di Marco Marano
Dittatori, autocrati, razzisti, si sono avvicendati in questi giorni sul palco delle Nazioni Unite elargendo i loro proclami autoritari. Così è toccato anche al sultano Erdogan, che da anni muove una guerra di pulizia etnica nei confronti del popolo curdo.
Bologna, 26 settembre 2019 – Dall’occupazione turco-jihadista del cantone curdo di Afrin, nel Rojava nord siriano, avvenuta il 18 marzo 2018, la popolazione civile è diventata il principale bersaglio della violenza esercitata dagli ex affiliati dell’Isis. I jihadisti utili per la sostituzione demografica dell’area, sono antichi partner del dittatore eletto Erdogan, il quale anch’esso ha fatto i suoi proclami deliranti dal palco della 74° assemblea generale dell’Onu, come Al-Sisi e Bolsonaro, per non parlare di Trump, messo nel proprio paese in stato d’accusa…
Anche Erdogan fa la passerella dei dittatori Onu
La passarella dei dittatori all’Onu ha riservato il discorso del sanguinario Erdogan che ha annunciato l’attacco concentrico alla Siria del Nord, per annientare l’esperienza di autonomia pluriconfessionale guidata dal popolo curdo.
Nella Safe Zone, cioè la zona cuscinetto nord siriana concordata con gli Usa, Erdogan vuole spostare un paio di milioni di profughi siriani rifugiati in Turchia, anche grazie al danaro dell’Unione europea. Non importa che quella gente vuole rientrare nei propri luoghi di nascita, l’importante è annientare il popolo curdo, tra gli applausi dell’Onu.
Come massacrare l’identità del popolo curdo
Le aberrazioni compiute dai jihadisti raccolgono tutto il repertorio tipico dei tagliagole: saccheggi, furti, rapimenti, torture, stupri e massacri, finalizzati a costringere i residenti curdi a lasciare i loro averi e andare via.
Uno dei gruppi jihadisti affiliato al regime turco, “che si da più da fare” si chiama “Sultan Murad”: rapisce una media di cinque persone al giorno. La vita quotidiana ad Afrin è appesa ad un filo. Non esiste per un residente curdo nessuna possibilità di salvezza: si è dei potenziali bersagli in qualsiasi momento.
Dei 28 cittadini rapiti la settimana scorsa non si sa niente. Nel frattempo un altro gruppo jihadiasta “Suqour al-Sham”, incendia i boschi e abbatte gli alberi nelle vicinanze del villaggio di Qixilbash nel distretto di Bilbile: terra bruciata intorno nel senso puro del termine… Come riporta il portale ANF: “Iniziando un incendio nella foresta tra i villaggi di Rota e Kaxire, le bande hanno abbattuto dozzine di alberi nel distretto di Rajo”.
Le faide tra i tagliagole di Erdogan
A ciò si aggiungano le guerre intestine tra bande jihadiste che si contendono il territorio. Scontri armati che avvengono quotidianamente, come quella legata all’assalto armato da parte del gruppo Jabhat al-Shamiya contro il quartier generale delle fazioni provenienti da Ghouta orientale, attaccata anche dal clan “Biyanuni” proprio la settimana scorsa”.
In questo contesto, una fantomatica “polizia militare”, attraverso i suoi posti di blocco che cinturano i perimetri urbani, confiscano tutto il possibile: dalle auto al danaro…
FONTE: ANF, Al Jazeera
Immagine in evidenza: Carlo Allegri/Reuters
Credits: Brendan McDermid /Reuters, Jonathan Ernst /Reuters, ANF