Dia, Opinion

Immagine in evidenza: Dico Solís

Credits: La Jornada, FFAA, Getty Images, El Salto, Social media

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