di Marco Marano
La sostituzione etnica del cantone kurdo prosegue tra caos e violenze. Gli scontri armati tra i gruppi di mercenari ex Isis, alleati della Turchia, si susseguono per contendersi i beni e le abitazioni degli sfollati. Intanto tra i mercenari è nata la prassi dei rapimenti per ottenere un riscatto.
Bologna – Dall’inizio dell’occupazione turco-jihadista ad Afrin, gli sfollati kurdi, dal cantone del Rojava, sono circa trecentomila. L’area di Shehba è il luogo dove centinaia di migliaia di persone si sono ritrovate dopo la fuga. Chi è rimasto è soggetto a ritorsioni e ai rapimenti a scopo estortivo. I saccheggi e le case abbandonate sono diventate l’oggetto del contendere tra i gruppi jihadiste alleati alla Turchia. Mentre la sostituzione demografica si sviluppa tra caos e violenza, le nuove istituzioni locali turco-jihadiste hanno ridefinito i documenti dei residenti, tanto che sia chi cerca di rientrare che chi cerca di scappare viene definito “straniero”.
Una sparatoria per dividersi i bottini dei saccheggi
Avevano formato una Commissione di riconciliazione, costituita da tre membri dell’esercito turco, nel centro del distretto di Afrin. L’obiettivo era quello di far trovare un accordo tra le due bande jihadiste alleate della Turchia che hanno inscenato un vero e proprio conflitto: il Fronte al-Shamiya e la Brigata al-Mutasim.
Il disaccordo tra i jihadisti, prevalentemente ex Isis, nasce dalla spartizione dei bottini frutto dei saccheggi nelle case dei residenti di Afrin, costretti alla fuga. Il risultato che la riconciliazione ha prodotto si può sintetizzare nella sparatoria avvenuta il 28 giugno che ha ucciso i tre membri della commissione e ferito quattro dei mercenari delle due bande.
In questo contesto alcune delle famiglie che provenivano da al-Ghouta orientale stanno cercando di uscire da Afrin e sfuggire alle bande di mercenari, attraverso dei loro conoscenti.
I jihadisti a caccia di case abbandonate
Se il tentativo da parte dell’esercito turco di mettere pace tra le fazioni jihadiste, in gara per accaparrarsi quanti più beni possibili dei residenti di Afrin in fuga, è fallito miseramente, c’è da dire che questi scontri continuano in un contesto di caos e violenza che la città occupata sta vivendo. Un caos che i due nuovi corpi di polizia, quella cosiddetta “libera” e quella cosiddetta “militare” non sembrano riuscire a controllare. In questo momento sono concentrati a gestire i punti di entrata e uscita della città.
Altri scontri sono scoppiati proprio ieri notte nelle vicinanze della scuola di Salih El Ali nel quartiere Ashrafiya. Non sono riusciti a mettersi d’accordo sul modo di dividersi le proprietà rubate. Anche perché le bande jihadiste continuano a razziare di tutto e di più. Non solo. L’oggetto del contendere, prima che i beni materiali sono proprio gli immobili abbandonati. Questo perché il disegno turco di trasformazione demografica di Afrin vede la sostituzione del popolo kurdo con quello jihadista.
Un riscatto per liberare i civili
Non si è ancora compreso se gli scontri tra le bande jihadiste siano anche dovuti ai rapimenti per ottenere un riscatto. Si, perché l’altra crudele forma di vessazione che il popolo kurdo ad Afrin sta subendo è proprio quello dei rapimenti. Il prezzo che i familiari devono pagare per rivedere i propri cari si aggira intorno ai 10.000 dollari.
Fonti locali, a quanto riferisce l’agenzia kurda ANF, hanno confermato che il 27 giugno la banda jihadista Jaysh Al-Nuxbe ha rapito Amir Fayiqand di 45 anni e sua moglie Shaziye Mustafa di 35 anni nel villaggio di Emara, nel distretto di Mabata, Cantone di Afrin. Nell’area di Bilbile è stato invece confermato il rapimento di Henan Mehmud, un cittadino kurdo di 36 anni. Ma questi sono solo alcuni casi confermati. Di sparizioni sembra che ce ne siano a tamburo battente.
Il popolo decide come liberare Afrin
Mentre le forze di occupazione turca e jihadista ad Afrin continuano la loro azione di pulizia etnica, si è riunita la nascitura Conferenza per la liberazione di Afrin. I delegati continuano ad incontrare centinaia di persone dentro i loro villaggi, fuori dal raggio d’azione degli occupanti. Gli ultimi incontri si sono svolti nei villaggi di Weshee, Teane, Cobe e Nerabiye.
A Shehba, l’area desertica dove sono concentrati la maggior parte degli sfollati di Afrin, invece si è tenuto l’incontro per condividere e confrontarsi sui risultati di questa azione democratica. In tal senso i delegati hanno salutato la resistenza delle unità di combattimento kurde, YPG e YPJ, che insieme a pezzi di popolazione stanno cercando di frapporsi alla violenza turco-jihadista.
Se è gioco forza non arrendersi fin quando la liberazione di Afrin non sarà una realtà, per un popolo che da un secolo combatte per la propria autonomia, quello di cui è emerso in modo forte è l’autocritica nei confronti delle istituzioni militari e civili di Afrin, in relazione agli errori commessi. In perfetta logica comunitaria, come nelle caratteristiche di democrazia dal basso del Rojava, è stata proprio la popolazione a dare dei suggerimenti per superare le carenze del passato.
FONTI e CREDITS: ANHA, ANF