Morire per essere un giorno liberi
di Marco Marano
Se nel precedente capitolo ci siamo persi nel labirinto dei segni, alla ricerca d’una via d’uscita per la comprensione dei fatti, in questo girovagare dentro la resistenza kurda, nel contesto della guerra siriana, c’imbattiamo nella caparbietà di questo popolo, che combatte sul campo l’Isis, che viene attaccato dalla Turchia, ma che malgrado tutto va avanti nella costruzione del modello comunitario di democrazia dal basso. Un percorso che parte da Kobane…
La presa di Kobane, dalle mani dell’Isis, da parte del popolo kurdo, coincide con il rilancio del modello Rojava di democrazia dal basso. Ma coincide anche con l’epopea contemporanea del popolo kurdo, poiché il contro-assedio che tolse il cantone della Siria del Nord ai jihadisti, fu qualcosa di straordinario, che può essere avvicinato alla resistenza italiana o spagnola o ancora francese. Infatti è con il canto Bella ciao che le donne delle Ypj (Unità di difesa delle donne), accompagnarono la loro impresa, rimasta comunque nella storia delle resistenze popolari.
La storia mediorientale di un popolo a cui è stato tolto il proprio Stato e che combatte per la salvaguardia della propria identità, trova un momento di sintesi storica. In controluce viene stigmatizzato in Europa lo stragismo jihadista, in quanto guerra dei musulmani contro l’occidente. Ma l’Isis viene vinta sul campo proprio da un popolo a maggioranza sunnita. Un popolo boicottato nei negoziati di Ginevra, che, per tutta risposta, si riunisce con le altre etnie per dare vita alla Federazione del Nord della Siria.
Intanto nella Siria di Assad si svolgono le elezioni legislative pilotate dal dittatore, mentre il popolo kurdo viene attaccato nel timore che il modello comunitario prevalga sull’area. Ma come è stato sempre nella storia kurda, in mezzo alla tempesta, in Rojava si prepara il censimento demografico per indire le elezioni democratiche. La Turchia, con la scusa di combattere l’Isis, distrugge le postazioni militari kurde, che servono agli USA, alleato di entrambi, per conquistare Raqqa.
Da un’altra parte del Medio Oriente, nel Kurdistan iracheno, il referendum sull’indipendenza si è chiuso sotto la minaccia interna ed esterna.
Nella guerra trasversale e asimmetrica siriana, un gruppo di ribelli, legati all’esercito turco, anziché attaccare le postazioni kurde, hanno aderito all’alleanza politica e militare della confederazione democratica del Rojava. Distruzione, massacro dei civili, scontri fra eserciti costituiscono la cronaca ordinaria della disumanità. Ma in Rojava inizia una storia di universale di straordinaria normalità: ritornare a scuola per studiare le lingue delle diverse nazionalità presenti sul territorio.
Nel caos e in mezzo alla violenza della guerra civile si preparano anche le elezioni dei Comuni nella nuova Federazione del Nord della Siria, principali luoghi decisionali di democrazia dal basso. Nei tre cantoni della Federazione Democratica della Sira settentrionale, occorre eleggere i Co-Presidenti comunali, secondo quanto dichiarato dall’Assemblea Costituente della stessa federazione.
Kombatt Kurdish
Nel settembre del 2015, dopo la presa di Kobane, l’orgoglio del popolo kurdo s’impone agli onori della cronaca, aggiungendo alla sua storia un tassello emblematico. Ma è una storia tutta da capire quella del popolo Kurdo, perché in Europa questa storia non ha mai destato particolare interesse, se non quando alla fine degli anni novanta il capo del partito kurdo PKK Abdullah Öcalan attraversava mezzo mondo per sfuggire ad un mandato di cattura emesso dalla Turchia.
Il popolo più antico della Mesopotamia
E’ la storia mediorentale di un popolo senza Stato, che ha un nome, il Kurdistan appunto, una lingua, che poi è l’insieme di tanti dialetti di origine mesopotamica, e che paradossalmente avrebbe anche un territorio. Il problema è che abbraccia quattro nazioni mediorientali: Iran, Iraq, Siria, Turchia e anche l’Armenia, con l’aggiunta di piccole comunità che sono sparse in molte parti del Medio Oriente. Una regione di 550 mila metri quadrati, il cui popolo è uno dei più antichi della Mesopotamia, ad oggi numericamente il quarto di tutto il medioriente, dopo Arabi, persiani e turchi. Una stima, che sembra mettere d’accordo in molti, li conteggia fra i trenta e i quaranta milioni di persone.
