di Marco Marano
Foto di Asem Ahmed, dal canale Facebook
Dichiarato il cessate il fuoco, il nuovo attacco israeliano sulla striscia di Gaza, ordinato dal primo ministro uscente Netanyahu, mirato a colpire un comandante della Jihad islamica, ha riacceso il conflitto israeliano-palestinese, consumando una tragedia dove ogni personaggio in scena è la rappresentazione del cinismo che sta consumando un popolo.
Bologna, 14 novembre 2019 – L’organizzazione palestinese Jihad islamica ha annunciato, all’agenzia Reuters, il cessate il fuoco entrato in vigore all’alba di questa mattina, a cui si è arrivati tramite la mediazione dell’Egitto.
In due giorni di guerra e di attacchi aerei israeliani sono morte 34 persone, tra cui donne e bambini. Dall’altra parte, i lanci di missili del Jihad islamico ha prodotto 63 feriti. E poi decine e decine di case, fattorie e scuole distrutte dentro quel carcere a cielo aperto che è la striscia di Gaza.
L’accordo dovrebbe prevedere che le fazioni palestinesi debbano “mantenere la pace” durante le manifestazioni di protesta, mentre dall’altra parte Israele s’impegnerebbe a non sparare sulla folla…
C’e da dire che in questa “guerra dei due giorni” il conflitto si è sviluppato tra lo stato di Israele e solo una delle organizzazioni militari palestinesi, Jihad islamica appunto, in seguito all’omicidio mirato del comandante Bahaa Abu al-Ata e di sua moglie.
Sempre di più ormai la guerra, che si concentra sulla striscia di Gaza, sembra il risultato dei posizionamenti politici di quelle che sembrano maschere di una tragedia senza fine, di cui a farne le spese è il popolo palestinese martoriato.
C’è la maschera del primo ministro, in difficoltà nel proprio paese, per gli scandali di corruzione che hanno travolto lui e la sua famiglia.
La sua forza politica alle ultime elezioni si è così indebolita che deve ritrovare il potere attraverso la benevolenza di avversari, contendenti, falchi, smontando il tentativo del primo ministro incaricato del partito Blu-Bianco, Benny Gantz.
E’ chiaro che la guerra con i palestinesi è per lui uno strumento di posizionamento politico. Con una guerra è riuscito a ricompattare l’opinione pubblica e tutte le forze politiche in questa fase di schermaglie per la formazione del nuovo governo.
La sua è stata una guerra funzionale a conquistare un posto di rilievo nel nuovo governo, esorcizzando possibili condanne per i processi pendenti per corruzione.
Poi ci sono le due fazioni islamiche palestinesi… La jihad Islamica odiata dai falchi e dai servizi di sicurezza israeliani, che tramite alle operazioni di intelligence hanno avviato la politica degli assassini mirati, strategia che ricompatta tutta Israele, dal popolo al sistema di potere.
Hamas invece, che dal 2007 governa la striscia di Gaza è stata a guardare, poiché sono mesi che cerca una via pacifica con Israele per migliorare le condizioni del “carcere a cielo aperto”. disinteressato alla guerra jihadista è stata a guardare.
L’Autorità Autonoma palestinese, cioè il governo fantoccio del presidente Abu Mazen, che non si capisce proprio cosa ci stia a fare.
Infine vi è al-Sisi, il dittatore militare egiziano, i cui diplomatici hanno fatto da mediatori per il cessate il fuoco. Che un despota come al-Sisi si erga a pacificatore è di per sé è un ossimoro, data la situazione in Egitto…
FONTI: Al Jazeera, il manifesto