Gli attori dell’avanzata ad Est e la strategia degli armamenti

L’avanzata della NATO in Europa dell’Est è uno dei temi che la narrazione russa, relativamente alla guerra in Ucraina, ha come elemento portante in tutto il discorso pubblico di questi convulsi giorni. Abbiamo cercato di comprendere come questo processo geo-politico si sia andato a sviluppare negli ultimi anni, dall’indomani della caduta dei muri. Nel frattempo arriva la notizia che la NATO vuole imporre ai paesi membri di impegnare il 2 percento delle spese per gli armamenti. A voler pensare male sembrerebbe una strategia programmata. Sarà così?

di Fabio Calì

La letteratura sul tema è assai nutrita, con differenti punti di vista come giusto che sia; il nostro proposito però, è quello di evidenziare gli aspetti per così dire “didascalici” di tale processo, evitando di cadere nella trappola dell’emotività. Infatti, la politica di allargamento, messa in essere dall’Alleanza Atlantica permette di illustrare dettagliatamente il diverso modo in cui i “giocatori” si muovono tra razionalità e comportamenti da manuale. Alla luce degli accadimenti ucraini, si spiegano oggi il repentino e precipitoso abbandono dell’Afganistan da parte della NATO, abbandono motivato come un ridispiegamento in Europa di forze e risorse; oppure le esercitazioni avvenute lo scorso anno tra i paesi membri, che hanno visto la Germania ospitare decine di migliaia di soldati di diversi contingenti per esercitazioni campestri.

Ipotesi sull’avanzata verso Est

Perché gli Stati Uniti decisero di espandere gli ambiti territoriali dell’Alleanza, nonostante l’accordo con Mosca del 1990? Quali erano i motivi che stavano dietro ad’una scelta così rischiosa? Quali le finalità di tale azione? Circa gli scopi che hanno spinto la NATO ad espandersi a EST si sono avanzate varie teorie… La prima ipotizza che con l’allargamento a Oriente, Washington si proponesse di creare uno strumento di pressione per contrattare con Mosca. Essi volevano utilizzare l’allargamento come merce di scambio per un ridimensionamento dell’attività russa in Medio Oriente.

La seconda ipotesi avanzata riguardo alle intenzioni americane è quella della “trappola diversiva”. Le varie Amministrazioni americane succedutesi in questi 20 anni avrebbero avuto l’intenzione di stimolare un’azione violenta, per aprire una crisi internazionale in Europa centro orientale, sollevando un sentimento di ostilità in tutto il continente europeo verso la leadership russa e creato un gran polverone al cui riparo gli Stati Uniti avrebbero potuto condurre a buon fine il loro vero scopo: contenere la Russia sì, ma al contempo annullare le velleità di indipendenza strategica degli europei, ostacolare il processo d’allargamento e d’integrazione dell’Unione Europea, annullare l’indipendenza energetica del vecchio continente da Mosca e sostituirlo con Washington e i loro alleati arabi.

La terza ipotesi si riferisce al fatto che la mossa americana fosse parte di una più ampia manovra di politica internazionale, atta a saggiare (semmai ce ne fosse stato bisogno) la determinazione in politica estera di Vladimir Putin dopo 20 anni di dominio assoluto nella propria politica interna.

Ultima ipotesi, infine, il potere strategico: l’obiettivo principale che gli americani vogliono conseguire con l’allargamento della NATO, é quello di aumentare sensibilmente il raggio d’azione delle loro forze strategiche. Con tutto quello che ne segue in termini di contratti milionari per l’industria bellica americana, ma non solo.

