Non si ferma la guerra messicana dei narcos

di Marco Marano 

La quotidiana carneficina dei narcotrafficanti segnala come la guerra in atto in Sud America, tra i cartelli della droga, sia transitata dalla Colombia degli anni novanta al Messico di oggi.

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Bologna, 28 novembre 2017 – Ne hanno fatto persino una serie televisiva, dedicata al narcotraffico colombiano degli anni novanta, per la piattaforma televisiva Netflix. Si chiama appunto “Narcos”: nella prima stagione si è occupata di raccontare le vicende di Pablo Escobar, mentre nella seconda c’erano le storie del cartello vincente di Cali, dopo la caduta del boss colombiano. Oggi le cose sono cambiate, poiché il centro del traffico di droga si è spostato in Messico. La raccapricciante sequenza di morti non ha risparmiato la categoria dei giornalisti, di cui si ha continuamente notizia… Gli unici elementi rimasti inalterati sono da un lato i caratteri della violenza: la brutalità, il disprezzo per la vita umana, l’efferatezza con cui vengono trucidate le persone. Dall’altro lato i sistemi sociali, politici ed economici endemicamente corrotti: dal poliziotto al giudice, dal politico all’imprenditore, al punto da fare da retroscena alla guerra in corso.

I numeri dell’orrore

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Nell’ultimo fine settimana si è fatta la conta della brutalità sanguinaria nello Stato di Veracruz: 21 esecuzioni. A Poza Rica de Hidalgo, una città a nord delle Stato, sono state giustiziate 4 persone. “Quattro corpi smembrati”, come li ha definiti il giornale Proceso, ritrovati nel quartiere di Libertad. Nella zona centrale della città di Cordoba due narcos sono stati assassinati, mentre nella sparatoria veniva ferito un passante. Poi ci sono i sei corpi di uomini seminudi ritrovati venerdì che galleggiavano nel fiume Papaloapan, nel Messico centrale, con evidenti segni di torture e percosse. Sempre venerdì sera, in una strada sterrata, nell’area urbana della città di Xalapa, in zona Banderilla, sono stati ritrovati i cadaveri del sindaco della città di Ixhuatlan de Madero, Victor Manuel Espinoza Tolentino e di sua moglie a bordo di un pick-up. Poco lontano vi erano i corpi di tre collaboratori del sindaco. Sabato notte, a Martinez de la Torre, nel quartiere di El Roble, un uomo trovato con un colpo alla testa, aveva i pantaloni abbassati, tipico messaggio delle esecuzioni dei gruppi criminali. Sulla statale Alazan-Canoas, a Pánuco, una donna è stata trovata morta crivellata di morti. Infine vi sono i narcomensajes, cioè messaggi lasciati alla popolazione o ad altri gruppi criminali, come pezzi di corpi vicino a delle scope, che alludono alla pulizia fatta nella zona.

Nel solo Stato di Veracruz, in 11 mesi, ci sono stati 2.220 omicidi e 163 rapimenti, 19.343 rapine, di cui 2.492 hanno comportato danneggiamenti agli edifici e 234 rapine con violenza domestica. Ovviamente non possono essere contabilizzate le vittime di atti criminali che non denunciano per minacce o sfiducia nelle autorità.

L’incremento delle coltivazioni

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Secondo l’ultimo rapporto dell’UNODC, l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine, pubblicato nel luglio di quest’anno, vi è stato nel 2016 in Colombia un deciso aumento delle coltivazioni di cocaina rispetto all’anno precedente. Questa realtà sottolinea l’impennata delle attività criminali dei narcos. Si è infatti passati dai 96 mila ettari del 2015 ai 146 mila dell’anno passato. Questo incremento ha prodotto 866 tonnellate di droga da smerciare di cui 378 sequestrate. Le aree principalmente interessate sono state individuate nel Dipartimento di Nariño e in quello di Putumayo al confine con l’Equador e di Norte de Santander al confine con il Venezuela.

