Tanto tuonò che piovve: l’Europa tra rischio bellico e dipendenza energetica

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I vertici di Bruxelles riunitisi il 24-25 marzo in seno al G7, al Consiglio Atlantico e al Consiglio Europeo, hanno deciso l’ incremento di armi e spese militari, mentre il Presidente Biden ridisegna l’Alleanza. Con la sua visita si sancisce il passaggio da un sistema di confronto bipolare ad un sistema bilaterale a guida americana, con buona pace delle cancellerie del Vecchio Continente.

di Fabio Calì

La sicurezza e la difesa in Europa sono diventati i temi predominanti nelle ultime settimane alla luce degli avvenimenti ucraini, tra commentatori, analisti ed esperti. Si fa un gran parlare dello spauracchio dell’applicazione dell’art 5 del Patto Atlantico, come linea rossa verso un percorso senza ritorno. Alcuni analisti ritengono che così non è; proprio per questa ragione si rende necessaria un’esplorazione del sistema di sicurezza e difesa multilaterale vigente sul Vecchio Continente.

I contorni del sistema

Sorto alla fine del secondo conflitto mondiale, tale sistema, secondo Santoro (1995), ha dei limiti di natura temporale e geografica, poiché si basava su strutture intellettuali come le Nazioni Unite, o prodotte da circostanze politiche e storiche della guerra fredda, come la NATO, o infine dal clima di distensione che ha caratterizzato l’ultima fase del sistema bipolare: OSCE( Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa). Venendo a mancare le sue premesse teoriche e storiche generali, tale sistema è entrato in crisi. Tale crisi è sia funzionale che ideologica, evidenziando l’incertezza del suo destino, visto che il sistema politico che lo ha generato non è più in grado di operare come tale.

Nelle teorie delle relazioni internazionali, l’approccio all’analisi delle alleanze è stato monopolizzato dagli studiosi di scuola realista; essi considerano le alleanze come strumenti a disposizione degli Stati per ottenere quel balance of power indispensabile in un sistema multi o bipolare, uno strumento che permetta loro di aggregare le rispettive capacità individuali per contrastare eventuali minacce ai propri interessi strategici.

Al fine di sviluppare un’analisi quanto più chiara e lineare, è necessario distinguere tra il principio di difesa e quello di sicurezza collettiva. Il primo fa riferimento ad una alleanza di tipo difensivo integrato, nella quale la difesa di un suo membro o di suoi membri da un’aggressione da parte di terzi è il fulcro fondamentale della sua azione. Un’azione successiva al compimento di un illecito (NATO). La sicurezza, invece, implica l’adozione di tutta una serie di azioni preventive, atte a risolvere o scongiurare crisi che potrebbero sfociare in azioni aggressive, sia da un punto di vista economico che bellico (OSCE).

Abbiamo voluto sottolineare questa differenza fondamentale circa i compiti della NATO, onde fugare qualsiasi dubbio possa sorgere nella lettura di molti articoli sulla stampa mainstream, sui quali fior fiori di commentatori attribuiscono con estrema disinvoltura funzioni sia difensive che di sicurezza. Una struttura di sicurezza collettiva (es. OSCE) implica una metodologia d’azione politico-diplomatica che sfugge alla lettura degli atti istitutivi dell’Alleanza Atlantica. Sebbene, all’indomani del crollo del Muro di Berlino, sia iniziata un’opera di maquillage che doveva rendere l’Organizzazione più flessibile verso le sfide del XXI secolo. Tra i vari aspetti di innovazione dell’azione politica in chiave di sicurezza, citiamo l’apertura di un rapporto di collaborazione con i paesi ex membri del Patto di Varsavia e con la Russia, in ultima analisi. Alla luce dei fatti odierni, si evidenziano elementi di fragilità sia nel processo di allargamento che di trasformazione della stessa NATO.

Le fragilità possono essere così elencate: il dettato dell’articolo 5, la sindrome d’accerchiamento russo, come segnalato nell’articolo del 28 febbraio “Risveglio dell’Orso Russo” e la gestione del potenziale nucleare ucraino…

L’articolo 5 Trattato Nord Atlantico

L’articolo 5, contiene una delle disposizioni più significative del Trattato; tra l’altro definisce gli obblighi degli Stati in caso di attacco armato, stabilendo con gli alleati un’azione giudicata necessaria da ciascuna parte. Per la cronaca, l’ultimo caso di applicazione dell’articolo 5 è stato all’indomani del 11 settembre 2001, quando fu deciso l’intervento NATO in Afghanistan. Ogni Stato membro è libero di intraprendere l’azione che giudicherà necessaria: ciò vuol dire che un qualsiasi attacco armato non costituisce di per se un’automatica rappresaglia generale e non tutte le parti sono chiamate o fornire aiuti dello stesso livello.

