di Marco Marano
Le dichiarazioni di Papa Francesco alla tre giorni di Assisi, per la giornata mondiale della pace, hanno messo sotto accusa ancora una volta le lobbies delle armi e i governi occidentali che fomentano le guerre, ponendosi come unico argine all’ipocrisia delle società occidentali e ai loro affari.
Bologna – Nella tre giorni di Assisi, per celebrare la giornata internazionale della pace, Papa Bergoglio ha riunito i leader religiosi del pianeta, mentre all’Onu si discuteva di migranti e rifugiati, principali vittime dei ventisette territori nel mondo dilaniati da conflitti bellici. Dall’Afganistan al Congo, dall’Iraq alla Libia, dal Sud Sudan allo Yemen, e poi Siria e Palestina, solo per citare i più emblematici.
Le sue parole si sono scagliate contro i governi e le società occidentali che attraverso il neo-liberismo hanno soffocato i valori di giustizia sociale e di pace in nome dell’arricchimento senza limiti, oltre ogni limite. La sua condanna fa luce su quella civiltà dove un 1 per cento della popolazione controlla il 90 per cento della ricchezza, anche attraverso i conflitti bellici. E’ questo un Papa che assurge al rango di Statista. L’unico Statista esistente in questo momento. Se nei suoi discorsi togliessimo l’invocazione alla preghiera potremmo dire che è l’unico vero Statista di sinistra al mondo…
«La pace non può scaturire dai deserti dell’orgoglio e degli interessi di parte, dalle terre aride del guadagno ad ogni costo e del commercio delle armi… Dalle chiusure che non sono strategie di sicurezza ma ponti sul vuoto».
La sua è l’unica vera rivoluzione culturale, in assoluta controtendenza, rispetto all’incapacità e al disinteresse delle classi politiche internazionali che seguono le paure, le fobie, gli istinti, gli egoismi più bassi di pezzi del proprio elettorato, come unico termometro per misurare le dinamiche del consenso. E questa rivoluzione la sta conducendo seguendo l’intuizione più semplice: riunire tutte le credenze religiose in una unica voce, in un’epoca in cui il falso mito della guerra di religione è lo strumento delle classi dirigenti occidentali per gestire il potere… Ad Assisi erano presenti ben 510 tra leader religiosi e politici, con alcuni dei nomi più rappresentativi. C’era il patriarca ecumenico ortodosso di Costantinopoli Bartolomeo, insieme al primate anglicano Justin Welby, Ignatius Aphrem II, e poi il patriarca siro-ortodosso di Antiochia, e il rabbino capo della comunità ebraica di Roma Riccardo Di Segni, e ancora Abbas Shuman, vicepresidente dell’università islamica di al-Azhar.
«Noi la guerra non la vediamo. Ci spaventiamo per qualche atto di terrorismo, ma questo è nulla rispetto a quello che succede in quei paesi, in quelle terre dove giorno e notte le bombe cadono e uccidono bambini, anziani, uomini, donne. La guerra è lontana? No! E’ vicinissima…»
Insieme hanno sottoscritto un appello da lanciare alle Nazioni, in cui si denunciano gli abusi che le stesse compiono, determinando una fase storica di scempio collettivo…
«Imploriamo i responsabili delle Nazioni perché siano disinnescati i moventi delle guerre: l’avidità di potere e denaro, la cupidigia di chi commercia armi, gli interessi di parte, le vendette per il passato. Aumenti l’impegno concreto per rimuovere le cause soggiacenti ai conflitti: la situazione di povertà, ingiustizia e diseguaglianza, lo sfruttamento e il disprezzo della vita umana».
Mai nessun Papa si era spinto così a fondo in una denuncia chiara e forte nei confronti del traffico d’armi, che costituisce il principale business tra le Nazioni. L’ultimo rapporto del 2016 del SIPRI , “Stockholm International Peace Research Institute”, dice che dal 2015 vi è stata l’ennesima ripresa della crescita in fatto di spesa militare, che si attestata circa sull’1 per cento in termini reali. L’ammontare complessivo delle spese militari è stimato, dai ricercatori svedesi, in 1.676 miliardi di dollari, equivalenti al 2,3 per cento del prodotto interno lordo mondiale. Nel complesso i primi 15 paesi di questa classifica spendono per gli eserciti e le armi almeno 1.350 miliardi di dollari, equivalenti all’81 per cento del totale.
In testa gli Stati Uniti, col 36 per cento delle spese militari, poi la Cina con 215 miliardi di dollari spesi, e al terzo posto l’Arabia Saudita, uno dei principali partner strategici dell’occidente in Medio Oriente, con 87 miliardi di dollari, che ha fatto crescere del 5,7 per cento la propria spesa, per fare fronte alla guerra in Yemen, tra cui spiccano gli acquisti italiani di aerei e ordigni. Sia gli USA che la Cina, con al terzo posto la Russia, sono quelli che esportano di più in Medio Oriente, diventata l’area che compra di più, superando l’Africa.
«Le vittime delle guerre implorano pace, implorano pace i nostri fratelli e sorelle che vivono sotto la minaccia dei bombardamenti o sono costretti a lasciare casa e a migrare verso l’ignoto. Ma incontrano troppe volte il silenzio assordante dell’indifferenza, l’egoismo di chi è infastidito, la freddezza di chi spegne il loro grido di aiuto con la facilità con cui cambia canale in televisione».
Il rapporto uscito quest’anno della Ong olandese “Stop Wapenhandel”, pubblicato dal Transnational Institute, dal titolo “Guerre di frontiera. Come i produttori di armamenti traggono profitto dalla tragedia dei rifugiati in Europa”, sottolinea come le più importanti aziende produttrici di armi, che vendono nelle aree di conflitto da cui partono gli esodi, sono le medesime che guadagnano dalla militarizzazione delle frontiere europee, grazie alle loro lobbies, facendo pressioni direttamente sulla Commissione Europea. Una di queste aziende è proprio l’italiana Finmeccanica.
Da un’inchiesta de il Fatto Quotidiano del 4 luglio di quest’anno si afferma:
«Il rapporto analizza il mercato della sicurezza delle frontiere alimentato dalle politiche europee di “contrasto all’immigrazione clandestina”. Stimato in circa 15 miliardi di euro nel 2015, questo mercato si prevede raddoppierà nel giro di pochi anni, superando i 29 miliardi di euro nel 2022. Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere, ha visto accrescere il proprio bilancio del 3.688% tra il 2005 e il 2016, portandolo da 6,3 milioni a 238,7 milioni di euro».
Come dice il compagno Francisco: «Se noi oggi chiudiamo l’orecchio al grido di questa gente che soffre sotto le bombe, che soffre lo sfruttamento dei trafficanti di armi, può darsi che quando toccherà a noi non otterremo risposte…»
Fonti: il Manifesto, SIPRI, il Fatto Quotidiano – Credits AP, AFP