Alle origini col profeta Zarathustra
Ma anche dal punto di vista religioso quella kurda è una storia incredibile. Essendo uno dei popoli più antichi, la sua origine religiosa risale al VI secolo avanti cristo con lo Zoroastrismo, promossa dal profeta Zarathustra, forse la più antica delle religioni monoteiste e forse quella che ha contaminato le altre a venire. Infatti, nei secoli si sono sviluppate nel popolo curdo, rispetto ai diversi insediamenti, ceppi ebraici, ceppi cristiani e ceppi islamici, in minima parte sciiti, con la denominazione di Alevi, ma in massima parte sunniti, che rappresenta oggi il ceppo maggiore. Per le sue caratteristiche storiche il popolo kurdo per definizione rigetta qualsivoglia rigurgito di estremismo religioso, essendo appunto la sua storia crogiolo di religioni. E questo è un’aspetto da non sottovalutare se si vuole comprendere la rappresentazione del popolo curdo oggi…
Una repressione avviata all’indomani della grande guerra
La repressione dei cittadini kurdi iniziava dopo la prima guerra mondiale. Se prima la Turchia si era servita dei curdi per combattere la Grecia, nel 1924, furono emesse le prime leggi che annientavano la loro identità, impedendo l’insegnamento della lingua, la possibilità di promuovee le proprie tradizioni. Poi nel 1930 un’altra legge avviava la stagione delle deportazioni degli intellettuali. In seguito veniva proclamato lo smantellamento territoriale del Kurdistan, e dalla Turchia in poi l’annientamento dei curdi diventava un fattore nazionale identitario per quei paesi che si impossessavano dei territori in questione. Da quel momento il popolo iniziò a combattere per avere quello che gli era stato tolto…
Lo stigma sul “popolo terrorista”
Da allora la Turchia ha tacciato i kurdi di essere un popolo di terroristi poichè le azioni di resistenza e di rivendicazione più o meno violenta non potevano essere ascritte alla lotta per la propria patria… In tal senso la vicenda della carcerazione del leader del PKK è significativa. Poi nel 2013 la Comunità internazionale riuscì ad avviare una sorta di cessate il fuoco, per la ricerca di un dialogo tra le due parti… Ma solitamente questo non avviene, non può avvenire con dei terroristi…
Kobane punto di svolta
Nell’estate del 2015 succede però un fatto strano… Al confine con la Turchia, l’unica resistenza armata all’Isis, con l’assedio di Kobane, viene condotta proprio dal popolo kurdo, dove soprattutto le donne combattono e respingono i tagliagole dello Stato islamico. Kobane infatti viene contesa prima dagli uni e poi dagli altri. In un momento di grande difficoltà della resistenza kurda, pezzi del suo popolo in Turchia, decidono di andare ad aiutare gli assediati kurdi contro l’Isis, che, ricordiamo, in questo momento per l’occidente è il male assoluto.
Il popolo combattente kurdo si appresta a varcare il confine per sostenere i propri fratelli in difficoltà. E la Turchia cosa fa? Glielo impedisce! Impedisce ai cittadini kurdi, pronti a combattere contro l’Isis, di andare in soccorso dei propri concittadini che stanno morendo… Mentre gli Stati Uniti si affrettano a differenziare la questione kurda dal vero terrorismo dell’Isis, i giovani a cui gli viene impedito di combattere contro i tagliagole, scendono per le strade e mettono a ferro e fuoco le città turche. Ancora una volta l’autocrate Erdogan li apostrofa come terroristi…
Ultima immagine
Putin va in soccorso del dittatore siriano sciita Assad, poi inaugura la moschea più grande d’Europa a Mosca insieme ad Erdogan sunnita, presidente della Turchia, il quale qualche mese prima impedisce ai sunniti curdi, per lui terroristi, di salvare Kobane dall’Isis, il male assoluto dell’occidente…
La guerra di resistenza democratica all’Isis
Nel novembre del 2015 a Kobane si continua a combattere, i confini tra la Turchia e la Siria diventano l’anello debole della situazione geo-militare. Se la Turchia, alleato dell’occidente, continua a favorire gli stragisti dello Stato islamico sui varchi di confine con la Siria, allo stesso tempo guerreggia in casa contro l’unica vera resistenza ai jiadisti.
I campi di battaglia
All’apertura dei varchi si è dichiaratamente opposto Putin, non per appoggiare la resistenza kurda, ma per intrappolare le milizie jihadiste, considerato che le sue bombe colpiscono indifferentemente chi si schiera contro Assad, ma anche anche i kurdi. Per tutta risposta proprio oggi Erdogan, il sultano, ha fatto fuori un aereo da combattimento russo…
L’area in cui si continua a combattere è quella di Kobane, nel cosiddetto Kurdistan occidentale o siriano, ribattezzato Rojava. I dispacci di guerra dell’Ufficio stampa dell’YPG parlano di quattro assalti in rispettivi villaggi, che fanno riferimento alla cittadina di Ayn Isa, tutto nell’arco di una trentina di ore. Il primo villaggio sotto tiro, con armi pesanti, dei jihadisti è stato Ayn Mixêra, durato un paio d’ore, tra le 14 e le 16 del 21 novembre, per poi ripetersi intorno alle 10 del giorno seguente.
Nel frattempo un altro gruppo dello Stato islamico prendeva di mira il villaggio di Al-Hayshê a est della città di Ayn Isa. Qui l’attacco è durato a lungo, dalle 11 a mezzanotte e mezza. Nella prima mattina del 22, tra le 8 e le 10, veniva invece colpito il villaggio di Shikeyf, della città Sirin, mentre nel tardo pomeriggio, a sud ovest di Kobane, il villaggio di Qereqozax, veniva assaltato con armi pesanti e fuoco di artiglieria.
L’offensiva della resistenza
La risposta a questi attacchi concentrici, da parte della resistenza kurda, si è fatta attendere alcune ore. Il comunicato di guerra sottolinea che due delle organizzazioni della resistenza, YPG e YPJ (Unità di difesa delle donne) si sono coordinate conducendo un’offensiva da ovest della città di Ayn Isa, iniziata alle 16 del 22 novembre. Ayn Mixêra è stata raggiunte dalle forze kurde intorno alle 20,30, e a sera inoltrata, la controffensiva si sviluppava tra il monte Kezwan e la città al centro degli attacchi.
Il resoconto dell’YPG parla di 20 jihadisti uccisi, due veicoli militari distrutti. A ciò si aggiunga una tonnellata di esplosivo sequestrata, come anche un Kalashnikov e vari binocoli termici. L’agenzia ANF News, in un notiziario di ieri ha comunicato, infine, che i combattenti delle Forze democratiche Siriane (SDF) hanno liberato, nella parte ovest del Rojava, il villaggio di Melebiye, 10 km a sud della città di Hesekê, un’importante arteria strategica, dove vi è una fabbrica di cotone, la cui immagine simboleggia il risultato militare.