Questi dati un po’ asettici sono la fotografia di una realtà estremamente cambiata rispetto a quando, negli anni novanta, regnavano i grandi cartelli dei narcotrafficanti: Medellin e Cali. Quelle  erano organizzazioni sanguinarie e molto strutturate. Gestivano l’intera filiera produttiva: dalla raccolta alla raffinazione fino alla distribuzione e l’esportazione.

Un tempo passato

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A quel tempo la produzione di droga era in un certo senso localizzata in precisi punti del paese. Questi coincidevano con i quartieri generali dei due cartelli. Da lì è nato il “mito” cinematografico del boss dei boss Pablo Escobar. Da lì venivano innescate le faide, gli omicidi, le sentenze di morte, le torture contro gli avversari. La Colombia era praticamente governata dai narcos su cui si reggeva il sistema economico di uno stato nello stato.

I due cartelli erano veri e propri colossi. Ecco spiegata la ragione che ha potuto determinare la loro estinzione, in seguito alla guerra che le istituzioni legali del paese intesero condurre. Oggi quel tipo di organizzazione non esiste più. La Colombia ha perso il primato di paese guida del narcotraffico, passato nelle mani dei cartelli messicani.

I cartelli messicani

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Il nuovo Pablo Escobar si chiamava Joaquin Guzmán, detto “El Chapo”, arrestato in modo rocambolesco nel gennaio di quest’anno. Veniva estradato a New York nel pomeriggio del 19 gennaio. Il capo del cartello di Sinaloa, detenuto nel carcere di massima sicurezza di Ciudad Juarez, era stato oggetto di una mediazione diplomatica tra il Messico e gli Stati Uniti, risolta nel maggio dello scorso anno, dopo che la Corte Suprema aveva rigettato gli appelli dei suoi legali contro l’estradizione. A quel punto era stata data la garanzia che nei confronti del narcotrafficante non sarebbe stata applicata la pena capitale.

Un regalo tra governi

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Preso in consegna da funzionari americani, nel piccolo aeroporto di Ciudad Juarez, in tempi brevissimi compariva davanti al tribunale federale di Brooklyn. Al procuratore rispondeva delle incriminazioni di traffico di droga, riciclaggio di denaro, omicidio e sequestro di persona. Secondo alcuni analisti non sarebbe stato un caso che l’estradizione avvenisse a poche ore dal giuramento di Trump. Rumors parlarono di un intervento diretto del ministro degli esteri messicano al fine di svelenire i rapporti tra il presidente Peña Nieto ed il nuovo inquilino della Casa Bianca, a proposito della polemica sulla costruzione del muro al confine.

Nato per fuggire

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El Chapo, dopo la morte del trafficante colombiano Pablo Escobar, diventava il principale boss tra i #cartelli della droga latinoamericani. Attorno alla sua figura si costruiva la leggenda di uomo inafferrabile. Era una sorta di signore feudale, nel famoso “triangolo d’oro messicano”, l’area del paese che vede confinanti a est, sull’oceano pacifico, lo stato di Sinaloa, nella parte centro settentrionale lo stato di Durango e a ovest quello di Chihuaha, dove Guzmán è nato 62 anni fa.

Esperto di fughe, la sua prima “grande impresa” fu quella di evadere nel 2001 dalla galera di Puente Grande, a Jalisco, dove era stato rinchiuso nel 1993 per scontare una pena di 20 anni: fuggì in un furgone della lavanderia, dopo aver corrotto delle guardie carcerarie. Durante la sua latitanza consolidava un impero criminale, scalava il 41° posto tra gli uomini più ricchi del mondo, smerciando il 30 per cento della cocaina del mercato statunitense. Nel 2014 veniva arrestato nuovamente, ma rimaneva in galera un anno. Il carcere era quello di El Altiplano. Siamo nel luglio del 2015, ed El Chapo percorre un tunnel sotterraneo di un chilometro e mezzo, dandosi alla macchia. Quello dei tunnel è sempre stata una sua fissazione, la leggenda narra di un canale sotterrano di 443 metri scavato dai suoi uomini che passava da Tijuana e attraversava il confine tra il Messico e gli Stati Uniti per il passaggio della cocaina.

