Morire per essere un giorno liberi
di Marco Marano
Questo percorso narrativo e informativo dal basso, è stato realizzato per il web, sui fatti inerenti la nascita del Rojava, nel nord della Siria, in seguito alla resistenza e al processo rivoluzionario insieme condotte dalle unità combattenti kurde.
Il percorso temporale abbraccia il periodo dal 2015 al 2020: dalla presa di Kobane, ai danni dell’Isis, fino al tradimento statunitense, che ha lasciato senza supporto il popolo kurdo, durante la seconda occupazione turco-jihadista del Rojava.
I fatti raccontati sono stati individuati rispetto a due livelli di gerarchie delle notizie: il primo inerente ai macro fatti internazionali, l’altro relativamente agli accadimenti sul campo, coperti dalle fonti in loco.
Questo approccio giornalistico permette di costruire delle serie storiche che possono consentire, storicizzando i fatti, di recuperare la verità dei fatti storici, legati al passato prossimo, proprio perché la caduta nell’oblio rientra nelle Caratteristiche della nostra epoca.
La necessità di leggere i fatti in modo veritiero sorge dalle caratteristiche dell’epoca presente, appunto, dove sono state superate le prassi della comune convivenza collettiva.
In tal senso il termine “post”, proprio per le trasformazioni collettive di senso in atto, deve necessariamente aggiungersi ai concetti conclamati durante il ventesimo secolo: post-verità, post-democrazia…
Gli articoli di cronaca presenti sono la rappresentazione dei fatti storici così come si sono svolti, sviluppandosi in una trama seriale che si allunga nel tempo, definendone i caratteri al di là dell’oblio, delle manipolazioni, dell’indifferenza. Proprio per queste ragioni assumono la funzione di “documenti narrativi”, tipico delle fonti documentali non tradizionali.
LA LOTTA PER L’AUTONOMIA DEL POPOLO KURDO
Quella kurda è una delle questioni, insieme alla vicenda palestinese, ancora aperte dopo un secolo di rivendicazioni e lotte per conquistare l’autonomia che ogni popolo merita. Parlare della questione kurda, a differenza questa volta di quella palestinese, è come interessarsi di un fantasma. Questo perché, per il mondo occidentale, parliamo del mondo mainstream, la questione kurda non esiste, non è raccontata, forse non interessa…

La spirale del silenzio
Potrebbe però esserci un’altra spiegazione relativa alla “Spirale del silenzio” che avvolge questo tema… La lotta per l’autonomia del popolo kurdo, soprattutto in quel pezzo di Siria, che nel 2012 è stata ribattezzata Rojava, trova uno dei principali punti di snodo in quel 19 luglio, appunto, il giorno in cui si commemora la rivoluzione dal basso, poiché coincide con la presa della città simbolo di Kobane, dalle mani dell’esercito siriano.
La guerra contro l’Isis
Iniziava così la guerra contro l’Isis e la trasformazione sociale, culturale ed economica dell’area, dove i comitati civici di base, coordinati dalle donne, diventavano i luoghi decisionali. Sei anni dopo l’Isis è stata sconfitta, la rivoluzione si è allargata a tutti i popoli del nord della Siria, rappresentando un esempio che ha dimostrato come un mondo diverso da quello capitalistico sia possibile.

Resistenza e rivoluzione
Ma sei anni dopo si è formalmente palesata la pulizia etnica turca in Rojava, con la presa di Afrin… Quella del Rojava è una rivoluzione che mette in discussione il sistema neoliberista. In tal senso parole come “verità”, “fatti”, vengono sacrificate sull’altare della “realtà istituzionale”, lontana dalla gente e dalle dinamiche del nostro tempo.
Le praterie del web
Fortunatamente, oggi, il web ci mette a disposizione strumenti e praterie sociali che ci consentono di riconciliarci con la “realtà vera”. Si perché uno degli aspetti straordinari del popolo kurdo è che non solo è riuscito a costruire, praticamente dall’indomani dello scoppio della guerra siriana, un modello istituzionale avanzato e anticapitalistico, parliamo appunto del Rojava, e questo in mezzo ad un conflitto bellico… Ma si è, negli anni, attrezzato di un fitto sistema informativo, estremamente strutturato, con agenzie stampa e siti di notizie in loco, finalizzato proprio a bypassare il silenzio.