I massacri nei villaggi della Turchia del sud
La guerra vera dunque non si combatte in Europa ma in Medio Oriente, e sono proprio i musulmani a difendere quei I valori di libertà e democrazia incarnati nelle istanze delle donne e degli uomini kurdi sono violentemente represse sulla striscia di terra che confina con il Rojava, nella parte turca. Lì attualmente vige il coprifuoco voluto dal sultano Erdogan, precisamente nella città di Nusaybin. Polizia e soldati, ormai da giorni, uccidono civili, tra cui una donna incinta, e un giovane diciottenne: in tutto 7 morti e 15 feriti.
I rappresentanti del partito HDP (Partito Democratico Popolare) Gülser Y?ld?r?m e Ali Atalan sono entrati in sciopero della fame per indurre le autorità turche a rimuovere il coprifuoco e interrompere gli attacchi contro la popolazione civile. Inoltre le truppe turche hanno attaccato e demolito un cimitero dove sono seppelliti uomini della resistenza kurda, in un villaggio nel distretto di Lice, in segno di disprezzo nei confronti della causa curda. Nella sera di domenica, Selahattin Demirtas, co-presidente del HDP, mentre viaggiava nella sua auto ufficiale, è stato vittima di un attentato intimidatorio. Qualcuno ha infatti sparato sul lunotto posteriore, considerato che la macchina è antiproiettile.
Erdogan alleato dell’Isis per la presa di Kobane
Ferhad Derik, è invece un membro dell’esecutivo del “Movimento per una Società Democratica” (TEV-DEM) del Rojava. Sempre domenica ha rilasciato una intervista all’agenzia di stampa ANHA, nella quale dichiarava di essere in possesso dei documenti che comprovano le responsabilità del governo di Ankara, nell’aver appoggiato l’Isis contro la resistenza kurda.
Questa accusa era maturata quest’estate, da quando cioè Erdogan impediva alle forze curde di andare in soccorso delle donne di Kobane che combattevano contro lo Stato islamico. Derik ha detto che questi documenti rivelano come la Turchia abbia aperto tutti i valichi di frontiera ai membri dello Stato islamico, fornendo armi, munizioni e supporto logistico. Una verità che tutto il mondo occidentale conosce, ma su cui a nessuno è convenuto soffermarsi, tranne che alla Russia, poiché, per un suo calcolo, lavora affinché il regime di Assad rimanga in vita…
La storia dei valichi aperti spiega il perché degli atteggiamenti ambigui sulla gestione delle frontiere con la Siria, a partire dai foreign fighters per finire al caso misterioso della giornalista, che indagava sull’Isis, trovata morta all’aereoporto di Istanbul, che fino alla fine le autorità turche hanno cercato di insabbiare miseramente.
La democrazia comunitaria
Già il 18 marzo 2016 proseguivano a Ginevra i negoziati di pace tra la variegata costellazione di organizzazioni che combattono sul territorio e le autorità siriane, con la presenza ombra della Turchia e della Russia. Gli unici a non essere stati invitati, cioè le forze di resistenza kurde, quelle che maggiormente hanno inflitto danni militari all’Isis, si sono riuniti nel nord est del paese per creare una regione autonoma: la “Federazione del nord della Siria”.
La Convenzione per una Federazione del Nord della Siria
Il Partito dell’Unione Democratica (PYD), la principale formazione kurdo-siriana ha riunito, nella città di Rmêlan, 150 rappresentanti delle organizzazioni presenti in una vasta area che parte dalla striscia di 400 chilometri al confine tra la Siria e la Turchia: dal Rojava, alla regione di Shehba, fino all’area di Aleppo. Le “etnie” presenti sono tra le più varie: arabi, kurdi, armeni, turcomanni, ceceni, siriani. Una vera è propria Convenzione quella che è ancora riunita nella seconda sessione di lavori, attraverso la quale è stata fondata una regione autonoma, che non vuole l’indipendenza dalla Siria, anzi vuole restare ancorata ad essa, però nelle forme tipiche che il laboratorio politico-amministrativo del Rojava ha lanciato durante l’ultimo anno.
Il sistema dal basso è quello dei cantoni e tre sono stati individuati nell’area dove sono presenti le svariate “etnie” che partecipano alla convenzione: Afrin, Kobane et Jaziré . Molti di questi territori sono proprio il frutto dell’azione militare dei kurdi contro l’Isis, ottenuto da Ypg/Ypj (Unità di protezione popolare/delle donne), ma anche dalle Forze Democratiche Siriane.
L’autogoverno delle comunità
Ma il dato più significativo è quello relativo al modello istituzionale che è stato elaborato, cioè una sorta di democrazia comunitaria, dove al centro del sistema c’è l’autogoverno delle comunità. Tutto questo ovviamente si pone contro le ipotesi del tavolo di negoziato a Ginevra, che vuole imporre un sistema a separazione etnica o religiosa, che ovviamente manterrebbe nel futuro inalterati i settarismi e quindi i conflitti interni.
Neanche a dirlo, naturalmente, nessuno dei paesi presenti al tavolo ha gradito questa iniziativa: dagli Stati Uniti, alleati delle forze di resistenza kurde contro l’Isis, alla Turchia, alleata degli Stati Uniti ma che considera i kurdi dei terroristi, viste le simili istanze di autonomia manifestate nella zona kurda del sud turco… Vogliamo solo ricordare un esempio di quello che significa democrazia comunitaria kurda, segnalando ciò che è successo in ottobre del 2015, quando l’Assemblea delle donne di Kobane, che ricordiamo sono le principali protagoniste della resistenza militare sul territorio contro l’Isis, ha elaborato delle disposizioni di legge per il Cantone.
