SAGGIO BREVE – Le relazioni est-ovest sullo sfondo della guerra in Ucraina

il

Come la Real Politik ha agito sugli equilibri internazionali

Riemergono dai fondali della storia le teorie e i paradigmi del realismo nelle relazioni internazionale tra gli Stati, per spiegare gli avvenimenti che hanno preso corpo in queste ultime settimane.

di Fabio Calì

Sulla Politica Estera: l’attore razionale

Decenni di cooperativismo multilaterale nelle relazioni internazionali, hanno visto le potenze mondiali cooperare al fine di risolvere crisi che si facevano via via più impegnative per l’ordine mondiale;  la crisi balcanica, la lotta mondiale al terrore jihadista, l’intervento in medio oriente  in Iraq e Siria, i conflitti tribali sulla sponda sud del Mediterraneo, in Libia. Gli attori più significativi della scena mondiale, hanno abbandonato i principi di cooperazione intra-nazionale, per ritornare a quelli di una politica internazionale, basata sui rapporti di potenza, sulla minaccia dell’uso della forza, sull’aggressività diplomatica ed economica.

Il tentativo di spiegare gli eventi internazionali enumerando gli scopi e i calcoli degli Stati e dei Governi è il presupposto e la base del Modello dell’Attore Razionale.

Utilizzeremo i modelli teorici “realisti” per comprendere e per – quanto possibile – prevedere i comportamenti degli attori principali nella crisi Ucraina; il valore predittivo dell’analisi serve a far luce su quali elementi politici, ma anche psicologici, determinano le scelte della leadership di Mosca, come “attore razionale”. Tali modelli comportamentali, tipici delle scienze sociali, sono utilizzabili anche nelle relazioni tra individui, ma andiamo oltre.

Due sono i modi con cui può essere interpretata la politica estera: il primo, l’azione di un soggetto (Stato, Organismo Internazionale Governativo) basata su di un calcolo dei mezzi rispetto agli obiettivi perseguiti – o da perseguire – nell’arena mondiale; il secondo, come il risultato di un processo di contrattazione tra una pluralità di decision maker, dotati questi, di differenti capacità di influire sul processo decisionale e con diverse concezioni degli interessi statali nel mondo e dei mezzi più adatti per conseguirli (Allison 1971).

 Buona parte delle spiegazioni di politica estera presuppongono l’idea di un attore “razionale” dotato di un’informazione perfetta, che agisce scegliendo i mezzi più adatti per il raggiungimento dei suoi fini. Se vogliamo teorizzare un paradigma che ne determini gli elementi, ne riscontriamo quattro:

a) Attore nazionale unitario: lo Stato è concepito come una singola persona, un decisore unitario;

b) Il problema: ciò che stimola l’intervento dello Stato è lo scoppio di una crisi internazionale, una minaccia esterna, un’opportunità imprevista;

c) Scelta Statica: l’attività dell’attore nazionale è una scelta fra linee di condotta alternative e non la sommatoria di mosse differenti e limitate nel tempo;

d) L’azione come scelta razionale: le azioni di uno Stato sono da considerarsi come il risultato di un processo lineare (Stato>obiettivo>opzioni>valutazione delle conseguenze derivanti dalla scelta delle opzioni>scelta finale).

L’utilizzo di questo modello statocentrico è di carattere induttivo. Per dirla con Allison, si parte dalla constatazione dell’azione intrapresa da uno stato, in seguito si cerca di individuare lo scopo, alla luce del quale quella azione diviene comprensibile, assumendone una connotazione razionale.

Due sono gli esempi nella storia della diplomazia del modello di attore razionale; il primo, è stato l’attacco giapponese a Pearl Harbour. Lo storico J. Baptiste Doruselle, sostiene che il presidente Roosevelt fosse a conoscenza dell’imminente attacco, ma decise di non far nulla nella speranza (basata su un calcolo razionale) che l’azione giapponese scuotesse l’opinione pubblica americana, spingendola fuori dal suo isolazionismo, verso l’accettazione della guerra già in corso in Europa. Il secondo esempio, invece, si ritrova nel lancio della bomba atomica: anche in questo caso si riscontra l’elemento razionale (?) dell’azione degli Stati (razionalità che in questo caso si riduce a riconoscere che un’azione serve a qualche scopo).

Lo studioso americano Gaz Alperowitz nella sua pubblicazione Atomic Diplomacy: Hiroshima and Potsdam (1966) sottolinea che il lancio dell’atomica su Hiroshima e Nagasaki non serviva tanto ad accelerare la fine della guerra, ormai segnata per Tokyo, bensì serviva ad assicurare una carta vincente al presidente Truman nel negoziato con i sovietici a Potsdam, mostrando la terribile arma cui erano venuti in possesso gli Stati Uniti.