Come rilevato da A. Bailes e da R. Bartholomew, al momento della stesura del Trattato il disposto dell’art 5 fu fortemente voluto dagli Stati Uniti per lasciarsi aperta una via di fuga, qualora un’azione fosse intrapresa da un altro attore interno alla NATO, contro la volontà di Washington di lasciarsi coinvolgere in un’azione bellica. Da questa lettura sembra di vedere il diverso approccio alla crisi ucraina che hanno, per esempio, i paesi del gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) che vorrebbero un intervento più belligerante e la posizione di attesa, invece, della Casa Bianca. Il significato dell’art 5 si ripropone in un nuovo contesto apparentemente non ideologizzato, quindi libero da una concezione di appartenenza. A tal guisa, il quesito sorge spontaneo: adesso che è scoppiato un conflitto in un paese europeo, il dettato dell’articolo permetterebbe il disimpegno americano verso un problema ritenuto vitale dai partner europei ed “out of area” dai primi? I membri europei della NATO, sono capaci di agire senza avere le spalle coperte da Washington? Quello che succede a Kiev, dimostra in maniera cristallina, che gli europei sono ancora ben lontani dal poter fare da sé.

Soffermiamoci sul termine “vitale”; ovvero, quello che è vitale per dei membri dell’Alleanza lo è anche per gli altri? Chi decide che un interesse sia vitale per tutti i membri? “Ça va sans dire”, la convergenza sugli interessi vitali è tale, quando è il Dipartimento di Stato a volerlo. Nel Golfo Persico, i livelli di instabilità e di sicurezza erano stati considerati tali da minacciare la stabilità e la sicurezza europea ed occidentale, mentre nei Balcani abbiamo dovuto attendere una carneficina di tre anni, prima che tale situazione fosse considerata minacciosa per l’Occidente e tale da organizzare una missione di peace enforcment previi bombardamenti su Belgrado.

Il vertice Atlantico di Bruxelles

E’ di pochi giorni fa, la notizia che la NATO ha chiesto ai propri membri di implementare l’intesa del 2006, in base alla quale gli alleati di Washington devono portare la spesa per gli armamenti sino al 2% annuo del PIL, quindi parliamo di decine di miliardi di euro che nei prossimi anni saranno spesi in Europa per incrementare l’arsenale bellico. Tutti i membri stanno rispondendo presente all’appello, ma con sfumate differenze. Si è detto che la NATO non è stata mai così unita come in queste settimane, anche se qualche distinguo incomincia ad emergere. Come riportava il Corriere della Sera, in un articolo di Giuseppe Sarcina, gli Stati Uniti preannunciano nuove sanzioni, ma i paesi del fronte est della NATO chiedono misure più incisive. Nella riunione del Consiglio Atlantico, il Presidente Biden presenta un nuovo pacchetto di sanzioni, rafforzando la sua “dottrina”, ovvero, sostenere l’Ucraina con l’invio di armi e aiuti umanitari da un lato e dall’altro applicare sanzioni economico/finanziarie anche nel campo energetico a Mosca. Una nostra fonte, accreditata presso la City londinese nel settore dell’interscambio energetico, sottolinea l’evidenza dei fatti, cioè che Mosca continuerà a vendere il suo petrolio in tutto il mondo tramite la compagnia petrolifera statale cinese (China National Petroleum Coroporation), che si presterà ad aiutare Mosca ad aggirare le sanzioni occidentali.

A parte il tema delle sanzioni, è evidente che sul campo invece, gli attori atlantici abbiano un approccio diverso riguardo l’escalation in Ucraina. Se nelle prime settimane del conflitto, la NATO compattamente non voleva entrare militarmente sullo scenario, da 10 giorni circa le posizioni in seno all’Alleanza stanno via via modificandosi, segmentando le azioni da intraprendere, in capo a diversi raggruppamenti di alleati. Un primo gruppo è costituito da quei paesi che vorrebbero uno scatto d’iniziativa da parte della NATO; ne fanno parte Regno Unito, Polonia, Estonia, Lituania, Lettonia, Repubblica Ceca, Slovenia, Olanda, Danimarca e la Norvegia. Questi paesi stando alle parole dell’Ambasciatore polacco presso la NATO Tomasz Szatkowski, suggeriscono un cambio di passo della strategia dell’Alleanza, al fine di bloccare la politica aggressiva di Putin.

