Il senso del confine

di Marco Marano

Il senso del confine è il nuovo totem della cronaca contemporanea… Così l’Europa può trattenere i rifugiati in Turchia e dare legittimità ad un governo autocratico.

Bologna – C’è un totem che s’impone nel gioco teatrale della cronaca contemporanea: il senso del confine. Esso assume una fisicità ostentata al di là di qualsivoglia interpretazione geografica o sociale o ancora politica… Nasce da una costruzione dell’immaginario del nostro tempo come se fosse un’elaborazione laboratoriale che cerca di manipolare il senso stesso della nostra esistenza, spesso scindendo le dinamiche dei governi da quelle dei popoli.

La realtà dei governi e quella dei popoli

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L’Europa, che di questo gioco è promotrice, ha inteso rielaborare il senso del confine, come se la realtà dei governi e dei popoli separati dal Mediterraneo fosse separata dal resto del tempo. Perché non può esistere una separazione tra dimensione geografica, sociale, politica, economica, nel momento in cui chi promuove il gioco esso stesso ha deciso che queste separazioni, per altri versi, non sono comode.

Gli interessi economici e politici dei paesi europei al di là del Mediterraneo, che sia nord Africa, Africa sub sahariana, medio oriente, sono un inevitabile prodotto della storia, precedente alla globalizzazione, che semmai rispetto ad essa sono stati velocizzati.

Però al tempo stesso l’Europa ha inteso alzare il totem della fortezza, elaborando un sistema di regolamenti e leggi dove il senso del confine viene santificato. Quest’anno poi si è aggiunto un elemento in più al gioco drammaturgico e totemico europeo, proveniente dai paesi reazionari dell’est, inneggianti ideologicamente alla chiusura autocratica di tipo xenofobo, contraria all’essenza stessa dell’unione europea, dove vige il conservatorismo di matrice liberale che ha creato la fortezza: il filo spinato…

C’è da parte dei governi europei, una caparbia negazione del filo diretto che unisce i paesi al di qua e al di là del Mediterraneo, che essi stessi hanno reso inseparabili attraverso gli interessi legati alle risorse o agli affari con i governi corrotti fuori dalla fortezza. Ecco che il senso del confine ritorna nella sua dimensione totemica più forte, cercando di mascherare una realtà storica che non può essere mascherata, perché viceversa questo determina, come sta accadendo, un nuovo olocausto…

Allora l’Europa continua nel suo gioco teatrale danzando intorno al totem per trovare le soluzioni a questa contraddizione che generato… In questi giorni la danza ha portato ad individuare una di queste soluzioni nel sottoscrivere un accordo con la Turchia di un altro autocrate, il sultano Erdogan, di cui la sintesi della sua azione politica la si può ritrovare proprio nella strage di Ankara…

Una strage di stato

Manifestazioni Turchia

 

La manifestazione, organizzata da sindacati e organismi della società civile, era appena cominciata, decine di giovani inneggiavano alla pace in un paese in grande fermento, tra le vicende del popolo curdo e i metodi autoritari dell’attuale potere sunnita del Presidente.

Le due esplosioni ravvicinate hanno innescato il terrore, mostrato in un video che ha fatto il giro del web. La manifestazione è stata immediatamente annullata. Il governo ha stigmatizzato l’accaduta, parlando di attacco terroristico, messo a segno da due kamikaze. Fonti giornalistiche hanno elaborato ipotesi sul nazionalismo turco, che però è vicino la potere costituito.

Lo stesso giorno diecimila persone sono scese in piazza per manifestare la propria rabbia contro il Presidente Erdogan e l’uso del potere autoritario dell’autocrate islamico. I manifestanti si sono diretti verso piazza Taksim al grido di “Erdogan dimettiti”. La strage che ha prodotto un centinaio di morti e 400 feriti, viene fatta risalire dai manifestanti e dalla forze di opposizione curda, all’azione repressiva del governo di Ankara nei confronti del PKK, che si è riaccesa nel giugno di quest’anno, quando Erdogan ha rotto l’accordo di pace, arrivando in seguito ad impedire, a pezzi del popolo curdo in Turchia, di andare in soccorso dei combattenti di Kobane contro l’Isis.

Da allora è ripresa un’azione di guerriglia per le strade delle città turche, in risposta ai bombardamenti dei villaggi curdi in Turchia che hanno prodotto morti e feriti.

Manifestazioni hanno avuto luogo anche in altre città turche, tra cui Smirne, Batman e Diyarbakir, dove la polizia ha utilizzato gas lacrimogeni per disperdere la folla. Il governo di Ankara, che ha indetto tre giorni di lutto cittadino per l’attentato, che non è stato rivendicato.

Il PKK, dal canto suo, ha fatto sapere che fino alle elezioni che si terranno in novembre, se non verranno attaccati, attueranno un cessate il fuoco unilaterale, per garantire che la tornata elettorale possa svolgersi in una situazione sociale di tranquillità.

Il PKK mandante contro se stesso

Turchia: scontri tra polizia e curdi a Diyarbakir

In un primo momento, secondo il governo turco, i responsabili della strage di Ankara che è costata la vita a più di cento persone e 400 feriti, si aggiravano in un range di tre possibilità: l’Isis, le organizzazioni di estrema sinistra e il PKK.

Questa notizia letta così pone in essere un quesito giornalisticamente interessante, perché in quella manifestazione migliaia di ragazzi stavano manifestando proprio per costringere il governo turco a cessare la guerra ai villaggi curdi difesi dal PKK. Il fatto che questa organizzazione possa diventare mandante contro se stessa rivela l’ennesimo tentativo di manipolazione di Erdogan.