L’attore razionale nella Teoria strategica: Mutual Assured Destruction (MAD)

Il regime di dissuasione nucleare reciproca che ha retto il sistema bipolare USA/URSS dagli anni 50 sino alla fine degli anni 70 (MAD) presuppone un’immagine degli attori altamente razionale. E’ soltanto la razionalità che impedisce a due Stati nucleari con capacità di “secondo colpo” a non attaccarsi a vicenda.

Il regime di MAD per operare presuppone quattro condizioni. La prima è che i due attori – che per semplicità chiameremo A e B – coinvolti in un rapporto di deterrenza e dissuasione siano entrambi razionali, altrimenti verrebbe meno qualsiasi motivo deterrente: non si può convincere un leader impazzito della irragionevolezza di un attacco nucleare suicida. La seconda condizione è che A sia a conoscenza della razionalità di B; se entrambi sono razionali ma A crede che B non lo sia, il fattore dissuasione viene meno. A credendo che B sia pazzo, può convincersi di attaccare per primo, visto che non si fida della  “ragionevolezza” di B. La terza condizione è che A sappia che B è a conoscenza che A è un attore razionale; se A avesse la consapevolezza che B lo ritiene irrazionale, potrebbe pensare di attaccare per primo, perché B considerandolo irragionevole decide di attaccare per primo. Infine, la quarta ed ultima condizione, A sa che B sa che A sa che B è razionale.

Affinché un regime di dissuasione bilaterale fondato sul MAD funzioni, è necessario che gli attori coinvolti siano razionali, che abbiano una perfetta conoscenza delle rispettive intenzioni, che siano convinti d’essere considerati razionali dalla controparte e che infine, sappiano che la controparte è a conoscenza dell’opinione che si ha di lui (razionale o irrazionale). I quesiti che ci poniamo, considerando lo Stato Russo come una singola persona: è in possesso di una forte razionalità Vladimi Putin? Sono presenti nelle sue azioni quegli elementi che fanno propendere verso scelte ponderate e razionali? Quale visione della attore razionale russo, ha la sua controparte a Washington? Lo considera razionale, o meno? Il sistema MAD è ancora in grado di proteggere la civiltà?

La concezione dell’attore razionale è attenuata da alcune riflessioni che rendono più complessa l’immagine del comportamento degli Stati. E’ necessario distinguere tra decisioni in situazione di certezza, nella quale l’attore ha una perfetta conoscenza delle conseguenze derivanti dall’adozione di determinate scelte; decisioni in situazione di rischio, che sono quelle in cui non si conoscono le conseguenze di ogni scelta; decisioni in situazione di incertezza, sono quelle in cui l’attore non conosce neanche le probabilità associate al verificarsi di una certa conseguenza, può solo azzardare.

Decliniamo questo sistema decisionale sul campo: quando Putin e il suo stato maggiore hanno pianificato l’invasione Ucraina saranno stati certi che l’attore razionale Occidente non avrebbe risposto militarmente a questa azione bellica. Il rischio di occupare l’intera Ucraina (e non il solo Donbas e la penisola di Crimea) consiste nella concreta possibilità che le truppe di Mosca trovandosi a diretto contatto con paesi NATO, possano innescare provocazioni e incidenti che potrebbero portare poi ad una escalation tra est e ovest. L’incertezza decisionale di Mosca, può ravvedersi nella volontà di andare oltre Kiev e proseguire le sue attività belliche su altri stati indipendenti (es Moldavia) o su stati membri della NATO (paesi Baltici). Putin e suoi collaboratori non possono essere sicuri della reazione occidentale (Stati Uniti in primis). Dovranno gioco forza prendere in considerazione la possibilità che quest’azione provochi una risposta militare da parte della NATO.

Se, invece, andiamo sul campo dell’altro attore razionale, l’Occidente, si è certi che supportare l’esercito ucraino con armamenti ed equipaggiamenti, la popolazione civile con aiuti umanitari, non creerà una risposta russa; il rischio invece, di creare una no fly zone sul territorio ucraino, potrebbe portare ad una escalation militare da parte di Mosca dagli esiti imprevedibili, qualora dove essere abbattuto un Mig come rappresaglia alla violazione della no fly zone. L’incertezza occidentale, infine, consiste nella preoccupazione dell’uso del nucleare da parte del Cremlino, qualora si pensasse di inviare truppe regolari sul territorio ucraino.

Il paradigma della bureaucratic politics nella Russia di Putin

Tale paradigma considera l’azione degli stati non come mero calcolo razionale tra diverse opzioni, ma come esito politico; esito nel senso che ciò che accade non è scelto come soluzione ad un problema ma piuttosto deriva dal compromesso di funzionari governativi con diversi interessi e diversa influenza; politico nel senso che l’azione emersa dalla decisione è caratterizzata come contrattazione tra i singoli membri di un Governo. L’insieme di tutti i policy makers costituisce la cosiddetta Foreign Policy Community (Allison), che è composta da due tipi di attori: i decision makers e gli executive makers. I primi svolgono un ruolo decisivo nel processo di formazione di una decisione, i secondi invece, i burocrati, svolgono un ruolo nel processo di attuazione delle scelte internazionali fatte dai vertici dell’esecutivo.

