di Marco Marano
Catturati dalle forze di sicurezza interna della Siria nord-orientale, alcuni profughi siriani hanno chiarito come molti membri dell’ISIS in Turchia, agivano con milizie mercenarie sostenute dal regime di Erdogan, all’interno di una rete ben organizzata.
Bologna, 2 ottobre 2019 – Se sui rapporti di partenariato tra Erdogan e Isis si è sempre saputo quasi tutto, come del resto denunciato da un recente rapporto del Rojava Center for Strategic Studies (NRLS), sulle relazioni estere tra l’organizzazione terroristica e lo stato turco, quello che di nuovo oggi sta venendo alla luce, grazie alla testimonianza di molti ex jihadisti arrestati in terra siriana, è che già dall’inizio della guerra civile, nel 2011, i rifugiati in Turchia, diventavano potenziali risorse dell’Isis.
L’Isis datore di lavoro dei profughi siriani
In sintesi, il sedicente Stato islamico, che rappresentava il motivo stesso per cui quegli uomini erano fuggiti dalle loro case, diventava, attraverso un ingaggio economico, “datore di lavoro” dei profughi siriani.Tutto questo è avvenuto grazie alla strategia turca di sponsorizzazione dell’Isis per il controllo nord siriano, dove il popolo curdo ha creato una regione multiconfessionale autonoma chiamata Rojava.
Il confine della discordia e le cellule dormienti
La lotta alle istanze curde sia in casa che in Siria, rappresentata dalla linea di confine tra i due paesi, negli anni, ha stimolato il “sultano” Erdogan ad incentivare le affiliazioni dei profughi siriani, ospitati in Turchia, per questo pagata fior di milioni di euro dall’Unione Europea a partire dopo il 2015. Così, dato lo scarso addestramento militare dei profughi siriani in Turchia, il loro compito era quello di compiere azioni militari, prevalentemente dinamitarde.
Ecco che negli ultimi anni, i mercenari del Free Syrian Army (FSA ), una milizia alleata ufficialmente alla Turchia, hanno creato cellule cosiddette dormienti, formate da 30 o 40 persone e costituite dagli affiliati all’Isis in fuga dalle linee di combattimento, nella fase finale del conflitto, le stesse che hanno poi occupato e massacrato il popolo residente di Afrin.
Quei profughi a supporto della guerra al popolo curdo
Ma in queste cellule rientravano i profughi, che agivano nel nord della Siria, andando di qua e di là dal confine a seconda delle operazioni da compiere contro l’esercito curdo Syrian Democratic Forces (SDF). Il passaggio da un confine all’altro era garantito dalle strutture logistiche dell’esercito turco e dei servizi di intelligence MIT.
Cuma Muhammed Toqan, 31 anni, sposato e padre di un figlio, proveniente dal distretto di Til Temir di Heseke, un’area abitata tradizionalmente da assiri e curdi, è uno di quei profughi che sono entrati nella rete turco-jihadista, proprio perché arabo residente in quella Siria del nord diventata Rojava.
Così racconta la sua prima azione sul territorio siriano al portale ANF: “Mi hanno dato trecento dollari. Duecento erano per me il resto per comprare un telefono cellulare al fine di parlare con gli uomini che stavano lì. Mi hanno dato dell’esplosivo. Abdülmelle mi ha indirizzato verso le miniere sepolte in Siria. Quando ho chiesto con chi mi sarei messo in contatto lì, non hanno dato una risposta chiara, ma hanno detto che i miei contatti non mi conoscevano nemmeno perché non hanno detto loro il mio nome”.
FONTE: ANF
Credits: ANF