La guerra in Ucraina l’abbiamo voluta analizzare attraverso la lente della Teoria dei giochi, dove irrompe il dualismo portato alla luce dal dilemma del prigioniero: ciò che è meglio per ciascun soggetto induce al tradimento, mentre tutti si troverebbero avvantaggiati dalla cooperazione. La metafora, che si trasforma in paradigma, porta verso la contrapposizione tra corsa agli armamenti e negoziazione, già motivo dominante del novecento, che oggi si ripropone in un mondo completamente trasformato.
di Fabio Calì
L’analisi dei fattori che influenzano la posizione di un giocatore nel processo decisionale ci porta ad introdurre “La Teoria dei giochi”: la concezione del problema della sicurezza nazionale, l’interesse organizzativo, gli interessi legati alla politica interna e gli interessi personali.
Essa è un metodo matematico per lo studio di alcuni aspetti della formazione consapevole delle decisioni in situazioni che implicano possibilità di conflitto e/o cooperazione. Il grande pubblico ha conosciuto tale teoria grazie al film A Beautiful Mind(2001), nel quale il matematico americano premio nobel John Nash, interpretato dall’attore Russell Crowe, nella scena del bar, teorizzava la cooperazione come elemento vincente per sedurre una bellissima ragazza, evitando che la competizione tra gli amici, nella sua conquista, potesse danneggiare tutti i giocatori coinvolti non solo verso quella ragazza, ma anche verso tutte le altre ragazze presenti in quel momento nel bar.
Essa tratta dei processi in cui la singola unità decisionale ha soltanto un controllo parziale sui fattori strategici che influenzano l’ambiente. Come segnalava Martin Shubik in “Game Theory in the Social Sciences”, del 1971: l’unità decisionale può essere un individuo, un’azienda, un governo e qualsiasi istituzione formale o informale.
La Teoria dei giochi si basa su tre assunti:
l’interdipendenza decisionale – in tutte le interazioni (politiche, economiche, militari, culturali) i soggetti per conseguire i propri obiettivi devono entrare “in una relazione di scambio con gli altri”;
la razionalità dell’unità decisionale – un soggetto possiede tutte le informazioni per un adeguato calcolo dei mezzi necessari al raggiungimento dei suoi obiettivi;
l’egoismo dei soggetti decisionali – massimizzare la propria utilità nel cooperare con soggetti che hanno motivazioni simili.
Una prima distinzione all’interno della teoria è quella dei giochi a somma zero e quella dei giochi a somma diversa da zero. I primi, che coinvolgono due soggetti, implicano che tutto ciò che vince un giocatore è di pari entità a quello che l’altro giocatore ha perso. Un gioco a somma zero rappresenta una situazione di puro conflitto: ogni successo di un giocatore corrisponde alla sconfitta dell’altro. Un esempio di una situazione di questo tipo è la guerra. Questo tipo di giochi di puro conflitto, sono però anche i meno utili per descrivere le situazioni reali, dove quasi mai esiste una situazione di puro ed esclusivo conflitto. Anche in quelli più totali i contendenti cercano sempre un qualche accordo per limitare le perdite. Per esempio i colloqui di pace, che nonostante il conflitto militare in essere, vengono organizzati per trovare una via di uscita onorevole per entrambi i contendenti.
Fino a oggi, le delegazioni ucraine e russe si sono incontrate già tre volte, per trattare su concessioni tra le parti, per l’assistenza ai civili e per la creazione di corridoi umanitari. Questa considerazione ci porta ai giochi a somma diversa da zero, nei quali accanto agli elementi competitivi, sono presenti anche elementi di cooperazione. L’esempio più noto di questo gioco è il “dilemma del prigioniero”.
Due prigionieri vengono interrogati separatamente. A entrambi viene proposto di denunciare l’altro prigioniero in cambio della libertà: se entrambi si denunciano sono entrambi puniti severamente, se un prigioniero denuncia l’altro (che invece tace), il primo sarà libero mentre il secondo punito, infine, se entrambi tacciono, avranno pene più lievi. Il dilemma sorge dal fatto che un giocatore non sapendo cosa fa l’altro è portato a denunciarlo per limitare il rischi della situazione peggiore: tacere mentre l’altro racconta tutto. Tale dilemma è un esempio di quei casi in cui la razionalità individuale porta a soluzioni collettive irrazionali.
Per dirla con Robert Axerold , ciò che è meglio per ciascun soggetto induce al tradimento, mentre tutti si troverebbero avvantaggiati dalla cooperazione.
