di Marco Marano
Nel nuovo esecutivo sono presenti uomini del vecchio regime di Bashir, direttamente deposto dalla gente scesa in strada a protestare, ma la rabbia popolare mette in guardia i militari, chiedendo a gran voce un governo civile.
Bologna, 16 aprile 2019 – L’Associazione dei professionisti sudanesi (SPA), è il nocciolo duro delle manifestazioni di protesta che hanno defenestrato il potere autocratico del vecchio dittatore Omar al-Bashir. In una conferenza stampa, tenutasi ieri a Khartoum, i suoi portavoce hanno lanciato strali contro il nuovo governo appena insediatosi, composto esclusivamente da militari, alcuni dei quali fedeli al vecchio leader. La richiesta è chiara: un governo civile che possa includere un limitato numero di militari, sicuramente non compromessi con il vecchio regime.
Il popolo non si fa manipolare
E’ la storia di tanti cambi di regime, quando i militari stanno dentro al potere esecutivo, che il vecchio establishment possa riciclarsi con una semplice operazione di maquillage. Taha Osman, uno dei portavoce di SPA: “Gli obiettivi della rivoluzione non possono essere raggiunti totalmente e completamente di fronte alle manipolazioni dietro le quinte dei resti del regime (…) La richiesta chiave è la formazione di un consiglio civile per garantire che la rivoluzione sia salvaguardata e che tutti gli obiettivi siano raggiunti”.
Anamnesi di una rivoluzione
Quello sudanese è stato un governo militare durato trent’anni. Dopo quattro mesi di proteste, una vera e propria insurrezione popolare, ha fatto crollare il sistema di potere. Ma il potere non si lascia facilmente ad un popolo infuriato, per cui anziché scegliere repressioni e sangue i militari hanno formalmente arrestato la vecchia giunta, operando un colpo di stato interno, cercando di “mantenersi in sella” facilitando un cambio di nomi.
Eliminato Bashir, il primo a farsi avanti è stato il ministro della Difesa Ahmed Awad Ibn Auf, annunciando in televisione la caduta del dittatore, suo presidente. Poi il fedelissimo generale Ibn Auf, giurava come capo di un esecutivo che sarebbe dovuto durare almeno due anni. C’è da dire, come rileva il quotidiano Le Monde, che questo è molto vicino a Salah Gosh, il capo del NISS, il servizio d’intelligence sudanese, il quale è la rappresentazione del vecchio potere di al-Bashir, è questo diventa intollerabile per chi chiede un cambiamento radicale.
Anche in questo caso la rabbia popolare non si è fatta attendere, infischiandosene del coprifuoco imposto. Così i militari, hanno fatto marcia indietro dopo solo 24 ore nominando un altro militare a capo della giunta: il tenente generale Abdel Fattah al-Burhan.
Un popolo africano che impone il proprio volere
Sembra una partita a scacchi tra la rabbia popolare ed un sistema di potere che non vuole andarsene. Fatto sta che, forse per la prima volta, un popolo africano riesce a mettere sotto scacco un potere militare, senza spargimenti di sangue: un fatto storico…
A tutt’oggi i negoziati tra SPA e militari non hanno avuto ancora l’effetto voluto, poiché le richieste popolari vogliono escludere del tutto o quasi dal potere i soldati del Sudan: il trasferimento del potere a un’autorità transitoria a capo civile per un periodo di quattro anni, al termine del quale si terranno le elezioni.
FONTI: Al Jazeera, Le Monde
Immagine in evidenza: AFP
CREDIT: AFP, Reuters,