In pratica, questi paesi, teorizzano il paradigma dell’ ambiguità costruttiva guardando all’esempio Turco, come citato nell’articolo del19 Marzo “Gli Attori dell’avanzata a Est e la strategia degli armamenti”, paese NATO che fornisce armi all’Ucraina senza subire gli strali del Cremlino. Inoltre, l’Alleanza Atlantica non interviene direttamente nel conflitto, ma potrebbe cambiare idea se il Cremlino dovesse scatenare un attacco chimico, biologico o nucleare. Nel vertice NATO di Bruxelles è stato deciso di potenziare il fianco est dell’alleanza inviando quattro battaglioni in Romania, Slovacchia, Ungheria e Bulgaria. La NATO sarà la piattaforma che coordinerà gli aiuti militari a Kiev con un massiccio flusso di sistemi anti tank, anti aerei, batterie anti navali e droni. Joe Biden si è comportato come il leader di fatto; il comunicato finale del vertice atlantico sembra una fotocopia della dichiarazione diffusa dalla Casa Bianca qualche ora prima. L’iniziativa spetterà agli americani che nel frattempo stanziano altri due miliardi di dollari in armamenti e un miliardo in aiuti umanitari. Segnaliamo, infine, che in occasione della visita in Europa, Biden ha siglato accordi per forniture di gas liquido all’Europa per miliardi di dollari, a dimostrazione – semmai ce ne fosse bisogno – che un prolungamento della guerra favorirà gli Stati Uniti e non gli europei, a cui spetterà il compito gravoso di sopportare gli effetti delle sanzioni a Mosca e il compito di ricostruzione dell’Ucraina all’indomani della fine della guerra. Un altro gruppo di stati – Italia, Francia, Germania ed Ungheria – non vogliono fughe in avanti, in termini di confronto militare con Mosca. Spetterà agli americani trovare una sintesi tra le varie anime atlantiche.

La difesa dell’Unione Europea

La Francia, sta giocando una sua partita, sia come presidenza di turno dell’Unione Europea, sia come potenza nucleare. E qui atterriamo sul tavolo esclusivamente europeo di sicurezza e difesa collettiva. L’integrazione strategica dell’Unione Europea è sempre stata ostacolata dal Regno Unito, che non ha mai voluto rinunciare al suo ruolo di “proconsole americano” sul vecchio continente. Ma con il leave di Londra, l’Europa oggi può finalmente incominciare a pianificare un sistema che possa garantire la sicurezza e la difesa dei suoi componenti. Qualche giorno fa, il Consiglio Europeo ha varato la creazione di una forza di intervento rapido, tutta unionista e indipendente nel suo intervento nelle aree di crisi. Questo raggruppamento militare di rapido intervento sarà costituito da 5.000 unità, che se confrontate con gli schieramenti russi, fa un po’ sorridere, considerando infine il paradigma tutto militare, in base al quale su ogni venti soldati, solo uno è destinato al combattimento. Il lettore può fare benissimo i calcoli.

La questione circa la sicurezza europea è un po’ più ampia rispetto a questi annunci più di propaganda che di contenuti. La Francia, senza il Regno Unito, nutre l’ambizione strategica di guidare un sistema di sicurezza collettivo in Europa, grazia al fatto d’essere l’unico Stato europeo in possesso di un deterrente nucleare, col quale proteggere gli alleati. Ma secondo il paradigma del balance of power, riteniamo che non può essere solo uno stato (in questo caso la Francia) a detenere tale strumento. Si rende necessario un bilanciamento, ovvero, dotare un altro paese dell’Unione Europea di un deterrente nucleare: la Germania ha i requisiti per potersi dotare in tempi relativamente brevi di un arsenale atomico (ricordiamo che la Germania ha avviato un piano di sviluppo degli armamenti di centinaia di miliardi di euro). Non possiamo non attribuire alla Germania un ruolo di co-starring circa l’edificazione di una nuova architettura di sicurezza e difesa continentale. Visto però i corsi e ricorsi storici che stiamo vivendo in queste settimane, pensare ad una Germania con potere nucleare, mette veramente i brividi.

Immagine in evidenza: AFP

Credits: AFP/Getty Images, AFP

La mappa della nato è stata estrapolata da http://www.it.wikipedia.org

Fonti

Santoro C.M. “Le Istituzioni della sicurezza ed il concetto di Occidente” in Relazioni Internazionali 1995

Balles A. “Europe’s defense challenge” in Foreign Affairs 1997

Bartholomew R. “La NATO e la Sicurezza europea” in Affari Esteri 1993

Bonanate L. “Dal dilemma della sicurezza al paradosso dell’instabilità” in Comunità Internazionale 1992

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