L’esempio classico, di attuazione del dilemma del prigioniero nelle relazioni e nella politica internazionale è la corsa agli armamenti. Ogni Stato per tutelare la propria sicurezza da eventuali aggressioni e per non cadere sotto il controllo di un altro Stato è portato ad armarsi.
La corsa agli armamenti nucleari dagli anni 50 ai 70 è motivata proprio da questo timore. Stati Uniti e Unione Sovietica agendo in una situazione di “Mutual Assured Destruction” (MAD) potevamo benissimo non ricorrere all’ampliamento dell’arsenale strategico, poiché la capacità di dissuasione e di secondo colpo era già in loro possesso dagli anni 50, ma ciò nonostante, hanno proseguito nella loro corsa ad armarsi, portandosi in una situazione peggiore da cui erano partiti. Questo perché i rapporti di forza non si sono modificati, ma si sono sperperate ingenti risorse economiche in programmi militari inutili.
Altra distinzione all’interno della teoria dei giochi è tra giochi di lunghezza finita e giochi a lunghezza infinita, a seconda che al giocatore sia permesso di disputare solo un numero limitato di partite o illimitato. E’ necessario rielaborare il dilemma del prigioniero in forma reiterata, i giocatori non disputano solo una partita, ma una sequenza di partite.
In questo caso i contendenti sono più propensi a collaborare. Questo accade perché – a differenza di un singolo incontro, nel quale conviene mostrare le mosse più aggressive per massimizzare i profitti o ridurre le perdite – in un gioco ripetuto, dove l’aggressività nuocerebbe ad entrambi i giocatori, si instaura un processo tacito di negoziazione, attraverso il quale i due contendenti imparano a convergere su soluzioni di tipo cooperativo.
Immergiamoci nel campo. Si può ben notare la differenza degli argomenti tra il primo e il terzo incontro tra le parti in conflitto: gli argomenti del primo incontro vertevano per lo più su un cessate il fuoco (richiesto da Kiev) e sulle concessioni territoriali (richieste da Mosca). Nel terzo invece si sono aggiunti i temi relativi alla salvaguardia dei civili, alla protezione dei centri urbani e dei siti nucleari, alla creazione di corridoi umanitari con il coinvolgimento di attori terzi (Croce Rossa).
Gli strumenti fin qui analizzati per comprendere i comportamenti degli attori nell’arena internazionale, ci possono tornare utili, per le finalità della nostra trattazione, al fine di prevedere l’implementazione di altre opzioni , e come a queste potrebbero reagire i giocatori.
La proposta di creare una No Fly Zone su tutta l’Ucraina è rifiutata, oltre che naturalmente dalla Russia, anche dalla NATO. Ma se invece, si volesse creare una NFZ solo sulle centrali nucleari ucraine, al fine di salvaguardare l’Europa da una catastrofe, oppure, provare a stabilire in sede ONU che Odessa (patrimonio dell’umanità UNESCO) sia protetta da una NFZ…? Difficile da un punto di vista strettamente militare/operativo, ma di grande significato simbolico: come reagirebbe Mosca?
Come reagirebbe il Cremlino, se oltre alle armi e agli equipaggiamenti, la NATO fornisse a Kiev anche combattenti, non i “Volontari” che sotto mentite spoglie sarebbero impiegati sul campo, solo così, e non solo attribuendo il successo ai micidiali sistemi anti carro da spalla, si potrebbe spiegare la lentezza con cui l’armata russa si sta muovendo in Ucraina.
I presupposti per una proxy wartra Russia e NATO ci sono tutti. Il meglio dei reparti speciali dei paesi NATO, in questo momento, stanno addestrando e guidando i militari ucraini nella resistenza.
E ancora, imputare Vladimir Putin (i suoi consiglieri e Generali) di crimini contro l’umanità presso la Corte Internazionale Penale dell’Aia, con tutto quello che ne seguirebbe, fornirebbe uno strumento negoziale in un futuro prossimo agli attori occidentali o irrigidirebbe oltremodo le posizioni del Cremlino?
Immagine in evidenza: AFP
FONTI
Grahm T. Allison – The Essence of Decision 1971
J. Baptiste Doruselle – Storia Diplomatica dal 1919 ai nostri giorni 1998
Gaz Alperowitz – Atomic Diplomacy: Hiroshima and Potsdam 1966
Martin Shubik – Game Theory in the Social Sciences, 1971).
Robert Axerold – The Evolution of the cooperation, 1984.