di Marco Marano
Il giorno dopo l’annuncio del capo della Casa Bianca sul trasferimento dell’ambasciata americana a Gerusalemme, si prepara l’ennesima intifada palestinese, come promesso dal capo di Hamas Ismail Haniya. Così per le strade di Gerusalemme, Betlemme e Ramallah iniziano le prove tecniche di una rivolta. Cronache dalle diretta su facebook di Reuters ed El Pais.
Bologna, 7 dicembre 2017 – Il cordone dell’esercito cintura la strada di Betlemme, dove a metà mattinata si sono concentrate un centinaio di persone, prevalentemente ragazzi, pronti al lancio di pietre e bastoni. Sono circa trecento metri che separano due cordoni che si fronteggiano: da un lato, in cima a questa strada leggermente scoscesa e già piena di pietre e cassonetti divelti, vi è l’esercito israeliano, dall’altro i giovani palestinesi, mentre dietro di loro una piccola folla assiste ai tafferugli.
I ragazzi dell’Intifada
La tensione è alta. I due cordoni si scrutano da lontano. Qualche lancio di pietre e alcune esplosioni di armi automatiche. La giornata si sviluppa lentamente. Le forze armate israeliane, insieme alla polizia in tenuta anti sommossa, sembrano voler attendere una mossa falsa di quei ragazzi per attaccare, quand’anche le telecamere stanno riprendendo le fasi di quella che sembra una partita a scacchi.
I ragazzi si avvicinano minacciosi, hanno già sentito l’annuncio fatto dal leader di Hamas Ismail Haniya. “Questa decisione ha ucciso il processo di pace, ha ucciso l’accordo di Oslo, ha ucciso il processo di risoluzione… La decisione degli Stati Uniti è un’aggressione, una dichiarazione di guerra contro di noi, sui migliori santuari musulmani e cristiani nel cuore della Palestina, a Gerusalemme… Dovremmo lavorare sul lancio di un’intifada di fronte al nemico sionista… Gerusalemme, tutta Gerusalemme, è nostra.”
I cordoni di Davide e Golia
Un cassonetto prende a fuoco e inizia ad intensificarsi il lancio di sassi, che comunque non sembrano arrivare al bersaglio: la distanza è troppa. Gli uomini in divisa sono fermi e ostentano tranquillità. Il cordone dei giovani palestinesi si sfilaccia e si ricompone in modo dinamico. Arriva un cingolato che si dirige verso i giovani arrabbiati per questo ennesimo sfregio alla loro identità. Poi s’infrangono i lacrimogeni.
Il mezzo armato inizia a sparargli addosso. C’è un fuggi fuggi generale per non essere colpiti. La strada pare svuotarsi. Il fumo dei piccoli incendi appiccati crea una nube nera che fa da sfondo allo scenario di queste prove tecniche di Intifada. Il presidio israeliano ogni tanto esplode dei colpi, verso i palestinesi: pochi e sparuti in lontananza.
Come una sorta di azione di disturbo, sulla strada parallela, si spostano i movimenti dei palestinesi. I soldati si muovono dietro un altro cingolato che protegge la loro avanzata. Nel primo avamposto i cordoni si sono sciolti, mentre i militari rimangono coperti sul secondo: continuano a sparare verso la folla che è abbastanza lontana, la quale, malgrado questo, non finisce di lanciare pietre. Ogni tanto i militari si fanno vedere come gesto di sfida: forse un modo per attirare la rabbia della gente.
Ad ogni lancio uno sparo
I giovani palestinesi, per confondere gli uomini armati di tutto punto, ritornano sul primo posizionamento, mentre in lontananza si sente una sirena: è l’una e un quarto. Un giovane si avvicina sventolando una bandiera palestinese e per tutta risposta, verso di lui, si avvia un camioncino con un getto d’acqua, che però non viene azionato se non come prova o minaccia. Poi un altro cingolato, questa volta della polizia, in appoggio, inizia a sparare anch’esso ripetuti colpi, quale forma di ammonimento a quel giovane che sventola la bandiera. Dietro ad un muro adiacente si nascondono una ventina di militari pronti ad intervenire.
Il cingolato della polizia arretra. Il fumo si dirada. Anche i palestinesi indietreggiano di due o trecento metri. Poi un ragazzo, in primo piano, si mette da solo a lanciare sassi e qualcun altro lo segue. Ad ogni lancio uno sparo, che non colpisce nessuno. in seguito il giovane si avvicina nuovamente e allarga le braccia in segno di sfida: sono qui, venite a prendermi… E lancia una pietra. Altri suoi coetanei lo imitano. Prendono una specie di pensilina, presumibilmente da usare come scudo, ma risulta troppo velleitaria come azione. Pochi spari si susseguono.
Annientati i simboli della pace
Un cameramen inquadra un murales che campeggia sopra l’avamposto israeliano: è l’immagine ironica di Trump, raffigurata su un muro da Banksy, il più famoso graffitaro del mondo, che proprio a Betlemme ha disegnato nei muri della città come segno di pace…