Solo come un film

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Una vita da film insomma, tanto che egli stesso si metteva in testa di girarlo, per lasciare le sue gesta ai posteri. Sembra che nel suo secondo periodo di latitanza, contattando personaggi di Hollywood, s’innamorava di un’attrice di soap opera, Kate del Castillo, la quale lo faceva incontrare con l’attore Sean Penn, per una intervista sulla rivista Rolling Stone. Questo incontro avveniva il 2 ottobre del 2015, nella foresta dello stato di Durango. Così le forze dell’ordine messicane, coadiuvate dai servizi americani, si mettevano sulle sue tracce. Il 16 ottobre le autorità messicane informano di uno scontro a fuoco dove il boss veniva ferito riuscendo però a fuggire. Poi la svolta. Venerdì 8 gennaio 2016, a Los Mochis, una cittadina sotto il suo controllo, gli uomini della marina messicana lo catturano per l’ultima volta.

Il passaggio di consegne

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Uscito di scena El Chapo entra in campo El Mencho. Al secolo Nemesio Oseguera Cervantes, l’uomo più ricercato del mondo. Nella dinamica trasformazione della geografia dei clan latinos, quello comandato dal Mencho è il più potente: Cartel Jalisco Nueva Generación (CJNG)Due le sue caratteristiche: ha diversificato il business con le droghe sintetiche, vicino al core della coca. Poi ha contribuito ad eliminare dalla scena, in una guerra cominciata nel 2010, il cartello concorrente degli Zetas, tanto che gli adepti del Mencho erano soprannominati i Matazetas. Cinquant’anni, tiene un basso profilo, a differenza delle spettacolarizzazioni del Chapo, proviene dalla regione del di Tierrascalientes. Ha un giro d’affari di 20 miliardi di dollari. I suoi bacini di utenza vanno dagli Stati Uniti all’Europa. Sembra essere leader del mercato internazionale di metanfetamine. Le sue “gesta” parlano di torture che portano all’assassinio estremamente crudeli. Sembra che per la Dea americana sia il più feroce.

Il nuovo sistema reticolare colombiano

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A differenza del passato, i cambiamenti negli assetti geo-strategici del potere del narcotraffico,  hanno in Colombia hanno determinato un nuovo tipo di “sistema gestionale”. E’ un modello reticolare, attraverso cui vengono determinate alleanze relative ad attività specialistiche. Sono cellule frazionate poco verticistiche e molto orizzontali. Non esistono i Boss alla Escobar ma “imprenditori del crimine” che vivono al di fuori del paese, ben nascosti e nell’ombra.

Inalterata la forbice delle contraddizioni

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Tra la Colombia di ieri e quella di oggi forse poco è cambiato nella forbice delle contraddizioni. E’ sempre un paese estremamente corrotto, dove campare è difficile per chi non appartiene alla ristretta cerchia della classe media. Le ragazze si prostituiscono per pochi pesos. Nelle strade, nei bordelli travestiti da pensioni o ancora nei locali notturni. E se i turisti “vanno pazzi” per le minorenni e “i meno esigenti” non disdegnano le trans, la droga la possono trovare a poco prezzo e di buona qualità nei pressi dei loro stessi alberghi. Una realtà questa tipica di molti paesi latino-americani.

C’è una recente sentenza della Corte Costituzionale colombiana in merito alle leggi sul lavoro, chiave di lettura del paese. Si certifica che l’uso di stupefacenti e alcol non sempre danneggiano le prestazioni lavorative. In alcuni ambiti lavorativi, lo stato di ebbrezza e l’uso di droghe non può essere sanzionato…

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