di Marco Marano
Disertato il bando per “l’accoglienza strozzata” dei richiedenti asilo nei centri di accoglienza straordinaria (CAS) che secondo la nuova legislazione leghista è funzionale esclusivamente a dare un alloggio, senza nessun tipo di intervento legato all’integrazione sociale.
Bologna, 10 maggio 2019 – Una doccia fredda per la Prefettura di Bologna, che certo non si aspettava una presa di posizione così netta da parte delle cooperative sociali, quelle che negli ultimi dieci anni sono state protagoniste del modello Sprar di accoglienza diffusa.
Senza integrazione non può esserci accoglienza diffusa
C’erano in ballo 22 milioni per 800 richiedenti asilo, da inserire in strutture della capienza massima di 50 persone, che la Prefettura, facendo un po’ di confusione, definisce come “accoglienza diffusa”, cosa che in realtà, per essere connotata in questi termini, avrebbe bisogno di appartamenti per un massimo di sei o sette persone. Ma al di là della manipolazione semantica il tema è che all’apertura delle buste, il 7 maggio, si è presentata una sola cooperativa veneta, “Un mondo di gioia”, intenta a gestire 40 posti in due strutture: 25 a Galliera e 15 a San Pietro in Casale.
Così, le cooperative sociali, sia afferenti alla Lega delle Cooperative che a Confcooperative, hanno disertato il bando, poiché, non essendo degli albergatori, come sottolineato al Corriere della Sera dal responsabile di Confcooperative Federsolidarietà dell’Emilia-Romagna Gianluca Mingozzi, nella loro mission è trascritta la dimensione sociale del lavoro. E non può esserci dimensione sociale se vengono impediti gli interventi di integrazione.
Proprio nell’ultimo anno, prima che entrasse in vigore il Decreto sicurezza, il sistema di accoglienza della Città Metropolitana di Bologna, aveva iniziato a trasformare i CAS in accoglienza diffusa Sprar, proprio per superare questa forma di ghettizzazione dei migranti, legata ad un approccio emergenziale.
Un modello virtuoso estirpato
Era appunto un modello che intendeva disseminare richiedenti e rifugiati in appartamenti sul territorio cittadino. Si, perché solo con i piccoli numeri è possibile impedire ghettizzazioni, facilitando così l’iter delle attività di integrazione: apprendimento linguistico, inserimento lavorativo, e tutte le attività sociali che vanno dallo sport alle arti performative.
Come tutti sanno, il Decreto sicurezza impedisce ai richiedenti asilo di beneficiare di attività di integrazione, quelle per cui il modello Bologna è stato studiato nelle università italiane ed europee per i risultati raggiunti.
Specchi per le allodole
Intervistata dal Corriere della Sera, il Prefetto Patrizia Impresa, annuncia che probabilmente ci sarà un nuovo bando dove verranno aumentati i numeri delle persone da accogliere dentro le singole strutture, di massimo 300 posti: cioè quello contro cui in questi anni il sistema di accoglienza bolognese ha combattuto. L’ appeal del nuovo bando starebbe nel fatto che la gara sarebbe molto più remunerativa. Rispetto a ciò il Prefetto lascia intendere che gli interventi di integrazione potrebbero essere ottenuti attraverso i fondi europei. Come si dice: un colpo al cerchio e uno alla botte…
Sembra chiaro che questa guerra fredda tra la Prefettura e le cooperative sociali bolognesi continuerà anche dopo la messa in atto del nuovo bando, presumendo che anch’esso verrà disertato.
In alternativa si preannuncia una trattativa privata che sarà estremamente difficile da gestire. L’altra ipotesi sarebbe quella di prorogare le vecchie gestioni, cosa che comunque avverrà fino a che la nuova situazione gestionale dell’accoglienza ai richiedenti non sarà strutturata.
Ecco perché la Prefettura invoca senso di responsabilità da parte del privato sociale per fare rete con le istituzioni… Ma sarà difficile che l’empasse si risolverà con le invocazioni retoriche dopo che un governo repubblicano ha smantellato una delle poche cose virtuose che ci sono state in questo paese, sprofondato nell’abisso del razzismo…