La libertà non è terrorismo
Nel momento in cui la disinformazione passa da paradigmi formalizzati, la nostra scelta personale, dal punto di vista giornalistico, è stata quella di cercare fonti direttamente sul campo, che potessero connotare la realtà così com’è. Grazie alle agenzie di stampa kurde come ANF, ANHA, Jinha News, Kurdish Question, Ekurd Daily (edito negli Stati uniti), abbiamo avuto la possibilità entrare dentro le reali dinamiche legate a quel pezzo di Medio Oriente. La questione kurda è oggi al centro del “piano Condor turco”.

La manipolazione della realtà
Avere trasformato le secolari istanze di autonomia culturale e politica, generatesi dopo il genocidio all’indomani della prima guerra mondiale, e la conseguente resistenza guidata dal PKK di Ocalan, in attività terroristiche, ha determinato l’allucinante equazione: popolo kurdo = popolo terrorista. Attenzione perché questa non è una questione semplicemente simbolica: nel momento in cui l’intero popolo è considerato terrorista, diventa legittimo, non solo reprimerlo, ma ucciderlo deliberatamente.

Lo sterminio
Nell’estate del 2015 Erdogan avvia la campagna del terrore contro il “popolo terrorista”, rompendo la tregua raggiunta con il PKK. Così per quasi un anno ha sterminato donne, bambini, uomini, anziani negli insediamenti kurdi nel sud del paese, al confine con la Siria. La campagna di sterminio sugli insediamenti kurdi nel sud della Turchia iniziava proprio nell’estate del 2015 con il suo picco tra febbraio e maggio del 2016.

L’assedio di Kobane
Nell’estate del 2015 succede però un fatto strano… Al confine con la Turchia, l’unica resistenza armata all’Isis, con l’assedio di Kobane, viene condotta proprio dal popolo kurdo, dove soprattutto le donne combattono e respingono i tagliagole dello Stato islamico. Kobane, infatti, viene contesa prima dagli uni e poi dagli altri. In un momento di grande difficoltà della resistenza kurda, pezzi del suo popolo in Turchia, decidevano di andare ad aiutare gli assediati contro l’Isis, che, ricordiamo, per l’occidente era il male assoluto. Il popolo combattente kurdo si apprestava a varcare il confine per sostenere i propri fratelli in difficoltà.

Nasce il “sultanato turco”
E la Turchia cosa fa? Glielo impedisce! Impedisce ai kurdi, pronti a combattere contro l’Isis, di andare in soccorso dei propri concittadini che stanno morendo… E’ proprio in questo momento che Erdogan, da uomo forte, abbastanza corrotto, ma tutto sommato che, a parte i fatti di piazza Taksim, si muove nel recinto della democrazia, decide di eliminare lo stato di diritto per diventare a tutti gli effetti un “Sultano”.

Le unità di combattimento
La situazione kurda ha assunto in questi anni toni paradossali se non grotteschi. Da un lato Erdogan definisce terrorista il popolo kurdo, dall’altro le unità di combattimento kurde sono state quelle grazie alle quali, sul campo di battaglia, è stato militarmente sconfitto l’Isis. Per questo partner affidabile degli Stati Uniti. Poi con l’amministrazione Trump il popolo kurdo verrà ancora abbandonato, dopo un secolo di voltafaccie.

La pulizia etnica dell’Isis
L’ennesimo paradosso è che grazie all’ultimo voltafaccia americano, la turchia del Sultano Erdogan ha ricostruito e rimesso in campo le bande dell’Isis trasformate in milizie. Questo al fine di invadere il Rojava via terra solo con le bande mercenarie jihadiste, questa volta però con la copertura aerea del quarto esercito (Nato) più potente del mondo, quello turco. In tal modo, ai fuoriusciti del sedicente Stato islamico, in fuga dope le disfatte militari, e riorganizzati dai servizi di sicurezza turchi (MIT), come bottino di guerra veniva promesso l’acquisizione dei beni dei residenti nelle città e nei villaggi del Rojava,

Il repertorio di morte
Il piano turco infatti si è posto come obiettivo la sostituzione etnica del ceppo arabo-sunnita con il popolo kurdo lì residente. Infatti in Rojava sono stati fatti confluire pezzi di popolazione siriana rifugiati in Turchia. Una pulizia etnica a tutti gli effetti, dunque, realizzata attraverso l’uso della violenza tipica dell’Isis: torture, stupri, saccheggi, omicidi sommari, tutto il repertorio di morte che si è sviluppato nel decennio scorso.