Un esempio calzante, di quanto gli esecutori possano incidere sulla formazione e sull’implementazione delle decisioni, sono i servizi segreti: negli studi strategici, i membri dei servizi segreti possono essere divisi nei seguenti gruppi: un gruppo ritiene che compito dell’agenzia sia solo quella di raccogliere informazioni inerenti la sicurezza nazionale; un gruppo, invece, ritiene che le agenzie di intelligence debbano intervenire attivamente negli eventi esterni al fine di modellarli secondo gli interessi del proprio governo; ultimo gruppo, infine, ritiene che compito dell’intelligence sia solo quello di analizzare le informazioni ricevute da altre organizzazioni statali.

Come spiegare, allora, il comportamento dell’FSB (ex KGB) nello scenario ucraino atto a tutelare il Presidente Zelevesky dai tentativi omicidi (ben tre riportano le cronache di oggi) messi in campo da mercenari russi del Gruppo Wagner o da i fondamentalisti ceceni di Ramzan Kadyrov. E’ probabile che le differenti anime dell’organizzazione non abbiano gli stessi obiettivi e al momento, stanno rallentando “burocraticamente”, la decisione politica.

I fattori che influenzano la posizione di un giocatore nel processo decisionale sono quattro: concezione del problema della sicurezza nazionale; i membri che compongono un governo, normalmente, hanno differenti approcci e differenti soluzioni verso le minacce provenienti dall’esterno; si tendono ad uniformare i differenti approcci e soluzioni creando un codice interpretativo dei problemi che restringe il campo di variazione delle politiche. L’espansione della NATO è vista come una minaccia agli interessi della Russia; si deve scoraggiare l’ingresso di nuovi Stati dell’Europa centro orientale nella NATO; il Cremlino deve intervenire nel processo d’integrazione ed allargamento dell’Unione Europea; la forza militare è il principale strumento per garantire la sicurezza di Mosca.

IL secondo fattore è l’interesse organizzativo; i singoli giocatori tendono a identificarsi con la propria organizzazione di appartenenza (sia essa un ministero o un’agenzia governativa) e con i suoi obiettivi. Di fronte alla decisione di aggredire e invadere l’Ucraina, Sergej Lavrov (Ministro degli Esteri russo) probabilmente si sarà “preoccupato “ dei suoi effetti sui rapporti con gli altri Stati e di un accresciuto peso del Ministro della Difesa sugli affari del suo ministero; i generali e gli ammiragli dello Stato maggiore russo si sono interessati principalmente all’aumento degli stanziamenti della difesa. Il Ministro dell’Economia verosimilmente si preoccupa dei costi economici dell’invasione e del fatto che non potrà finanziare altri progetti in agenda.

Il terzo fattore sono gli interessi legati alla politica interna; la posizione assunta da Putin nel decidere l’invasione rispetto ai suoi interlocutori interni (Oligarchi, Stato Maggiore, Alte gerarchie ortodosse, gruppi di potere e di estremisti politici, opinione pubblica “amica”). Egli non vuole apparire come il leader che ha permesso un completo accerchiamento della Russia (dato l’espansionismo NATO) e di un eccessiva morbidezza verso l’occidente. Ciò può mettere in pericolo la sua leadership favorendo l’emergere di una Russia meno imperiale e più democratica.

Il quarto ed ultimo fattore, è dato dagli interessi personali: l’autocrazia “putiniana”, la sua tendenza a scavalcare i normali canali burocratici e per una diplomazia condotta con una certa aggressività e segretezza, la scarsa considerazione per i problemi economici e l’ammirazione di certi Sovrani del passato, l’importanza attribuita al ruolo della forza nelle relazioni internazionali, la preferenza per la creazione di un nuovo ordine mondiale piuttosto che per la pace e la stabilità, sono elementi che pesano notevolmente sulla politica estera del XXI secolo del Cremlino.

L’influenza dei quattro fattori appena descritti, sul comportamento dei decision makers fa sì che quando emerge una questione, la stessa sarà vista in modo diversificato dai diversi giocatori. Se I giocatori, poi, si muoveranno all’interno di schemi predefiniti o se al contrario cercheranno di “far saltare il banco”, sarà oggetto di analisi nella seconda parte del presente lavoro, nel quale utilizzeremo la teoria dei giochi per comprendere la formazione consapevole di decisioni, in situazioni di potenziale conflitto.

Fonti

Grahm T. Allison – The Essence of Decision 1971

J. Baptiste Doruselle  – Storia Diplomatica dal 1919 ai nostri giorni 1998

Gaz Alperowitz –  Atomic Diplomacy: Hiroshima and Potsdam 1966

Martin Shubik – Game Theory in the Social Sciences, 1971).

Robert Axerold – The Evolution of the cooperation, 1984.

Credit: AFP

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.