di Marco Marano
L’ultimo morto ammazzato dall’esercito israeliano appena due giorni fa a Jenin, grazie, secondo Hamas, allo scambio di informazioni tra l’intelligence israeliana e l’Autorità palestinese. Nel frattempo a Gerusalemme Est si è pronti ad espellere 200mila palestinesi.
Bologna – Il governatorato di Jenin, in Cisgiordania, che comprende la città ed il campo profughi palestinese, mercoledì sera è stata dichiarata “zona militare chiusa”. Si è trattato di una operazione su larga scala durata fino alla tarda mattinata di giovedì. Sono intervenute le forze speciali supportate da 120 veicoli dell’esercito israeliano. Intanto il sobborgo di Kufr Akab e il campo profughi di Shoaffat, presso Gerusalemme Est, stanno per essere occupate anch’esse militarmente. Lo scopo è quello di deportare quanti più palestinesi da quella che la Casa Bianca ha dichiarato capitale di Israele.
L’incursione militare contro una famiglia palestinese
Jenin è un importante centro agricolo situato a 26 chilometri a nord della città di Nablus. L’incursione militare era finalizzata ad arrestare il responsabile dell’uccisione, il 9 gennaio, del colono israeliano di Nablus Raziel Shevack. Secondo le informazioni dell’intelligence israeliana, era stata individuata la famiglia Jarrar, le cui tre abitazioni sono state demolite, mentre centinaia di palestinesi affrontavano le forze israeliane. In quest’azione è rimasto sotto le macerie Ismail Jarrar, di 31 anni, mentre gli israeliani, avevano individuato come principale responsabile della morte del colono il cugino di 24 anni Ahmad, il quale sarebbe riuscito a fuggire prima dell’ingresso dei militari in città.
Nelle demolizioni sono rimaste ferite altre 6 persone della famiglia Jarrar. Ismail è il quinto palestinese ad essere stato ucciso dagli israeliani dall’inizio dell’anno. Il particolare emerso in quest’ultima vicenda, secondo le accuse di Hamas, riguarderebbe la funzione del “coordinamento della sicurezza”, cioè l’organismo che vede confluire lo scambio di informazioni tra l’intelligence ebrea e quella dell’Autorità palestinese. Senza questo scambio d’informazioni, sottolinea Hamas, sarebbe stato impossibile per gli israeliani individuare le responsabilità della famiglia Jarrar.
La strategia di deportazione dei palestinesi
A Gerusalemme Est, intanto, sembra essere scattata l’operazione, che secondo le autorità israeliane dovrebbe portare gradatamente 200mila palestinesi ad essere espulsi dalla città. In realtà i sobborghi, dopo la costruzione del muro, sono stati lasciati in balia di se stessi. Cioè a dire che la municipalità di Gerusalemme non si occupa di erogare nessun tipo di servizio socio-sanitario. Per cui negli anni si sono creati veri e propri slums, dove la gente non può che usare espedienti per sopravvivere.
Secondo il quotidiano Haaretz, i comandi militari stanno esaminando una strategia di occupazione del sobborgo di Kufr Akab e del campo profughi di Shoufat. La scusa sarebbe quella di constatare che il tasso di povertà e quindi disagio è così alto da trasformare i due territori in zone controllate sia dal punto di vista militare che civile. Al di là del fatto che quelle due aree siano realmente popolate da un alto tasso di criminalità, questo rappresenterebbe l’innesco di un processo che gradatamente porterebbe all’espulsione di migliaia di palestinesi da Gerusalemme.