Sono stati vietati i matrimoni precoci delle bambine, organizzati dalle famiglie, come anche la poligamia. Queste disposizioni sono state condivise sul territorio sia attraverso forme di educazione sociale che diffuse nelle assemblee di quartiere. L’intento è proprio quello di costruire una società democratica basata sulle leggi delle donne…
Un popolo sotto feroce attacco
Ieri, 14 aprile 2016, si sono aperti ieri i seggi in Siria per votare il nuovo parlamento. Sono circa 3500 i candidati approvati dal dittatore Assad. Dopo cinque anni di guerra civile asimmetrica, il governo in carica sottolinea l’importanza di queste elezioni guidate, per non lasciare un vuoto di potere che è nei fatti, almeno sui campi di battaglia.
Elezioni guidate e negoziati di facciata
Ma queste elezioni legislative coincidono con la seconda sessione dei cosiddetti negoziati di pace a Ginevra, dove a fine febbraio è stata proclamata una tregua, anche questa un pò farsesca. Dato che la Siria parteciperà ai negoziati all’indomani dei risultati elettorali e che i partecipanti dichiarano di considerare queste elezioni una buffonata, gli unici che direttamente hanno espresso il loro dissenso esplicito sul campo stanno dentro la “Federazione del nord della Siria”. Si tratta dei cantoni del Rojava: Kobanê, Afrin e Jazira…
La direzione generale dei tre cantoni ha infatti invitato a disertare le urne, poiché queste elezioni sono palesemente illegittime. Si ricordi che all’interno dei negoziati di pace non è stata invitata la delegazione kurda, che sul campo è quella che ha rappresentato la più estrema resistenza all’Isis.
Gli attacchi al quartiere kurdo di Aleppo
Forse è per questo che gli attacchi al quartiere Kurdo di Aleppo, non vengono considerati, da parte dei partner occidentali, una minaccia alla tregua, tra l’altro rispettata dall’esercito di liberazione kurdo. Così, il quartiere Al Sheikh Maqsoud è sotto aggressione indiscriminata di razzi e mortai, dalle varie forze militari in campo, presenti proprio al tavolo di negoziato a Ginevra. Ad essere colpiti sono, neanche a dirlo, i civili: donne, bambini, anziani. Decine di morti e centinaia di feriti.
Il modello Rojava che fa paura
C’è poco da dire, il modello di democrazia diretta del Rojava, a cui si ispira l’intera Federazione del nord della Siria, fa paura a dittatori e presidenti… Fa paura ad Obama, che formalmente non può fare altro che appoggiare l’esercito kurdo argine all’Isis, perché il suo è un modello anticapitalistico, fondato sull’eguaglianza di credo e sulla supremazia del mondo femminile, che costituisce la parte preponderante dell’esercito.
Quel mondo femminile che ha imposto leggi interne le quali vietano i matrimoni forzati, che ha obbligato alla scolarizzazione tutti coloro che non sapevano né leggere e né scrivere, che ha garantito un sistema sanitario generalizzato… Fa paura alla Siria, e alla Turchia, tra di loro nemici, poiché il popolo kurdo non chiede l’indipendenza ma l’autonomia regionale, attraverso cui potersi autorganizzare e garantirsi dalle ingiustizie preponderanti in tutto il Medi Oriente. Fa paura persino al Kurdistan iracheno, stato indipendente a tutti gli effetti, il cui presidente conservatore e anche corrotto Massoud Barzani ha saldamente stretto accordi commerciali con la Turchia, appunto…
Gli assedi al popolo in Turchia
Così, il popolo curdo sta subendo un altro assedio, quello sulla striscia sud-orientale della Turchia, messa a ferro e fuoco dal sultano Erdogan, nel silenzio dei paesi occidentali, che neanche commentano, poiché il PKK, cioè il partito kurdo che si batte per l’autonomia regionale, attraverso la resistenza armata, è sempre considerato una organizzazione terroristica. Il problema è che l’altro assedio in Turchia colpisce indistintamente i civili: donne, bambini, anziani. Il copione non cambia.
Le ultime significative notizie riguardano il distretto di Nusaybin. Qui l’AKP, cioè il partito di maggioranza, ha defenestrato il governatore, in disaccordo sui metodi repressivi contro la cittadinanza, per dare il pieno controllo del territorio all’esercito. La strategia è quella di abbattere 200 edifici attraverso i raid aerei.
Questa città ha una popolazione di 90000 persone, di cui 60000 sfollate e le restanti 30000 ancora dentro quegli edifici che devono essere demoliti. Ma non è tutto, perché per evitare che qualche altro governatore potesse avere delle crisi di coscienza è stato stabilito, da un decreto governativo, di rimuovere tutti i governatori e affidare le funzioni operative dei territori ai servizi di intelligence e all’esercito…
Verso le elezioni nel caos asimmetrico
In questo fine settembre del 2016, In Rojava è in via di definizione il progetto di censimento dei tre territori cantonali, al fine di poter svolgere al più presto le elezioni amministrative. Ormai dal 2012, da quando cioè è stata avviata la guerra di liberazione del nord della Siria contro l’Isis, dalle YPG, le unità di protezione del popolo kurdo, proprio in quest’area è stata stabilita una semi autonomia territoriale, che gradatamente si è strutturata in una particolare forma di confederazione democratica, con comitati territoriali assembleari.