E ancora, in una situazione in cui un paese che vive una sorta di guerra civile ormai da quest’estate, con la ripresa delle ostilità da parte del governo contro le città kurde in Turchia. Una storia sfociata nell’impedire ai cittadini kurdi di andare in soccorso ai combattenti contro l’Isis a Kobane, e dopo che lo stesso PKK ha annunciato di volere unilateralmente cessare le ostilità fino alle elezioni che si terranno fra tre settimane, il governo turco anziché stemperare la tensione, butta benzina sul fuoco continuando a bombardare i villaggi kurdi e le postazioni del PKK, implementando lutti e distruzioni…

Vietata la libertà di stampa

Intanto, il sultano continuava ad intervenire sulla libertà di stampa impedendo alle emittenti televisive turche di mandare in onda le immagini della strage, cercando addirittura di impedire di mettere dei fiori nel luogo del lutto, innalzando insomma il livello della tensione affinché, dicono gli osservatori, potesse gestire col pugno duro la tornata elettorale del primo novembre, che deve a tutti i costi vincere in modo assoluto, se vuole continuare a regnare per un altro decennio.

L’accordo

Mecedonia_4_ReutersL’Unione Europea stringe un accordo con la Turchia per trattenere i rifugiati, e al confine con la Bulgaria un uomo afghano viene ucciso una volta entrato nel paese

L’accordo stretto al summit europeo di Bruxelles con la Turchia sottoscrive la possibilità di trattenere lì i rifugiati che cercano di raggiungere i paesi europei, attraverso una sorta di zona cuscinetto nel nord. La motivazione che la Cancelliera tedesca Merkel ha espresso possiede i contorni di un’ambiguità tipica della Fortezza Europa. Si dice infatti che “i migranti dovrebbero essere ospitati più vicino ai loro Paesi di provenienza piuttosto che mantenerli nei nostri Paesi”.

In realtà la cancelliera che fino ad un paio di settimane prima era contraria all’entrata della Turchia nell’Unione Europea, adesso ha cambiato idea perché il senso del confine venga rispettato. Se poi un nuovo dittatore bianco viene ammesso nell’UE che importanza ha…

Rifugiarsi in Turchia

Sullo sfondo vi è una situazione complessiva che colpisce… In Turchia infatti, dalla recrudescenza della guerra in Siria, sono arrivati circa 2.000.000 di rifugiati, molti dei quali si sono insediati in città e villaggi nel sud del paese, presso la zona di confine con la Siria. In alcune di queste città il numero dei rifugiati ha superato quello dei residenti, ma questo non ha causato né scontri, né conflitti sociali.

Anzi, come racconta l’inviato dell’Osservatorio Balcani Caucaso Dimitri Bettoni, molte famiglie turche che lavorano nei campi, hanno ospitato altre famiglie siriane proponendogli di lavorare insieme a loro. Cosa diversa a Istanbul, dove le condizioni di vita dei rifugiati sono precarie, anche perché non esistono programmi di accoglienza, per cui la gente vaga per le strade cercando di arrangiarsi come può.

Il paradosso è che l’attuale governo turco, che, come sappiamo, non è certo un esempio di democrazia, pur non rispettando la convenzione di Ginevra, che impone ai governi sottoscrittori di accogliere chi scappa da guerre e persecuzioni, è disponibile ad ospitarne milioni, mentre gli stati europei, litigano per la divisione della quota di 160.000.

Nel frattempo al posto di confine tra la Turchia e la Bulgaria, che ha anch’essa eretto muri di filo spinato, nei pressi della città di Sredets, è stato ucciso un rifugiato afghano, che insieme ad un gruppo di 50 connazionali, una volta riusciti ad entrare nel paese, sono stati intercettati dalle guardie di frontiera, le quali hanno sparato colpendo l’uomo. Le autorità bulgare si sono premurate a spiegare che trattandosi di “migranti illegali” essi cercano di entrare da vie più pericolose non coperte dalla recinzione.

Mentre l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni emette gli ultimi dati dei processi migratori in Europa, i rifugiati che scappano continuano a morire o ad essere respinti

Austria Slovenia Migrants

Le mire del Sultano

Nel 2015 sono state oltre 613 mila le persone arrivate in Europa, attraversando il Mediterraneo, e 3117 hanno perso la vita in mare. Una delle ultime tragedie è avvenuta nell’Egeo al largo dell’isola di Kalymnos: tre bambini ed una donna sono morti. Intanto l’Ungheria ha murato col filo spinato l’ultimo pezzo di frontiera rimasta aperta, quella con la Croazia, mentre migliaia di rifugiati si stanno riversando dalla Serbia in Croazia per raggiungere l’Europa occidentale. Il governo croato vorrebbe reindirizzare i rifugiati in Slovenia, che ha sospeso il traffico ferroviario per evitare di gestire la cosa…

In questo contesto viene chiuso l’accordo non definitivo tra la Turchia e l’Unione Europea. Secondo cui i rifugiati dovrebbero fermarsi in Turchia con l’apertura di tanti campi profughi per tre miliardi e passa di euro.

L’autocrate Erdogan, interessato ad avere mano libera nel suo paese, vorrebbe che la Turchia venisse riconosciuta come “paese terzo sicuro”, per impedire ai cittadini kurdi, che stanno combattendo in Turchia una guerra di resistenza, di chiedere asilo politico in Europa.

Poi ci sarebbe la liberalizzazione dei visti dei cittadini turchi per l’Europa, carta questa che il dittatore bianco vorrebbe giocarsi per l’avvicinarsi delle prossime elezioni in novembre, ed infine l’imminente entrata nell’Unione Europea. Il senso del confine è compiuto…

Credits Melting Pot, Reuters, Ansa, BULENT KILIC/AFP/Getty Images

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