di Marco Marano
In seguito ad uno scoop del New York Times, si scopre che nell’aereo presidenziale, diretto in Giappone per il G20, viaggiava un sergente dell’aviazione che trasportava chili di cocaina.
Bologna, 27 giugno 2019 – Nello stesso giorno in cui usciva un rapporto del Centro per gli studi giudiziari di giustizia militare, che individua nel traffico di droga il principale crimine dei militari brasiliani, si apprende che in uno dei due aerei presidenziali che trasportavano la delegazione governativa brasiliana, insieme al presidente Bolsonaro, un sergente dell’aviazione portava con se 86 chili di cocaina.
Tutto questo nel contesto di una propaganda di stato, enfatizzata dai principali media governativi brasiliani, come O Globo, attraverso cui il presidente di estrema destra, emulatore di Mussolini, aveva individuato nella lotta alla droga uno dei passaggi fondamentali della sua azione governativa, adesso smascherata.
Una rete internazionale di narcotraffico
Manoel Silva Rodrigues, è stato intercettato a Siviglia, martedì scorso, dove il primo aereo presidenziale ha fatto scalo, facendo da supporto al secondo nel quale viaggiava il presidente, che, diversamente, faceva scalo a Lisbona, per proseguire verso Osaka, dove si sono incontrati i leader del G20. Il sergente Rodriguez, sperando di non essere controllato, uscito dall’aereo, al check di controllo è stato immediatamente fermato, per le ispezioni del caso. Nel suo borsone sono stati trovati 37 pacchi di cocaina, che evidentemente un partner spagnolo attendeva di ricevere fuori dall’aereoporto.
Un sistema militare corrotto
Naturalmente il presidente ed il suo ministro dell’Interno, mediante i loro Twitt, hanno stigmatizzato l’accaduto. Nelle dichiarazioni ufficiali hanno sottolineato che verranno presi provvedimenti severi contro l’aviatore, che comunque dovrà affrontare la giustizia spagnola: “Non tollereremo questo tipo di mancanza di rispetto per la nostra nazione!”. Ma come si dice, occorre dare un colpo al cerchio ed uno alla botte, per cui si è anche lanciato nella difesa apologetica della moralità di tutto l’esercito brasiliano.
Ma lo “sfortunato presidente”, convinto che manipolando le informazioni, sia possibile far passare tutto ed il contrario di tutto, è stato immediatamente smentito da un rapporto del Centro per gli studi giudiziari di giustizia militare, nel quale si diffondono i dati sull’altissimo tasso di corruzione del sistema militare, proprio attraverso il narcotraffico.
La guerra personale alle favelas
C’è da dire che la manipolazione politica della realtà ha portato Bolsonaro a sostenere un disegno di legge che prevede rigidissime pene per i reati di droga, con un margine discrezionale assoluto di sparare sui narcotrafficanti. Questo perché la sua narrazione populista individua nella guerra ai poveri delle favelas, il principio costitutivo della sua azione, e chi si mette contro può essere assassinato senza se e senza ma, come Marielle Franco, omicidio effettuato da poliziotti vicino alla famiglia Bolsonaro.
Lo strano caso di uno stato di diritto oligarchico
C’è infine da aggiungere che le pene, in Brasile, per i militari che compiono crimini legati al narcotraffico, sono assolutamente calmierate rispetto a quelle dei civili, a dimostrazione di come in questo paese lo stato di diritto sia funzionale non a garantire il popolo ma le oligarchie. Il codice penale militare prevede una pena di 5 anni di reclusione per i crimini di narcotraffico, mentre la legge sulla droga prevede pene tre volte superiori per i civili…
FONTI: News York Times, Revista Forum, Estadao
Immagine in evidenza: Reuters
Credit: Valter Campanato/Agência Brasil, AFP