La crescita della forma confederale
Il processo di liberazione della Siria del nord ha raggiunto risultati straordinari nel 2015 con la liberazione di Kobane, città simbolo, e Minbej nella provincia di Aleppo, di Tall Abyad nella provincia di Raqqa e di località della provincia di Hassaké. In realtà la crescita della forma confederale, andata di pari passo con le vittorie militari sul campo contro l’Isis, rappresenta un vero e proprio laboratorio di democrazia dal basso, l’unico nello scenario della guerra in Siria, dove organizzazioni militari e nazioni si combattono per interessi particolari. Un laboratorio di democrazia che vuole miscelare socialismo libertario, protagonismo delle donne, ecologia sociale, comunitarismo.
Un censimento per definire l’elettorato
Il censimento, rappresenta un passo storico, necessario per portare a termine il progetto confederale. L’autorità di regolamentazione per il progetto federale in Rojava opererà in collaborazione con il Consiglio democratico siriano. In ciascuna area del territorio verranno raccolte informazioni sulle dinamiche della popolazione: età, etnia, status economico e sociale, e le ragioni della migrazione. Le operazioni verranno svolte sotto coprifuoco e si prevede che le elezioni potranno essere effettuate pochi mesi dopo la fine del censimento.
Un portavoce dell’Alleanza Democratica Siriana (SDA), l’organizzazione fondata nel 2014, che raccoglie varie componenti etniche, non soltanto quella kurda, presente nell’Assemblea democratica della Federazione del Nord della Siria, ha dichiarato che «la distribuzione geografica delle forze militari in campo indica che il sistema federale è la soluzione migliore per il futuro della Siria, al fine di garantire i diritti di tutte le sue componenti sociali». Infatti l’idea della confederazione elimina la preoccupante divisione dell’area per etnie. In tal senso tutte le parti saranno invitate a partecipare, e tutte le zone nel nord della Siria saranno incluse nel nuovo sistema.
I paradossi delle alleanze asimmetriche
Ma questo però si scontra con uno dei paradossi più forti presenti nella guerra siriana e cioè l’aggressione in Rojava da parte della Turchia, scatenata il 24 agosto scorso, sulla zona di confine tra Azaz e Jarabulus. Perché il sultano Erdogan vorrebbe annettere a se il Rojava, annientando il popolo kurdo, così come sta cercando di fare nel sud della Turchia, massacrando quella popolazione che aveva dichiarato l’autonomia regionale.
Il paradosso sta nel fatto che la Turchia in Rojava c’è andata ufficialmente per combattere l’Isis, ma in realtà il suo primo obiettivo è quello di eliminare il popolo kurdo. Questo è soltanto un aspetto del paradosso. L’altro riguarda il ruolo giocato dagli Stati Uniti, i quali sostengono, con l’invio di marines lo sforzo bellico turco e contemporaneamente appoggiano in termini i kurdi che combattono l’Isis, che vengono a loro volta aggrediti dall’alleato USA.
Alleanze alternate per prendere Raqqa
Anche perché i kurdi sono funzionali alla strategia statunitense per prendere Raqqa, ancora nelle mani dell’Isis. Infatti, nonostante l’opposizione di Erdogan, gli Stati Uniti stanno pensando di rifornire direttamente le Forze Democratiche Siriane, sigla che raccoglie il grosso delle truppe kurde, attraverso gli armamenti necessari per tagliare le linee di rifornimento dell’Isis tra la Siria e la Turchia.
C’è da dire che i combattenti kurdi hanno bisogno di una dimostrazione palese di buona fede da parte degli Stati Uniti, proprio perché appoggiando la Turchia nel territorio del Rojava, con la presa di Jarabulus, questo ha determinato che le amministrazioni cantonali di Afrin e Kobane rimanessero scollegate, cosa che determina un problema in vista del censimento. Khaled Issa, il rappresentante Rojava in Francia: «Per essere realistici, prima di andare a Raqqa dobbiamo preparare le condizioni per la vittoria, stabilendo lì consigli locali e istituzioni popolari, e preparare le condizioni militari per questa battaglia … Tuttavia sarebbe necessario per le forze YPG e SDF di prendere prima Aleppo nord…»
Questo al fine di unire le amministrazioni cantonali… Intanto l’esercito turco continua a bombardare con artiglieria pesante le postazioni militari kurde del YPG. E’ successo ieri a mezzanotte nei pressi della città di confine siriano di Tel Abyad, nella zona settentrionale del governatorato di Raqqa. Tel Abyad era stata conquistata dal YPG e dalle Forze Siriane Democratiche (SDF), sostenuti dalla coalizione guidata dagli Stati Uniti, nel giugno del 2015, sottraendola allo Stato Islamico. Un ufficiale dell’YPG ha dichiarato, senza mezzi termini: «Se la coalizione internazionale non intraprende alcuna azione per fermare le violazioni della Turchia al confine, noi risponderemo con la forza».
L’indipendenza accerchiata
Si è svolta ieri, 26 settembre 2016, la consultazione referendaria sull’indipendenza del Kurdistan iracheno, attualmente regione autonoma nel nord del paese, sotto l’egida di Bagdad. Si sono recati al voto, nei 12.072 seggi, circa 5,2 milioni di aventi diritto, cioè il 72 per cento. I risultati si dovrebbero conoscere in giornata, ma dalle prime indiscrezioni sembra che i “SI”, i favorevoli alla secessione dall’Iraq, si aggirino intorno al 93 per cento. La consultazione referendaria, lanciata nel giugno di quest’anno da Massoud Barzani, ufficialmente consigliere del Presidente iracheno per la regione autonoma e leader del PDK, il partito democratico del Kurdistan, si è svolta nel contesto di una guerra regionale, quella siriana, ma anche a ridosso delle nuove elezioni politiche irachene. Ciò si è tradotto in una sorta di accerchiamento dei paesi limitrofi: Turchia e Iran hanno inviato truppe ai confini, ma la stessa Iraq ritiene il referendum illegale.
