Nel totale caos determinato dal fiancheggiamento al golpe dell’esercito e della polizia civile, la girandola di voci tese a rendere la situazione ancora più incandescente, si susseguono. Ma incombe la minaccia di quel milione di abitanti di El Alto, area strategica alle porte della capitale, che minacciano la resistenza attiva contro il colpo di stato.
di Marco Marano
Bologna, 11 novembre 2019 – “Torno nell’area del Tropico di Cochabamba per stare con i miei compagni. Non devo scappare, non ho rubato …”. Con queste parole il presidente dimissionario della Bolivia Evo Morales, ha denunciato il colpo di stato ad orologeria, orchestrato dall’opposizione di estrema destra, che già aveva organizzato le sue milizie dopo ventuno giorni di proteste.
La falsa proposta di pacificazione
L’annuncio delle dimissioni di Morales, sollecitate dall’apparato militare, per pacificare la Bolivia, dopo che la polizia civile si era unita ai golpisti, arrivava in seguito alla relazione preliminare dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), che per voce del suo presidente, Luis Alamagro, l’aveva reso nota, segnalando che il Tribunale Supremo Elettorale aveva frodato il risultato elettorale a favore del presidente. Morales, annunciava quindi nuove elezioni e il rinnovo degli organi del Tribunale. Alle dimissioni del presidente sono seguite quelle dei ministri e di molti amministratori locali.
Ma il golpe era già inarrestabile, per cui nelle strade le milizie dell’opposizione mettevano a ferro e fuoco molte città, tra cui La Paz, operando violenze e saccheggi, alcuni dei quali fatti passare per opera del MAS, l’organizzazione politica di Morales. Ma certo le immagini del saccheggio dall’abitazione di Morales a Cochabamba e dell’incendio che ha distrutto l’abitazione della sorella, sono inequivocabili. Poi la presa simbolica della Tv statale, tipica di ogni golpe…
Un mandato d’arresto incomprensibile
Al comando dei saccheggi vi sono i due leader filo-americani, Luis Fernando Camacho, presidente del Comitato per Santa Cruz, e Marco Pumari, leader civico di Potosí, che adesso si contendono il potere, per portare, dicono, il paese a nuove elezioni.
Così, Camacho faceva filtrare la notizia, incomprensibile, di un ordine di cattura per il presidente dimissionario e contemporaneamente l’altra voce della sua fuga all’estero: prima in Argentina, poi in Messico, il quale si è reso disponibile ad ospitarlo come rifugiato politico.
Morales, come abbiamo visto, non solo non è fuggito, ma è andato a riparare a Chimore, in quella parte del paese a nord, abitata da quegli indigeni che in tutti questi anni ha difeso contro gli attacchi delle lobbie estratti viste.
In nome dello stato di diritto
Gli stessi indigeni, che hanno cercato di fermare le milizie dell’opposizione, nella periferia di La Paz, nell’altopiano di El Alto, roccaforte di Morales, che gli ha dato autonomia amministrativa.
Incombe il rischio di una guerra civile
Così, oggi, la Federazione dei Consigli di quartiere (Fejuve) di El Alto, in una conferenza stampa ha proclamato la nascita dei Comitati di autodifesa, che già si stanno muovendo attraverso i blocchi stradali e mobilitazione permanente: “L’oligarchia ritorna per continuare a guidare e distruggere”. Ma cosa ancora più drammatica, Il presidente della Federazione dei consigli di quartiere di El Alto, Basilio Vilazante, ha dato un periodo di 48 ore ai golpisti per lasciare il dipartimento di La Paz, minacciando la resistenza attiva.
Dal suo account di Twitter Morales ha smascherato la manipolazione: “denuncio al mondo e al popolo boliviano che un ufficiale di polizia ha annunciato pubblicamente che gli è stato ordinato di eseguire un mandato di arresto illegale contro di me; allo stesso modo, gruppi violenti hanno fatto irruzione in casa mia. Il colpo di stato distrugge lo stato di diritto “.
FONTI: El Dia, Opinion, Toda Noticia, Los Tiempos, El Salto, La Jornada.
Credits: Opinion, Toda Noticia, Los Tiempos, Opinion, AFP, El Salto
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