Mentre la propaganda razzista dei partiti e dei governi sovranisti continua ad impazzare manipolando la realtà dei fatti in tutto il mondo, due nuovi rapporti delle agenzie Onu fotografano questo periodo storico in modo completamente diverso. Nel frattempo nei lager libici del governo Serraj, partner privilegiato italiano, si continua a torturare e uccidere.
di Marco Marano
Bologna, 20 settembre 2019 – E’ stata una giornata particolare quella di ieri l’altro, che può essere rappresentata da tre fotografie: da un lato l’incontro tra il premier italiano Conte ed il capo del Governo di Accordo Nazionale libico, riconosciuto dall’Onu e da alcuni paesi europei, dall’altro l’uscita di due rapporti dell’Onu relativi ai dati reali sulle protezioni internazionali in Europa e nel mondo. Sullo sfondo vi è la propaganda razzista dei partiti e dei governi sovranisti che parlano di lotta al traffico di esseri umani e di invasione dei clandestini, mentre nei lager del governo Serraj i crimini contro l’umanità sono sistema…
I lager di Serraj che fanno comodo all’Europa
La prima fotografia ci parla della più tragica manipolazione della realtà relativa all’identificazione degli scafisti che dalla Libia fanno partire le barche dalle coste libiche. Chi sono? Sono proprio gli uomini di quei clan che controllano il territorio libico, nel contesto della guerra civile. Parliamo dei clan che almeno un paio di governi italiani hanno profumatamente pagato per impedire le partenze.
Ma parliamo anche della Guardia costiera libica, accusata persino dall’Onu di fare da cerniera del business gestito attraverso i lager controllati dal Governo di Accordo Nazionale, dove uomini, donne e bambini vengono torturati, stuprati, uccisi, fatti morire per malattie non curate, ammazzati dalle bombe lanciate dal contendente di Serraj, il generale Haftar, ricattati, venduti e poi rivenduti ancora…
L’ondivaga funzione dell’Onu
Poi ci sono le altre due fotografie scattate da due agenzie dell’ Onu: l’Ufficio europeo di assistenza all’asilo (Easo) e il Dipartimento per gli affari economici e sociali di Nazioni Unite (DESA). Negli ultimi tre giorni queste agenzie hanno pubblicato rapporti che mettono a nudo la “vergogna” di questo momento storico, cioè la mistificazione dell’invasione, e la messa a rischio dell’identità dei “popoli autoctoni”…
Ma c’è una quarta fotografia uscita fuori in questi due giorni dai social media, quella che riguarda centinaia di persone, com’è possibile vedere dalle immagini rimbalzate su Internet, da tre anni detenute di lager in lager, che stanno lentamente morendo, per le atroci angheria subite, e di cui l’Unhcr, agenzia Onu per i rifugiati, presente sul territorio libico, al fine di far evacuare i migranti detenuti, non si è più occupata.
L’invasione che non esiste è nella realtà un fenomeno strutturato
Il rapporto dell’Easo, ha illustrato i dati relativi alle richieste di protezione internazionale nell’Unione Europea, un continente abitato da più 500 milioni di persone, e riferiti al periodo gennaio-luglio 2019.
Scopriamo che nei primi sette mesi dell’anno sono state presentate complessivamente circa 400.500, l’11% in più rispetto allo stesso periodo del 2018. Il dato parziale del mese di luglio segnala che le 62.900 richieste di protezione internazionale, nei 28 stati membri dell’Unione europea più Norvegia e Svizzera, rappresentano un aumento del 26% rispetto a giugno, ma anche agli stessi mesi dei due anni precedenti: luglio 2018 (59.375), quasi pari allo stesso mese del 2017 (62.040).
Un quarto di tutte le domande di asilo sono arrivate da cittadini siriani, afgani e venezuelani con un aumento del 34% tra giugno e luglio. Le dieci principali nazionalità sono: Siria, Afghanistan, Venezuela, Iraq, Pakistan, Turchia, Colombia, Iran, Nigeria e Albania.