Nessun riconoscimento
Barzani lo aveva dichiarato subito che il referendum non poteva che essere consultivo, quindi non avrebbe portato meccanicamente alla secessione dell’autonomia kurda dall’ Iraq. Nella sua strategia questo è semplicemente il primo passo per avviare un negoziato con Bagdad, che nel giro di un paio d’anni porterebbe i kurdi a staccarsi dall’Iraq. Ma il primo ministro iracheno Haydar al-‘Abadi ha subito messo i puntini sulle i:“Non discuteremo né avremo dialoghi sui risultati del referendum, perché esso è incostituzionale”. Intanto ieri quel pezzo di territorio ha visto vari eserciti girargli intorno, non soltanto le truppe irakene all’interno verso Kirkuk, la città contesa poiché zona molto ricca di risorse naturali come il petrolio, ma anche nei confini limitrofi. Turchia e Iran, nemici per la pelle da sempre, sulla questione kurda hanno trovato una nuova amicizia.
Le questioni interne
Il governo di Bagdad ha accusato Barzani di voler sviare l’attenzione sulle criticità legate al quel territorio: “La maggior parte dei problemi della regione sono interni e non con Baghdad, e la separazione non farà che aumentarli… I problemi economici e finanziari della regione sono il risultato di corruzione e cattiva amministrazione”. In tal senso molti osservatori hanno inteso nella mossa di Barzani un tentativo di restare ancora al centro della scena, nella fase discendente della sua carriera.
Saltate le tradizionali partnership
Barzani ha oggi contro tutti quelli con cui in questi anni ha fatto affari e creato partnership, vedi ad esempio la Turchia. Questo perché l’autonomia regionale kurda in Iraq in passato ha garantito un po’ tutti sulla possibilità di contenere le mire indipendentistiche nella regione. Ricordiamo che il Kurdistan in origine è un immenso territorio mesopotamico di un popolo che non ha mai avuto uno Stato, e che si spinge proprio dentro i paesi limitrofi: sud-est della Turchia, nord-ovest di Iran, nord di Iraq, nord-est della Siria, sud dell’Armenia. Le etnie che la abitano sono a maggioranza kurda, con la presenza di varie minoranze: arabi, armeni, assiri, azeri, yazidi, ebrei, osseti, persiani, turchi e turcomanni.
La questione kurda
La questione kurda nasce alla fine della prima guerra mondiale con la morte dell’impero ottomano e le persecuzioni del padre della patria turco Ataturk, il quale con il trattato di Losanna del 1923 impose il dissolvimento territoriale kurdo. Un secolo di lotte e rivendicazioni, che nel 2005, in seguito alla nuova costituzione federale irachena, sfociarono verso un’autonomia regionale tanto agognata. Poi con la guerra, il territorio kurdo nel nord della Siria a confine della Turchia, dove le milizie kurde scacciarono l’Isis, in quella fase finanziata dalla Turchia, nacque la nuova regione autonoma cantonale del Rojava, su cui si sta preparando la nuova Federazione del nord della Siria.
Lo status quo che conviene a tutti
Dopo quasi un secolo, dunque, si ripropongono gli stessi temi di sempre che riguardano il popolo kurdo nel contesto della logica impazzita di alleanze trasversali o asimmetriche, importate dal conflitto siriano. Si, perchél’alleanza tra la sunnita Turchia e la sciita Iran, fotografa le dinamiche regionali. Erdogan andrà a Teheran il 4 ottobre ad incontrare il Presidente Rouhani. Il loro obiettivo è il ristabilimento dello status quo, sia per impedire che prendano corpo istanze indipendentistiche nei rispettivi paesi, visto anche il focolaio del Rojava, ma soprattutto per lasciare le cose come sono state in questi anni. L’Iran vuole garantire la sopravvivenza dei clan sciiti, mentre la Turchia vive il sogno neo-ottomano di un’area dominata dal sunnismo: due mire contrapposte per un unico obiettivo, cioè impedire la nascita di una nazione kurda.
L’esempio del Rojava
Così come nel Kurdistan iracheno anche in Rojava i tratti caratteriali dei territori kurdi che combattono per l’indipendenza si caratterizzano per il rispetto delle minoranze, sia dal punto di vista culturale che linguistico. In più in Rojava il modello di democrazia dal basso, con il protagonismo delle istanze femminili, rappresenta un laboratorio unico nel panorama mediorientale. E passo dopo passo il sistema pubblico aggiunge pezzi al suo mosaico. Nell’ultimo mese sono state organizzate le elezioni per i co-presidenti provinciali e la nascita di un sistema di difesa strutturato con l’attivazione dei corsi dell’accademia militare, funzionale alla costruzione di un esercito regolare per quella che sarà la Federazione del Nord della Siria.
Centinaia di ribelli siriani aderiscono all’alleanza filo kurda
La notizia di questa settimana, il 14 ottobre 2016, è davvero eclatante, nel quadro complessivo del conflitto siriano. “Free Syrian Army” (FSA), cioè l’Esercito Siriano Libero, è una di quelle sigle islamiche che combattono a fianco della Turchia, sia nel nord che nel sud del paese.
La deriva islamista dell’Esercito Siriano Libero
Ieri, alcuni ufficiali, hanno tenuto una conferenza stampa nella città di Hasakah, in cui hanno annunciato di volersi staccare da questa organizzazione militare, insieme ai loro uomini, per entrare nelle file del “Syrian Democratic Forces”(SDF), cioè l’alleanza militare di kurdi, arabi, assiri e armeni, che hanno costituito l’Alleanza Democratica Siriana, dando vita all’Assemblea Democratica della Federazione del Nord della Siria, che sta riorganizzando autonomamente quel pezzo di territorio in confederazione cantonale di democrazia dal basso.
