La transcultura: strumento per l’integrazione dei migranti

Nell’epoca dei muri e dei respingimenti, un’esperta ci spiega come interagire con le differenti visioni del mondo per una efficace integrazione.

 

di Marco Marano

Bologna, 14 febbraio 2017 – Per chi lavora nel mondo dei migranti, che siano essi economici o rifugiati, il primo elemento con cui necessita rapportarsi è quello relativo alle differenti rappresentazioni culturali, soprattutto se si parla di comunità di tipo tradizionale. In realtà, a ben guardare, dentro questo tipo di problematiche, forse, uno degli ostacoli maggiori riguardanti i processi d’integrazione è l’assenza di consapevolezza nel far convivere insieme diverse rappresentazioni culturali della realtà. Certo, la necessità di indagare sulle differenti rappresentazioni culturali, e non solo, è lo strumento principale per poter interagire con cittadini dal background migratorio, soprattutto nell’ambito della dimensione familiare, nei rapporti di genere e coi minori.

Il metodo del decentramento culturaleA_2_pap_e_bambino_tris

Michelle Zanardo, è laureata in Pedagogia e lavora presso il Servizio Protezioni Internazionali del Comune di Bologna, esperta delle tematiche di integrazione dei rifugiati, sia dal punto di vista scientifico che come prassi di lavoro quotidiana, ci spiega che rispetto al tema delle rappresentazioni, secondo l’approccio transculturale, il suo postulato centrale è quello del “decentramento culturale”«Quello del decentramento culturale – sottolinea Michelle – è una pratica che si configura nell’assunzione di un atteggiamento di abbandono della propria visione eurocentrica del mondo verso altre rappresentazioni culturali, questo permette la possibilità di un’apertura verso l’altro e quindi di un dialogo». La logica dell’approccio transculturale è proprio quella di mantenere vive  le rappresentazioni culturali del paese d’origine, che poi diventa lo spazio all’interno del quale valorizzare le differenze tra le persone per poter innescare un vero meccanismo d’integrazione sociale.

L’ambito sensibile della sfera privata

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Tutto quello che riguarda la sfera privata  diventa l’ambito più sensibile che occorre far convivere con differenti visioni del mondo. La famiglia, nelle sue logiche interne, l’educazione dei figli ed il rapporto genitoriale con i minori, sono le dimensioni più critiche e problematiche all’interno del raffronto tra diverse rappresentazioni culturali. «Se noi chiedessimo ad una donna africana che ha appena partorito – continua Michelle – quale nome ha dato a suo figlio, lei potrebbe anche non sapere rispondere… Se leggiamo questa situazione con gli occhi europei, potremmo pensare che quella donna non ha a cuore il neonato che ha appena dato alla luce. In realtà, nella cultura africana, quando nasce un bambino, è come se fosse un messaggero degli antenati. Quindi prima di dare il nome occorre capire da parte di quale antenato proviene questo messaggio e cosa dice… Tutto questo naturalmente comporta tempo, ecco perché a quella domanda la donna avrebbe potuto avere problemi a rispondere».

La struttura della famiglia

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Michelle: «nelle culture tradizionali esiste un rapporto molto stretto tra il mondo visibile, il mondo materiale in cui vivono le persone, gli animali e le piante, e il mondo invisibile abitato dagli spiriti, dai djinn, dagli antenati, dalle divinità e da dio. Quando i due mondi entrano in conflitto compare la sfortuna la malattia, la sofferenza e la morte. L’origine del conflitto nasce dal rapporto disordinato tra il mondo umano e quello non umano. Per le società tradizionali l’agente del disordine è sempre esterno». Allo stesso modo c’è tutto il tema sulla struttura della famiglia, il cui numero dei figli, per molti paesi africani, deve necessariamente essere superiore ai due genitori: da tre, considerata la famiglia minima, a nove, considerata la famiglia perfetta. Cosa molto particolare in questi casi è che fanno parte della famiglia anche i bambini morti o mai nati.

 

I rapporti di genere

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Poi ci sono ancora i rapporti di genere, tema che va di pari passo con la struttura gerarchica, dove la donna è subalterna all’uomo. C’è anche da dire che i rapporti gerarchici di genere nei paesi africani hanno assunto, negli ultimi anni, sfaccettature diverse, mettendo sempre più in luce il ruolo della donna, che pur subalterna all’uomo, diventa l’elemento fondamentale del sistema paese oltre che familiare, tanto che varie Ong, pochi anni or sono, avevano proposto il nobel per la pace alle donne africane. «Un altro aspetto interessante e rivelatore – conclude Michelle – è ad esempio il rapporto delle mamme africane con i propri bambini, un rapporto dove c’è una scarsa comunicazione verbale, che ai nostri occhi potrebbe essere interpretata come un segnale di disinteresse nel rapporto educativo. In realtà la comunicazione è più corporea che verbale: portano sulle spalle i piccoli, hanno un continuo rapporto con il loro corpo attraverso i massaggi».

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