L’identikit dei “giocatori”

I “giocatori” a stelle e strisce nel processo di espansione, possono essere individuati negli inquilini della Casa Bianca, il cui obiettivo è sempre stato mirato a un containment dell’ingerenza di Mosca sulla scena globale, anche all’indomani del crollo del Muro; nei segretari di Stato e della Difesa che con l’allargamento possono gestire imponenti risorse politiche, economiche e strategiche; nel Pentagono i cui vertici possono siglare contratti di fornitura bellica incrementando il potere della propria organizzazione di appartenenza (esercito, marina o aviazione) come strumento di pressione burocratica; nelle lobby delle industrie belliche che vedono fiorire contratti milionari di forniture siano esse armi, mezzi aerei e navali, equipaggiamenti, sistemi elettronici, ecc; nelle lobby finanziare che hanno visto incrementare il volume di prestiti richiesti dai Paesi nuovi aderenti per l’acquisto di tutte queste forniture; nell’opinione pubblica “sensibile”, composta da tutti i cittadini americani di origine europea centro orientale, che come i cubani possono premere in funzione elettorale sull’Amministrazione di turno.

Kissinger e la finlandizzazione

L’ex Segretario di Stato Henry Kissinger, in un’intervista al Washington Post del marzo 2015, proponeva circa la posizione di Kiev sulla scena europea, una scelta di “finlandizzazione” dello stato ucraino, cioè renderlo assolutamente neutrale come il paese nordico e, non allineato. Se l’Ucraina – dichiarava Kissinger – vuole sopravvivere e prosperare, non deve diventare l’avamposto dell’uno contro l’altro e viceversa: deve semmai funzionare come ponte tra loro. Suggeriva in pratica una via, ai decision maker statunitensi, per evitare una contesa di territori che avrebbe potuto innescare gli effetti a catena di cui stiamo diffusamente trattando, e avrebbe razionalmente impedito l’escalation di violenza di queste settimane. Ma, ahinoi, gli ultimi inquilini della Casa Bianca non hanno voluto, o non hanno potuto, proseguire su questa strada per pure logiche di confronto bipolare.

Tra lo Zar ed il Sultano

Abbiamo sin qui trattato del processo di espansione dell’Alleanza Atlantica verso est; è però opportuno fare qualche cenno al fronte sud sud-est, ovvero, quell’immensa area geopolitica che va dalla sponda sud del Mediterraneo a quello sud orientale e poi su verso nord-est, sino all’arco centro asiatico – ai confini cinesi a est e quelli russi a nord, nel quale sta giocando un ruolo sempre più importante la Turchia di Recep Tayyip Erdogan.

Ankara, si trova a diretto confronto geo politico con Mosca, sia sul Mar Neo che sulle sterminate pianure dell’heartland centro-asiatico, nel quale la gran parte degli Stati che apparteneva al blocco sovietico, sono d’origine Turca (per la precisione del fu Impero Ottomano), sia da un punto di vista etnico che linguistico. Il panturchismo della leadership di Ankara ha, da qualche decennio, ricominciato a guardare a quei territori che un tempo appartenevano ai Sultani Ottomani, come sbocco naturale alle proprie ambizioni, in una visione altalenante tra cooperazione e realismo, tra politiche di potenza e condivisione di visioni. Si spiega così l’interventismo di Ankara nello scacchiere nord africano (Libia), in Medio Oriente (Siria e Iraq) o nel Caucaso (Armenia e Nagorno Karabakh).

Nell’attuale crisi Ucraina, Ankara, membro della NATO, si è ritagliato un ruolo da negoziatore, nonostante fornisca i micidiali droni Bayraktar TB2 all’esercito ucraino, che tante perdite sta infliggendo alle armate russe. Le relazioni diplomatiche tra il Sultano e lo Zar, appaiono per lo meno contradditorie. Sono schierate su fronti opposti ma negli ultimi anni hanno collaborato tanto in Medio Oriente e Nord Africa quanto nel Caucaso. Mosca ha fornito ad Ankara dei sistemi antiaereo S-400 causando irritazione a Washington che, di contro, ha annullato una commessa per la fornitura di aerei F-35 ad Ankara.

