Tratto da Blasting News
di Marco Marano
Lo stallo nei colloqui di pace è rivelatore degli interessi in gioco, mentre si continua a combattere, con le forze kurde isolate.
Bologna, 24 gennaio 2017 – Il dissenso è totale tra le diverse componenti sedute attorno al tavolo negoziale di Astana. Del resto questa situazione caotica esprime gli interessi dei paesi coinvolti e delle forze di opposizione al regime. Se dopo sei anni di guerra il nodo centrale rimane lo scontro sul destino di Bashar al-Assad, le dichiarazioni rilasciate dai rappresentanti delle differenti parti in causa sembrano arenarsi in reciproche accuse che nulla aggiungono alla riconciliazione.
Sul campo di battaglia
Intanto sul campo, nel nord della Siria, da dove si prepara l’offensiva su Raqqa, roccaforte dell’Isis, i peshmerga kurdi cercano di rassicurare le forze militari kurdo-siriane, non invitate ad Astana, che non entreranno in #Rojava senza il loro consenso, per evitare una lotta fratricida. Nel frattempo, negli ultimi due giorni, le truppe governative, nei pressi di #Damasco, si sono scontrate con gruppi ribelli, e nell’est del paese con gli affiliati all’Isis. Tutto questo mentre a Nord di Aleppo c’è stato il primo raid congiunto russo-americano, attivato sulla base delle coordinate fornite dall’intelligence statunitense. Una informazione questa fornita dal ministero della Difesa russo che il Pentagono, attraverso il suo portavoce, ha smentito. Di contro l’addetto stampa della Casa Bianca, ha dichiarato che il presidente Trump è intenzionato a lavorare con chiunque condivida l’interesse americano a sconfiggere l’Isis: una smentita che non smentisce…
Muri contro muri
«L’opposizione mira a stabilizzare il cessate il fuoco in maniera completa e a portare avanti la transizione politica, cominciando dall’uscita di scena di Bashar Assad e del suo regime». Lo ha dichiarato ad al Jazira Muhammad Allush, capo della delegazione delle opposizioni ad Astana. Così, la risposta di Bashar Jaafari, capo della delegazione di Damasco, non si è fatta attendere, come riportato dall’agenzia Interfax: «Noi pensavamo che fossero rappresentanti legittimi finché non siamo entrati nella stanza delle trattative e abbiamo sentito le loro posizioni».Jaafari ha incontrato le delegazioni di Russia e Iran, due dei promotori dei negoziati di Astana, mentre si è rifiutato di incontrare la Turchia, cioè il terzo organizzatore della conferenza di pace: «La Turchia è uno Stato che ha violato la sovranità siriana, fornendo assistenza ai gruppi terroristici e impedendo una soluzione pacifica della crisi siriana».
Le ambiguità di Erdogan
Questa frase in realtà nasconde le ambiguità della strategia di Erdogan, che in una prima fase della guerra intratteneva rapporti con l’Isis: dal passaggio, attraverso i suoi confini, del petrolio di contrabbando alle armi e ai foreign fighters. Denuncia che a suo tempo fu fatta dal giornale “Cumhuriyet”, costata la galera al suo direttore Can Dündar. Con il riavvicinamento poi alla Russia la Turchia è entrata militarmente in Rojava nel tentativo di smantellare il nuovo sistema confederale del nord della Siria.
La guerra dei due popoli kurdi
Si perché la situazione legata alle forze militari kurde, in quel pezzo di paese, è una sorta di pagina parallela del conflitto siriano, rispetto al negoziato di Astana, poiché le YPG, Unità di protezione popolare, sono quelle che hanno prodotto maggiori sconfitte sul campo all’Isis, considerati terroristi da Erdogan e appoggiati dagli Stati Uniti di Obama. Mentre i peshmerga, che afferiscono al Kurdistan iracheno, guidato dal presidente Barzani, anch’esso legato agli Stati Uniti, con i cugini siriani hanno avuto da sempre una diversa visione delle vicende kurde. Ma questa, come direbbe qualcuno, è un’altra storia…