La straordinarietà di questo evento sta nel fatto che questi uomini hanno denunciato la deriva islamista della presenza militare turca in Siria. Hussam al-Awak, ufficile in comando dell’FSA, ha dichiarato: «Stiamo assistendo al progressivo crollo dei gruppi collegati ai Fratelli Musulmani in seguito alla loro cooperazione con la Turchia… Questi anziché combattere per la libertà del popolo siriano hanno assecondato l’agenda e gli interessi della Turchia.
D’ora in poi continueremo la nostra rivoluzione contro il terrore e la tirannia». L’FSA raccoglie centinaia di combattenti schierati nei governatorati di Aleppo e Dara’a, e ovviamente al-Awak non si è spinto oltre a fornire informazioni sugli spostamenti delle forze in campo per non scoprire le future operazioni militari.
Il contrabbando di greggio alla base degli interessi turchi
Il portavoce ufficiale delle forze democratiche siriane, Talal Silo si è detto molto soddisfatto che delle forze prima ostili adesso hanno sposato la causa del popolo siriano in Rojava: «Questo è il più grande gruppo di combattenti che si uniscono a noi. Con la loro presenza altamente qualificata e professionale, dal punto di vista militare, le Forze Democratiche Siriane, potranno continuare a liberare tutte le aree ancora nelle mani dei terroristi dell’Isis».
Si, perché uno dei tre temi strategici della guerra in Siria, oltre lo scempio di Aleppo e la presa di Mousul, è la presa di Raqqa, la delle roccaforte dello Stato Islamico. Una ennesima immagine fotografa i caratteri di questa guerra, dove ognuno combatte per un proprio tornaconto e gli stati occidentali, in questa specifica situazione stanno sia con la Turchia che con i kurdi. Infatti una delle battaglie di cui i media mainsteream non parlano si sta svolgendo proprio tra l’alleanza kurdo-arabo–assiro-armena delleSyrian Democratic Forces contro l’esercito turco, il quale sta cercando di conquistare la città di Tel Abyad.
Il punto è che questo territorio è strategico per togliere Raqqa dalle mani dei jiadisti. Ma non solo, c’è una spiegazione davvero inquietante portata dal YPG sugli attacchi turchi a Tel Abyad. A parlare è Habun Osman, un ufficiale dell’esercito kurdo: «Gli obiettivi del governo turco sono quelli di appoggiare l’Isis, affinché il gruppo terroristico possa esportare il suo petrolio di contrabbando sul mercato nero turco. Cosa che faceva fino ai primi mesi del 2015, quando cioè le forze YPG-SDF conquistarono la città di Tel Abyad…».
La scuola come antidoto all’odio
L’assedio di Aleppo sta causando un disastro umanitario senza precedenti, per il massacro della popolazione civile. in questo 7 ottobre del 2016 esso rappresenta il punto nevralgico del conflitto siriano, Ma in realtà sulle linee di confine si sviluppano altre guerre di posizione di altri eserciti, oltre quelli legati al dittatore Assad e ai ribelli, di varia natura.
La Confederazione cantonale
Ma le notizie che arrivano dal Rojava, cioè la parte settentrionale della Siria, abitata prevalentemente dal popolo kurdo, che si è auto-organizzata in una confederazione cantonale, raccontano storie di normalità nel quadro di un furibondo conflitto. Mentre questo territorio continua a subire gli attacchi dell’esercito turco, con la scusa di combattere l’Isis, ma in realtà cerca d’ impedire che il modello kurdo di democrazia dal basso possa evolversi, una delle storie di normalità contro l’odio riguarda i bambini e la loro educazione. Si, perché è iniziato l’anno scolastico 2016/2017 e la nuova Commissione per l’istruzione del Rojava ha avviato un nuovo programma di studi sui territori che rientrano nel sistema cantonale.
Un laboratorio sociale
La prima innovazione avviata è stata quella di abolire il vecchio programma baathista del sistema di potere della famiglia Assad, all’interno dell’istruzione primaria. Da quest’anno, infatti, le lingue che i bambini studieranno insieme saranno tre: kurdo, arabo e siro-assiro. Queste rappresentano le lingue madri dei diciamo così “ceppi nazionali” presenti in Rojava, rilanciando la sfida che questo modello sociale vuole portare avanti, cioè l’abolizione delle divisioni territoriali per etnia.
Si riprende a studiare
Da quando è iniziata la guerra, in Rojava, che era un governatorato siriano, molti studenti hanno dovuto interrompere l’apprendimento scolastico, ad eccezione di pochi che frequentavano scuole private cristiane. Oggi la stragrande maggioranza dei discenti di questi territori sono iscritti presso le scuole pubbliche cantonali e da quest’anno potranno ritornare dietro i banchi. Malgrado il disastro umanitario, l’Isis e gli eserciti di varie nazioni che si combattono…
Un processo elettorale partecipato
Era il novembre del 2016: “Tutti vogliono partecipare al successo del federalismo democratico nel nord della Siria, a partire dalla formazione dei comuni, che sono il nucleo fondamentale del modello e dell’organizzazione della democrazia diretta”.
Ruken Mullah Ibrahim è la co-presidente della commissione elettorale, del Cantone Cizire. In un’intervista all’agenzia di stampa Hawar News Agency, spiega come la partecipazione del popolo kurdo al nuovo processo elettorale sia stato massiccio, soprattutto da parte delle donne. Sono 3.372 le donne candidate per 2.467 comuni.
