Abbiamo cercato di risalire alle cause della malformazione del sistema mediatico, nella società italiana, rileggendo gli eventi che a questa malformazione hanno dato vita, nell’immediato dopoguerra, con la nascita della Repubblica Italiana. Così, abbiamo studiato i quotidiani dell’epoca e pezzi della pubblicistica dedicata, poiché è sostanziale comprendere oggi il motivo per cui l’opinione pubblica sia soggetta all’erogazione dei falsi storici, da parte della stampa, in linea con il punto di vista dei governi. Il ponte che unisce il passato prossimo al presente ci racconta del processo che ha snaturato e che snatura il concetto stesso di senso. L’era delle fake news, che circolano nel web, in realtà, è l’era della Post-verità, dove il falso storico parte dal legame tra i sistemi politici e i media, e non dalle bufale che girano in rete, che sono semplicemente il prodotto della nostra epoca… Per questo è necessario ricostruire il senso della storia di un paese o di un evento, partendo dall’urgenza di ridare alle fonti giornalistiche il ruolo cardine di ogni conoscenza, del presente come del passato prossimo.
di Marco Marano
L’abitudine culturale alla manipolazione
Sappiamo che le autorità istituzionali, particolarmente quelle italiane, come di altri paesi, sono culturalmente abituate alla mistificazione della realtà. Oliver Stone, in seguito alla ricostruzione giornalistica fatta nel documentario JFK Revisited: Through the Looking Glass,
ha dichiarato che quello del Watergate fu un caso a sé, poiché la tendenza dei media americani ad assoggettarsi al potere politico è stata dimostrata dai silenzi sull’assassinio di Kennedy.
Detto questo, non sarà che la genesi dei social media, dalle primavere al Campidoglio, si risolve con un processo di mimesi, attraverso cui il singolo cittadino imita il politico nella costruzione di realtà parallele?
Un caso emblematico
In Italia v’è stato un caso emblematico che ha riguardato il ministro leghista dell’interno Matteo Salvini, con quella che fu chiamata “la bestia“, un organismo non ministeriale ma personale, funzionale a mettere in atto un’aggressiva strategia sui social media. Questa aveva proprio lo scopo del ribaltamento di senso dei fatti, privatizzando la figura istituzionale, nel solco dell’opera di Donald Trump.
Certo, rispetto al passato alcune differenze ci sarebbero pure, in merito all’atteggiamento culturale del ceto politico, nei confronti delle istituzioni. Una volta, ad esempio, la formalità delle prassi istituzionali era un paradigma, quand’anche, come abbiamo visto, il dettato costituzionale veniva tradito. Oggi, lo scardinamento delle regole costituzionali viene sbandierato apertamente e in modo costante nel discorso pubblico. Gli esempi sono tantissimi…
In realtà avviò questa pratica Silvio Berlusconi, dalla sua discesa in campo del ’94. Il mantra da lui propugnato negli anni novanta riguardava l’illeggittimità di un presidente del consiglio non eletto dal popolo. Certo, erano gli anni del dibattito sul maggioritario, ma falsificare una regola costituzionale così basica, che vuole il capo del governo eletto dal parlamento e non dal popolo, con una insistenza tale che ancora oggi qualcuno la esce fuori, è un chiaro segnale di Post-verità.
Vent’anni dopo, negli anni dieci, con l’avvento del sovranismo, un’altra mirabolante falsificazione costituzionale è diventata il mantra di alcuni leader dell’estrema destra, che è stato racchiuso in uno slogan: “prima gli italiani.“ Peccato per loro che nei principi fondamentali della carta costituzionale, ci sia scritto tutto il contrario…
Una frattura di senso rispetto alla storia
Tornando a Berlusconi, a ben guardare la sua opera, l’aspetto su cui non si è abbastanza ragionato riguarda l‘elemento fondamentale di tutto il suo discorso pubblico: l’anticomunismo. Berlusconi infatti riportò agli onori della cronaca il comunismo come male assoluto, a pochi anni dalla caduta del muro. Perché? E perché utilizzarlo anche ai giorni nostri?
La questione è molto sottile e la risposta è nella storia. Al di là dei suoi intenti propagandistici, contro un nemico che non esiste più, almeno a livello parlamentare, Berlusconi si colloca storicamente con quella parte della Democrazia cristiana demagnetizzatrice e maccartista, ed il suo background politico lo fa coincidere, volontariamente o meno, con quell’esperienza.
Ma sposando la causa della demagnetizzazione in salsa anni cinquanta, egli produce una frattura di senso rispetto alla storia del paese. Se si compara, infatti, il discorso pubblico di Scelba con quello di Berlusconi, sull’anticomunismo, i toni non cambiano. Una frattura difficile da ricomporre perché oggi quella storia è passata e nessuno la ricorda più. E’ una storia caduta nell’oblio poiché il popolo italiano ha perso la sua memoria. Il motivo è semplicemente legato al fenomeno del mal funzionamento del sistema scolastico e dei più complessivi processi educativi familiari. Fatto sta che il fenomeno dell’analfabetismo funzionale è il più alto tra tutti i paesi avanzati.
Una simulazione retorica
Facciamo una simulazione retorica. Immaginiamo per un attimo la prima volta che Berlusconi fece pubblicamente il discorso sull’anti-comunismo. Immaginiamo la reazione di una persona mediamente scolarizzata, cosciente della storia prossima del proprio paese, perché l’ha approfondita o semplicemente perché è riuscita a studiarla con attenzione.
La prima domanda che ci si è potuti porre è semplice: come fa il comunismo italiano ad essere il male assoluto se i comunisti hanno scritto, insieme ai cattolici, la Costituzione della Repubblica? Qualcosa non torna… Considerato poi che su quella Costituzione, scritta anche dai comunisti, Berlusconi ci ha pure giurato…
Come richiedeva la strategia seguita dai demagnetizzatori alla Scelba, la necessità è quella di aggirarla la Costituzione, se è quindi possibile far passare il no-sense storico dell’anticomunismo è possibile far passare qualsiasi cosa, anche che un presidente del consiglio non eletto dal popolo non sia legittimato a governare, o che in Italia prima vengono gli italiani…