di Marco Marano
In seguito alle proteste anti-governative degli ultimi mesi esplose in alcune città, continua il malcontento del popolo marocchino, protagonista di scontri e arresti. Le rivendicazioni sono relative alle pessime condizioni di vita.
Bologna, 13 giugno 2017 – Nasser Zefzafi ha 39 anni ed è disoccupato, uno status questo che è abbastanza comune in Marocco, soprattutto in quella regione che viene definita Rif, un’area posta al nord del paese fino alla punta più vicino alla Spagna, abitata dal ceppo berbero della popolazione marocchina. Una terra “marginalizzata”, con pochi servizi e un altissimo livello di malcontento date la secolari promesse mai mantenute dei governi di redistribuzione del reddito e di investimenti. Così Nasser il mese scorso decide di interrompere la preghiera in una moschea di al-Hoceima, promuovendo una protesta tra i fedeli. Viene arrestato con l’accusa di aver “attaccato la sicurezza interna”. Adesso è il simbolo del dissenso nei confronti del governo che ha portato nelle patrie galere decine di persone in seguito ad una violenta repressione da parte delle forze dell’ordine, stigmatizzate da Amnesty International.
La nuova rivolta berbera
Le autorità, dall’ottobre dello scorso anno, cioè dal momento in cui è nata la nuova rivolta berbera, attraverso il metodo duro ha pensato di poter limitare al Rif le proteste popolari che hanno visto un nuovo rinvigorito rilancio proprio nella capitale Rabat. Una manifestazione imponente di migliaia di persone che sono sfilate nelle strade del centro al grido di “Liberate i prigionieri”, mentre l’icona di Zefzafi campeggiava sopra le teste dei manifestanti. Al-Hiraq ash-Sha’abi è il movimento artefice delle principali manifestazioni di dissenso. La loro area di appartenenza vede principalmente l
a città di dial-Hoceima al centro delle loro attività di dissenso. E’ la città dove nell’ottobre scorso veniva ucciso il venditore ambulante Moucine Fikri. La polizia gli confiscò tonnellate di pesce spada, la cui pesca era in quel periodo vietata. Il pesce sequestrato venne buttato dentro la pressa di un camion dell’immondizia. La folla assalì il camion e per impedire che il pesce venisse recuperato la polizia azionò la pressa, all’interno del quale Moucine Fikri rimase incastrato.
Tra scontri e promesse
Re Mohammed VI del Marocco, insieme al governo, hanno imposto una sorta strategia del pugno duro che ha portato fino ad adesso 86 persone rinviate a giudizio, di cui 30 accusate di attentato alla sicurezza nazionale. Accuse spropositate se si pensa alle condizioni di vita e all’assenza delle garanzie sociali fondamentali. Così mentre Rabat protestava senza inscenare violenza da parte dei manifestanti, a Imzouren la polizia cercava diimpedire sul nascere la manifestazione, nascevano tafferugli con lancio di sassaiola nei confronti delle forze dell’ordine. Questi hanno contrattaccato con i lacrimogeni. Da questo momento si è scatenata una sorta di guerriglia urbana durata fino all’alba. Non ci sono state vittime ma non è chiaro il bilancio tra fermati e feriti. Per far calmare le acque il governo ha annunciato che il premier Saad Eddine Othmanivisiterà la “città ribelle”, promettendo i soliti progetti di sviluppo che non ci sono mai stati e che, presumibilmente, non ci saranno neanche stavolta.