“Anche se siamo ai primi esperimenti per formare un sistema di federalismo democratico, – sottolinea Ruken Mullah Ibrahim – non abbiamo affrontato grandi difficoltà che ostacolano la condotta del processo elettorale”.
Il controllo sull’andamento della tornata elettorale sarà affidato all’Ufficio dei diritti dell’uomo del cantone.
La democrazia dal basso
Il modello confederale nord siriano in maggioranza abitato da kurdi, vede la presenza di altre etnie arabe che ormai si sono omogeneizzate nel rispetto delle minoranze, dei diritti delle donne e dei valori democratici. Se il Rojava, cioè la prima autonomia kurda nel nord della Siria, fu laboratorio di questa nuova democrazia dal basso, c’è da dire che nel contesto del Medio Oriente, governato da dittatori e autocrati, questo modello ha tutti contro. Innanzitutto la Turchia di Erdogan, acerrimo nemico dell’indipendenza kurda, sia per le sue questioni interne, che per il fatto che la zona settentrionale della Siria è per lui strategica, in termini geografici e di risorse.
Dal confine turco-siriano per anni sono passati armi, petrolio di contrabbando e Foreign Fighters: si trattava dei traffici tra l’Isis e i servizi turchi. Così, mentre gli Stati Uniti, supportano l’azione militare delle SDF a Raqqa eDeir ez-Zor, la Turchia gli muove guerra nella striscia di confine tra est e ovest, in piena Siria del nord. Tra veri e propri assalti e “scaramucce” il controllo militare dell’area è affidato alle HPG kurde che proprio l’altro ieri hanno ucciso tre soldati turchi e fatto diversi feriti a Sirnak. Per risposta l’esercito turco ha bombardato diverse aree della montagna di Cudi nelle cui pendici sorge la città.
La de-escalatoion e le sue trappole
Ma questa si sa è la guerra dei paradossi. Si, perché secondo l’accordo di Astana sulla “de-escalation” è prevista la cessazione delle ostilità tra gruppi anti-governativi e forze che combattono per conto di Bashar al-Assad. Quattro sono le zone di de-escalation in aree prevalentemente contenute dalle opposizioni al regime siriano: Eastern Ghouta e le province di Idlib, Homs, Latakia, Aleppo e Hama. Russia, Turchia e Iran fanno garanti. Ottima opportunità questa per il sultano Erdogan, cioè di intensificare la presenza militare nel nord della Siria, al fine di distruggere le mire autonomiste e democratiche del popolo kurdo.
Domenica, ben 80 veicoli militari, compresi i carri armati, hanno varcato il confine, secondo quanto trasmesso dall’agenzia Anadolu. Gli automezzi sono stati inviati nella provincia sud-est di Hatay, mentre un convoglio di veicoli corazzati si è diretto alla frontiera con la Turchia di Cilvegozu, nella zona di Bab al-Hawa e a Rihaniyah. Convogli, che a sentire le testimonianze sul campo, sarebbero rimasti in quelle zone mentre avrebbero dovuto raggiungere le aree di de-escalation.
Attacchi e incursioni
ntanto a Raqqa l’offensiva delle SDF contro l’Isis procede inesorabile. Durante gli scontri di sabato sono stati uccisi 32 membri dello Stato islamico. I quartieri della città interessati ai combattimenti sono stati Al-Amin, Al-Hena, Al-Nehda e Al-Rawda.
E’ stato preso l’ospedale strategico di Muwasa, mentre ieri sempre le SDF, nel quartiere di Al-Nahda, sono riuscite a salvare dall’Isis 45 persone destinate a fare da scudi umani. Infine proprio a Deir ez-Zor, nel nord-est, sabato, sei soldati delle SDF sono rimasti feriti in seguito ad un raid aereo, presumibilmente effettuato dall’aviazione russa, che ha negato ogni responsabilità. Il maggiore generale Igor Konashenkov, ha voluto sottolineare che il piano d’attacco era stato preventivamente presentato al comando statunitense.
Guerra per una democrazia dal basso
Il 22 settembre 2017, nei tre cantoni della Federazione Democratica della Sira settentrionale, si terranno le consultazioni per l’elezione dei Co-Presidenti comunali, secondo quanto dichiarato dall’Assemblea Costituente della stessa federazione.
Il modello di democrazia dal basso del Rojava si è dall’inizio caratterizzato per il protagonismo delle istanze femminili, al centro dell’assetto istituzionale.
Ecco perché saranno migliaia le donne che si candideranno a questa tornata elettorale. Nel frattempo la guerra per procura in Siria, ufficialmente contro l’Isis, non si ferma.
Le Forze Democratiche Siriane (SDF), una fortissima milizia prevalentemente strutturata dal popolo kurdo, ma che vede al suo interno anche varie etnie arabe, continuano ad avanzare e togliere terreno all’Isis, sia a Raqqa che a Deir ez-Zor, i due fronti di guerra più accessi. Ma sulle SDA piovono gli attacchi militari, soprattutto dalla Turchia.
Le fonti
– Kombatt Kurdish
– La guerra di resistenza democratica all’Isis
– La democrazia comunitaria
Fonti: ANF, ANHA
– Un popolo sotto feroce attacco
Fonti: Ekurd Daily, Kurdish Question, ANF, ANHA
– Verso le elezioni nel caos asimmetrico
Credits e Fonte ARA News
– L’indipendenza accerchiata
– Centinaia di ribelli siriani aderiscono all’alleanza filo kurda
Fonte e Creidts ARA News
– La scuola come antidoto all’odio
Fonte e Credits ARA News
– Un processo elettorale partecipato
Fonti: Al-Jazeera, ANF News, ANHA News Credits: Reuters, AP, ANF News
– Guerra per una democrazia dal basso