di Marco Marano
Si susseguono in questi giorni incontri convulsi tra i paesi latino americani di frontiera coinvolti nel Piano di sviluppo integrale, che dovrebbe gestire 30 milioni di dollari statunitensi finalizzati a creare lavoro per impedire le migrazioni. Ma la desiderata del presidente americano di dichiarare tali paesi “sicuri” per accogliere i rifugiati che da questi scappano , non è stata accolta.
Bologna, 19 luglio 2019 – E stato fissato per oggi l’incontro tra il Presidente della Repubblica di El Salvador Najib Bukele ed il ministro degli Esteri messicano Marcelo Ebrard, per avviare ufficialmente il programma “Sembrando Vita”, primo atto del Piano di sviluppo integrato, che coinvolge i quattro paesi frontalieri con gli Usa: Messico, Honduras, Guatemala e El Salvador. L’idea è sempre quella dell’aiutiamoli a casa loro: la prima tranche di soldi sarebbe di 30 milioni, finalizzati a creare lavoro per ridurre i flussi migratori definiti “irregolari”.
Se questa operazione dovrebbe creare circa 20mila posti di lavoro per la messa a dimora di 50.000 ettari di sistemi agroforestali, le consultazioni incrociate, come quella del presidente guatemalteco Jimmy Morales con Trump, rivelano un altro piano di contrattazione. Sul piatto c’è il provvedimento, che molti definiscono anticostituzionale, del presidente a stelle e strisce che impedirebbe la richiesta d’asilo a quanti fuggono attraversando il Messico prima di entrare negli States. Per tale ragione Trump sta facendo pressioni su Messico e Guatemala per dichiararsi paesi terzi sicuri al fine di accogliere loro le richieste d’asilo. Ma la proposta non è stata recepita.
Come rendere sicuri paesi insicuri
Lunedì scorso le delegazioni di Messico e Stati Uniti si sono incontrate a Washington per rivedere le misure concordate tra i due paesi ad inizio di giugno. L’ambasciatrice messicana Martha Bárcena, ha sottolineato la difficoltà di trasformare il Messico in un paese terzo sicuro per accogliere le domande di asilo che vengono rivolte agli Stati Uniti: “Più volte abbiamo detto che non siamo pronti a firmare alcun accordo sui paesi terzi sicuri”. Inoltre, l’ambasciatrice ha sottolineato che la scelta statunitense di impedire le richieste d’asilo è stata unilaterale. La funzionaria messicana ha anche sollecitato le autorità statunitensi di accelerare le risposte alle richieste d’asilo: “Non possono lasciare le persone in attesa in Messico per tre anni”.
Dal Guatemala invece lo stop alla dichiarazione di paese sicuro non viene dal presidente Jimmy Morales, che si è dichiarato disponibile alla richiesta Usa, ma dalla Corte costituzionale, che ha bloccato il possibile accordo. Proprio in una conferenza stampa di ieri il presidente, mostrandosi prostrato per la decisione della Corte Costituzionale, ha annunciato che avrebbe rispettato la decisione ma avrebbe analizzato i contenuti del rigetto, poiché ci potrebbero essere elementi di incostituzionalità. Quindi, vi è il presidente di un paese il quale si preoccupa che la Corte Costituzionale, che esiste per garantire la corretta applicazione della Costituzione, abbia preso decisioni che non gli competono…
Uno scontro istituzionale in Guatemala
Per comprendere la decisione della Corte Costituzionale guatemalteca ci viene in soccorso la rappresentante di Amnesty Intarnational, che ha rilasciato una intervista al quotidiano Prense Libre. Juliana Cano Nieto, è la vicedirettrice di Amnesty International per le campagne in America latina:
“Il principale motivo è che ha un sistema di asilo piuttosto debole. Le leggi in vigore in Guatemala per le questioni di asilo hanno lacune che non consentono un processo chiaro che distingue tra persone che cercano protezione per ragioni di violenza o situazioni di grave pericolo o persone che migrano per altri motivi (…) Dal Guatemala sono stati segnalati casi di corruzione nella Direzione generale della migrazione – ora l’Istituto – e riteniamo che ciò non permetta di dare un processo adeguato alle applicazioni presentate (…) Nel 2018, l’Ufficio dell’Alto Commissario per i Rifugiati ha pubblicato una guida per le persone che cercano protezione in Guatemala e mostra l’esistenza di gruppi illegali e di apparati clandestini di sicurezza, e l’esistenza di bande che operano in Guatemala con molte impunità (…) Ci sono luoghi che continuano ad essere molto violenti e in cui continua ad esserci un alto tasso di omicidi. Il rapporto dell’Alto commissario per i rifugiati indica Città del Guatemala, Mixco, Villa Nueva con alta persistenza di omicidi e alta presenza di bande”.
“Prigione o cimitero”
L’idea che possa si trasformare in sicuro un paese alla deriva, dal puto di vista sociale, da cui migliaia di persone scappano, ha la stessa misura di quello che succede in Libia. Dal Guatemala si fugge per le stesse ragioni da cui si scappa da El Salvador, cioè un paese nelle mani delle maras , cioè le gang locali, al punto tale da riconvertire il sistema militare per dedicarlo all’ordine pubblico.
“Prigione o cimitero” è l’espressione più ricorrente che si ascolta o che si legge sui muri, per le strade delle città salvadoregne. Una frase che spiega il destino di chi vive in questo paese. Una situazione talmente incancrenita da essere irrisolvibile agli occhi dei salvadoregni, poiché se a livello istituzionale vi è un sistema corruttivo endemico, i padroni delle strade sono proprio le maras che terrorizzano i cittadini con omicidi ed estorsioni. Dalla rivista Le Nius riportiamo questa fotografia del paese: “Rimane comunque il fatto che più del 70% delle attività commerciali verserebbe il pizzo alle gang e molti fra loro sono semplici autisti di autobus di imprese private. Solo negli ultimi cinque anni sono stati infatti ben 692 gli operatori di trasporto uccisi dalle gang: molti di loro sono morti perché non disposti a pagare un pizzo di pochi dollari a settimana”.
FONTI: La Jornada, La Hora, Prense Libre, Le Nius
Immagine in evidenza: AFP
Credit: AP, Telemundo (El Salvador), Prensa Libre_EFE,
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