Nel solo mese di luglio sono state emesse 51.000 decisioni di prima istanza, con un aumento del 22% rispetto a giugno. Tre quarti di tutte le decisioni sono state emesse in soli quattro paesi. Il maggiore aumento ha riguardato i cittadini venezuelani: a luglio hanno ricevuto 5.600 decisioni di primo grado, molto più che nei mesi gennaio-giugno 2019 (3.911). In questa particolare classifica seguono: pakistani, georgiani, marocchini e cinesi.
“Tutte le prime 40 cittadinanze di origine – ad eccezione di congolesi, nicaraguensi e salvadoregni – hanno presentato più domande rispetto a giugno, rispecchiando numeri record registrati in molti paesi UE. Ad esempio, i cittadini turchi hanno presentato più domande (+56%), così come i cittadini del Pakistan (+41%), Iraq (+33%), Venezuela (+18%) e Iran (+31%). Diverse nazionalità, inoltre, hanno presentato un numero maggiore di domande dall’inizio del 2019. Oltre a siriani e afgani, questi includevano candidati provenienti da Pakistan, Turchia, Bangladesh, Somalia, Cina, Perù, India, Sudan, Eritrea e Haiti. Molte di queste cittadinanze sono state associate a un numero crescente di rilevamenti di attraversamento illegale delle frontiere UE”.
Migrazioni e mobilità: due facce della stessa medaglia
L’analisi Desa, utilizza un approccio diverso, poiché riunisce in una unica soluzione di continuità tutte le persone che si muovono tra un confine e l’altro a prescindere dalle motivazioni del viaggio, che sia indotto dalle circostanze o per scelta di vita. Così scopriamo che mobilità e migrazioni sono due facce della stessa medaglia, poiché richiedenti asilo e rifugiati rappresentano solo un quarto dei flussi globali, in aumento tra il 2010 e 2017 di 13 milioni. Ma scopriamo anche che, nello stesso periodo storico, il numero complessivo tra migrazioni e mobilità è aumentato di 51 milioni in tutto il mondo, fotografando la quantità che si sposta attorno ai 272 milioni di persone.
Ma questo aumento significa che migrazioni e mobilità crescono ad un tasso più alto di quello della popolazione mondiale. Ora, essendo questi fenomeni universali, i tre paesi di arrivo che stanno ai primi posti sono Stati Uniti, Germania e Arabia Saudita. Da ciò si evince che il traino economico, o per meglio dire l’integrazione allo sviluppo economico di questi paesi forti, è ineludibile.
E poi ci sono loro che muoiono
Nel 2017, all’interno del lager di Gharyan, a 80 chilometri a sud di Tripoli, erano stati registrate circa 160 persone dall’Unhcr. Nei successivi tre anni sono stati suddivisi in altri lager, sempre gestiti dal governo Serraj: Tariq, Matar, Sikka… Provengono da paesi dove ci sono guerre e persecuzioni, come Eritrea e Sudan, e se lì tornassero la loro vita sarebbe in pericolo.
Ma quello che hanno subito e continuano a subire nei lager ufficiali libici è tale e quale al rischio di un rientro nel loro paese, perché dopo tre anni di angherie e torture stanno morendo tutti lentamente: “fame, malattie, mancanza di acqua, freddo, caldo, infezioni dello stomaco, tubercolosi…”
Vivono l’uno sopra l’altro, al di là di ogni resistenza umana, perché in permanente stato di punizione. In questo “buco nero” in cui sono sprofondati negli ultimi tre anni, molti hanno manifestato segni di squilibrio psichico: come potrebbe essere diversamente… Negli ultimi otto mesi ne sono morti 23 tra cui un bambino con il proprio padre.
Le domande che si susseguono sono due: “Perché sono stati abbandonati dal 2017, quando altri della loro stessa età, status e nazionalità sono stati evacuati negli ultimi anni e negli ultimi mesi nonostante siano stati registrati dopo di loro?” “Perché non vengono evacuati?”
FONTI: EASO, United Nations – Department of Economics and Social Affairs, LasciateCIEentrare
Immagine in evidenza: AFP
Le immagini a corredo sono state intercettate su Facebook