Nel 2015 la Turchia ha abbattuto un SU-24 russo mentre sorvolava la no fly zone (imposta da Ankara) sui cieli al confine con la Siria, senza che Putin reagisse muscolarmente. L’ambasciatore russo, Andrey Karlov, inoltre, è stato assassinato ad Ankara nel 2016 da un poliziotto turco (le ragioni di tale episodio non sono state rese pubbliche, né eventuali appartenenze del killer a movimenti di natura politica) e neanche questo episodio ha incrinato i rapporti tra due partner strategici.

Amici-nemici e in mezzo c’è Nato

La leadership di Mosca, sin dall’inizio dell’invasione ucraina, ha ogni giorno minacciato i paesi NATO nel fornire assistenza militare, poiché la Russia avrebbe considerato quel/quei paesi direttamente coinvolti nelle ostilità. Però l’atteggiamento del Cremlino verso la Turchia è sino ad oggi molto soft, per così dire. Ankara, non solo fornisce Kiev di droni, ma ha anche inviato degli istruttori sul campo per l’addestramento dei militari ucraini all’utilizzo di quel sistema militare. Vediamo allora il quesito che segue rispetto alle precedenti riflessioni: come si comporterebbe Ankara davanti all’art 5 del Patto Atlantico, che codifica la mutua assistenza militare tra i paesi membri della NATO in caso d’aggressione di uno di essi?

Il quesito meriterebbe una trattazione a parte, qui diciamo solo, che per molti analisti sarebbe l’occasione buona per Erdogan di sfilarsi dall’Alleanza ed incominciare a perseguire i propri obiettivi in politica internazionale, tra rinascita dell’Impero Ottomano e creazione della Mavi Vatan (Patria blu), quindi un’espansione su una duplice direttrice, una terrestre di competizione/cooperazione con Mosca ed una marittima di competizione con gli altri attori di teatro (Grecia, Cipro, Italia e Francia), parliamo, in pratica, di potenziali conflitti in seno a Stati Membri NATO. Ma di tutto questo, avremo modo di approfondire e scrivere nel 2023, all’indomani dell’elezioni presidenziali in Turchia. Sperando che la Turchia rientri nell’alveo degli Stati laici e democratici, in seguito ad una sconfitta elettorale del Sultano Erdogan.

Le opzioni disponibili

Ma riallacciamoci alla situazione attuale. La risposta russa, di cui abbiamo già parlato in “Tradimento o cooperazione? Il dilemma ucraino nella teoria dei giochi”, razionalmente è da considerarsi come il risultato di una valutazione dei pro e dei contro circa le diverse opzioni disponibili per il Cremlino di fronte all’espansione dell’Alleanza: non fare nulla, un’azione diplomatica, un approccio segreto con Washington, Londra, Berlino o Ankara, qualche azione militare breve e mirata, il sovvertimento dell’ordine costituito a Kiev o infine, appunto, l’invasione, la guerra. C’è un detto balcanico che recita più o meno così: in guerra i politici danno le munizioni, i ricchi danno il cibo e i poveri danno i loro figli…finita la guerra, i politici recuperano le munizioni rimanenti, i ricchi producono più cibo….e i poveri cercano le tombe dei loro figli.

Realismo e cooperativismo, razionalità e ideologia, “panslavismo” ed “occidentalismo”, laicità ed ortodossia religiosa, sono e saranno i dualismi che caratterizzeranno le relazioni internazionali est-ovest nei prossimi anni, in attesa del risveglio del Kangal ottomano.

Immagine in evidenza: AFP

Credit: arenadigitale.it

Fonti

Grahm T. Allison – The Essence of Decision 1971

J. Baptiste Doruselle – Storia Diplomatica dal 1919 ai nostri giorni 1998

Gaz Alperowitz – Atomic Diplomacy: Hiroshima and Potsdam 1966

Martin Shubik – Game Theory in the Social Sciences, 1971).

Robert Axerold – The Evolution of the cooperation, 1984.

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